In occasione della 25^ edizione di Eudi Show che si è svolta a Bologna all’inizio di marzo ha avuto luogo la cerimonia della consegna del Tridente d’Oro e dell’Academy Award per l’edizione 2017. Un evento nell’evento per il livello di prestigio dei premiati e per il sapore di internazionalità che hanno saputo trasmettere
di Rossella Paternò. Crediti immagini nelle didascalie
I premiati sono stati l’oceanografa statunitense Sylvia Earle, il biologo e documentarista francese Laurent Ballesta e l’esploratore italiano Edoardo Pavia che sono, come è tradizione dei Tridenti d’Oro, tra i personaggi più importanti della subacquea mondiale di oggi, ma in particolare stavolta dei veri e propri simboli capaci di attrarre e di essere di esempio e ispirazione per tutti quelli che amano e studiano il mare a qualsiasi livello.
Il programma della cerimonia è stato completato col conferimento dell’Academy Award, equivalente al Tridente ma riservato alle organizzazioni, alla ditta TEMC-DE-OX per essersi distinta nella progettazione e costruzione di apparecchiature d’avanguardia portando nel mondo l’eccellenza della produzione italiana.
Il primo a essere insignito è stato Edoardo Pavia, orgoglio italiano, esploratore subacqueo estremo, che ha contribuito a fare luce sui misteri dei naufragi dei grandi transatlantici dei primi del novecento. Specialista delle immersioni profonde, esploratore di grandi relitti, dal Britannic, gemello dello sfortunato Titanic, all’Andrea Doria fino alla regia corazzata Regina Margherita.
Un riconoscimento alla sua capacità di attrarre persone verso il mare, che è un gigantesco contenitore di storia. Soprattutto il nostro Mediterraneo è un forziere pieno di sorprese.
Ha collaborato a spedizioni con il National Geographic e l’History Channel. Ha partecipato a cinque campagne di ricerca sul Britannc, contribuendo a svelarne la causa dell’affondamento.
Scoperto da Cousteau nel 1976, il Britannic giace a circa 120 m di profondità nello stretto tra l’isola di Kea e la costa greca nel Mar Egeo.
Affondata nel 1916 durante la Prima Guerra Mondiale era una nave addetta al trasporto dei feriti.
Nel 1914 il Britannic era pronto a uscire dal cantiere e ricevere gli allestimenti di 1^, 2^ e 3^ classe. Fino all’ultimo si è cercato di evitarne l’impiego, ma alla fine fu requisito dalla Royal Navy e convertito in nave ospedale. Compirà con successo sette viaggi prima di finire in un campo minato dai tedeschi e affondare in soli quarantacinque minuti.
Ma perché la nave affondò così rapidamente a differenza della gemella Titanic che impiegò invece parecchie ore?
Fu questo l’obbiettivo della prima missione voluta da Carl Spencer nel 2003 e di quelle successive: scoprire le cause dell’affondamento.
Si arrivò a determinare infatti che il sistema di chiusura automatica delle porte a tenuta stagna, che avrebbero dovuto sganciarsi come una ghigliottina, non funzionò correttamente, probabilmente a causa di oggetti come carriole o quant’altro che ne impedirono la chiusura. Il comandante, nel tentativo di salvare la nave, spera di poterla spiaggiare nel basso fondale della vicina costa. Macchine avanti tutta, la pressione aumenta. La falla creata dall’esplosione della mina di superficie non fa che portare acqua dentro. Il Britannic fortunatamente in quel momento non ha feriti a bordo. La nave, che in quel frangente era in modalità “prendere aria” ovvero con tutti gli oblò aperti, comincia a sbandare e in pochissimi minuti affonda.
Le uniche vittime, 30, non sono state causate dall’affondamento ma dalla modalità di abbandono nave. Il personale medico, nonostante gli ordini degli ufficiali, prende decisioni autonome. Cala la scialuppa. Ma la nave ha ancora un abbrivio e la scialuppa viene tritata dall’elica. Altre 1070 persone furono salvate dai mezzi navali che la scortavano.
È stato poi il turno di Laurent Ballesta, biologo francese e bravissimo fotografo (aggiungerei anche uomo affascinante, che per il pubblico femminile non guasta) che ha saputo affiancare alla ricerca scientifica la capacità di documentare le sue esplorazioni in acque profonde, attraverso immagini mozzafiato come quelle con cui ha raccontato la vita del celacanto, un vero fossile vivente o il grande evento della riproduzione delle cernie nella pass di Fakarava, nella Polinesia Francese. È da poco rientrato da una spedizione delle acque polari dell’Antartide. Il Mediterraneo è stato il suo primo amore i suoi bellissimi libri ce lo ricordano.
I suoi documentari hanno un ritmo e uno stile hollywoodiano, ma il suo obiettivo è quello di essere fortemente scientifico. INTO THE SHARK PACK è il prossimo lavoro in uscita.
I suoi progetti sono basati su immersioni difficili, ma non necessariamente difficili in quanto tecniche o profonde, bensì per le situazioni in cui vengono effettuate, come ad esempio immersioni prolungate di ventiquattro ore sott’acqua a più di venti metri di profondità o in condizioni di forte corrente. Per non parlare delle immersioni sotto i ghiacci.
Motivazione del Tridente: per il suo profondo coinvolgimento nelle nuove relazioni tra scienza e immagini subacquee che rappresentano la nuova generazione delle esplorazioni subacquee. Laurent può essere considerato un pioniere in questa nuova forma di comunicazione scientifica. Questo gli ha permesso di filmare le immagini trasmesse in tutto il mondo del mitico celacanto, immagini rare di questo sconosciuto animale a una profondità di 140 metri usando tecnologie innovative e avanzatissime.
E poi il gran finale: la Prof.ssa Sylvia Earle, il più grande “avvocato” per la difesa del mare. La più famosa oceanografa a livello mondiale che ha fatto della ricerca e della tutela degli oceani la sua professione trasformando in una splendida realtà il sogno di una vita. Il Tridente a lei è stato un riconoscimento dedicato alla sua lunga e inesauribile devozione alla causa del mare e alla capacità di dar voce a questo mondo silenzioso.
La motivazione del premio: Pioniere delle scienze subacquee, Sylvia Earle è da sempre in prima linea sul fronte della ricerca. Ha partecipato a più di ottanta spedizioni, ha all’attivo 7000 ore di ricerca subacquea. È fondatrice e Presidente dell’organizzazione Mission Blu, un ente creato per ispirare azioni e risvegliare la coscienza pubblica per proteggere gli oceani.
Si innamorò del mare profondo quando da ragazza lesse “Mille metri sott’acqua” di William Beebe che raccontava delle sue esplorazioni degli oceani a bordo di una batisfera. “Il mondo silenzioso di Cousteau” le fece venir voglia di vedere quello che lui vedeva.
Sylvia è stata uno dei primi ricercatori esploratori subacquei a indossare maschera e bombole, attrezzatura che le ha permesso di osservare da vicino e poter identificare molte nuove specie di vita marina.
Ribattezzata “Her Deepness”, Sua Profondità, la sua passione l’ha portata a immergersi con apparecchiature sempre più sofisticate e d’avanguardia, partendo dai normali autorespiratori ad aria per arrivare a scendere da sola a 1.000 metri di profondità con un sommergibile da ricerca monoposto da lei stessa ideato.
Più andiamo in profondità e più facciamo scoperte nuove. La maggior parte delle creature che vivono negli oceani, vivono in profondità, racconta.
L’oceano sta morendo, è il primo grido di allarme che lancia. Il 90% degli squali sono stati sterminati. Il 50% delle barriere coralline distrutte. La pesca eccessiva e l’uso del mare come di una pattumiera lo sta distruggendo. Ma possiamo ancora salvare ciò che resta. Ora abbiamo le conoscenze per evitare gli errori fatti in passato.
Solo i subacquei vedono davvero cosa sta succedendo ai nostri mari: anche chi va per mare, ma lo vede solo da sopra, non se ne rende conto. Solo chi si immerge percepisce cosa sta realmente accadendo agli oceani. I subacquei vedono cose che gli altri non vedono. È un onore essere qui oggi insieme ad amici che capiscono e che amano il mare come me, è stato il suo messaggio. Il compito di tutti noi è ispirare la gente a fare qualcosa per proteggere più seriamente gli oceani.
Cento anni fa sono nati i primi parchi sulla terra. Ora dobbiamo fare lo stesso con gli oceani. Per tanti anni abbiamo pensato che le loro risorse non potessero esaurirsi. È ora di fare per loro quello che è stato fatto per proteggere la terra. E per fare questo serve che le persone vadano sott’acqua. È importante che i subacquei condividano quello che vedono per contribuire a far crescere la comunità di quelli che osservano il mare. Per questo sta lavorando alla progettazione di sommergibili relativamente facili da comandare e in uno dei progetti più recenti ha coinvolto dei teenager, dei ragazzi giovanissimi che non erano mai stati sott’acqua, mai stati in aeroplano, tantomeno in un sommergibile. E che hanno partecipato alle osservazioni insieme agli scienziati.
Sylvia lavora con oltre 200 organizzazioni mondiali per la salvaguardia degli oceani. In collaborazione con Google ha attivato un progetto che si chiama Hope Spot. Le Hope Spot sono zone di particolare interesse, sono luoghi speciali, fondamentali per la salute del mare. Chiunque può segnalare un’area che ha particolarmente a cuore e che vede in pericolo andando sul sito www.mission-blue.org/hope-spots/. L’obiettivo è creare una rete mondiale di aree marine protette che Sylvia chiama “punti di speranza” per salvare e ripristinare il cuore blu del pianeta. Le Hope Spot sono il cuore blu della terra. Al momento ci sono più di 70 Hope Spot nel mondo. In Italia ne sono state segnalate tre e sono in attesa di approvazione.
Per questo motivo servono subacquei e ricercatori. Al prossimo DEMA verrà annunciata una partnership tra PADI e Mission Blu per incoraggiare i sub ad usare il loro potere di osservazione.
Ha concluso ringraziando i subacquei per quello che stanno facendo e si augura che in futuro facciano sempre di più per rendere migliore questo pianeta.
«Dobbiamo solo scegliere che tipo di pianeta vogliamo. Io lo voglio blu. Il mondo è blu, il nostro destino è legato a quello degli oceani.»