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La scoperta del relitto accende i riflettori della ribalta su di lui. Ma come si arriva a questo risultato? Ecco i molti dietro le quinte che conducono a un ritrovamento di rilievo. Se ne parlerà anche venerdì 26 maggio alle ore 20:30, a Mestre, presso la sala eventi del ristorante Officina del Gusto in via Paolo Sarpi 18/22, nell’incontro pubblico dal titolo “Torpediniera Andromeda: il ritrovamento”

di Cesare Balzi – foto Michele Favaron e Mauro Pazzi – foto esterne Ben Haxhiaj

[TS-VCSC-Lightbox-Image content_image=”11848″ content_image_size=”full” content_title=”Sulla sinistra: Edoardo Pavia esamina il cannone 100/47 OTO a prora della torpediniera. Foto: Michele Favaron. A destra: un subacqueo illumina la meccanica del pezzo di artiglieria. Foto: Michele Favaron” lightbox_effect=”fade” margin_bottom=”20″]

Il ritrovamento di un relitto è sempre una notizia rilevante, sia dal punto di vista subacqueo, sia dal punto di vista storico e culturale. Emozione, stupore e soddisfazione: questi gli aggettivi più usati nei servizi che seguono l’annuncio e nelle prime interviste rilasciate dai protagonisti dell’impresa. A seguire tornano alla luce eventi storici avvenuti nel periodo in cui la nave era in vita e le vicende belliche che ne hanno causato l’affondamento. Ciò che spesso rimane nell’ombra, tuttavia, è il percorso seguito per arrivare alla scoperta. Vediamo quindi ora di svelare i retroscena che, lo scorso dicembre, hanno condotto membri delle Iantd Expeditions alla localizzazione e all’identificazione del relitto della torpediniera italiana Andromeda, affondata la notte tra il 16 e 17 aprile 1941 in Albania, nella baia di Vallano.

Le prime ricerche in mare.

Per stabilire con esattezza l’inizio delle ricerche dell’Andromeda, bisogna fare un salto indietro, nel dicembre 2004 quando, per motivi di lavoro, mi trasferii in Albania. Dopo qualche mese, una serie di eventi mi portarono a Valona, nel sud del Paese. Qui venni a sapere che, da qualche tempo, le autorità diplomatiche italiane sul posto, avevano avviato le ricerche per determinare la posizione del relitto della corazzata Regina Margherita, affondata l’11 dicembre 1916 nel canale tra la penisola del Karaborum e l’isola di Saseno. Mi dichiarai subito interessato ad approfondire l’argomento e disponibile a collaborare. Come tirarsi indietro? Una calda estate era iniziata e la caccia ad un relitto così importante mi sembrò un invitante pretesto per ricominciare le immersioni.
Non avendo a disposizione delle coordinate geografiche dalle quali avviare le ricerche, adottai la collaudata tecnica di interrogare pescatori locali: rimaneva la strada più sicura per ottenere delle informazioni precise, nonostante la complessità della lingua. Le vicende storiche, le fotografie in bianco e nero della nave e la mia grande passione, però, con grande sorpresa, suscitarono l’interesse di alcune persone. Tra questi, Hoti, Neki, Micio e Amet, i quali mi misero a disposizione tutto il loro supporto ed, in particolare, una pilotina di cinque metri per le ricerche in mare, con la quale, il 30 luglio 2005, individuai il relitto della corazzata Regina Margherita.
Nei mesi successivi continuai le mie ricerche lungo le coste albanesi ed emersero i nomi di tante navi italiane affondate nel corso della prima e della seconda guerra, tra questi vi era anche quello dell’Andromeda. Ma fu nel maggio 2007, quando si presentò la grande opportunità di vivere un’esperienza istruttiva a bordo di una nave di ricerca oceanografica, che, nel corso della campagna di indagini, si individuò la presenza di un relitto sul versante ovest della baia di Valona, ad una profondità di 53 metri. Dai rilievi eseguiti con side scan sonar, si osservò che lo scafo era diviso in due parti e adagiato sul fondo in una singolare posizione a V. La nave appariva spezzata al centro e piegata a libro su se stessa, con la prora e la poppa rivolte quasi nella medesima direzione. A malincuore, l’estate seguente la dedicai alla ricerca della Re Umberto trascurando quel punto.
Nel marzo 2008 sempre per motivi di lavoro, lasciai l’Albania per ritornare in Italia e, in seguito, non ebbi più l’occasione di tornare a cercare l’Andromeda.

Le ricerche d’archivio a Roma.

Nell’estate 2010, accantonati alcuni progetti, mi recai a Roma presso l’Ufficio Storico della Marina Militare. Una cortese dipendente mi consegnò una cartella contenente il fascicolo dell’Andromeda che avevo chiesto di consultare. L’aprii e vi trovai al suo interno documenti di grande interesse; primo, in ordine cronologico, il teledispaccio del 17 aprile 1941, con il quale il Comando di Valona comunicava al Comando Superiore della Regia Marina che alle ore zero dello stesso giorno, durante un intenso tiro di sbarramento antiaereo, la silurante torpediniera Andromeda, ormeggiata vicino alla costa del Karaborum a protezione di altri piroscafi e pronta a muovere, veniva colpita da un siluro ed affondava immediatamente. Una prima ricostruzione dell’attacco aereo notturno sulla rada di Valona da parte di aerosiluranti inglesi, era descritta in un foglio del DICAT, la Difesa Contraerea Territoriale di Valona, e inviato al Comando Marina Valona.
Il giorno seguente, il Comando Marina Valona trascrisse l’esposizione cronologica dei fatti relativi al siluramento e del salvataggio dei naufraghi e la inviò ai comandi di Marialbania e Supermarina. Nei fogli erano contenute, inoltre, le osservazioni in merito allo splendido comportamento del comando della torpediniera, degli ufficiali e di tutto l’equipaggio, oltre alle proposte per la medaglia d’Argento al Valor Militare per il comandante, capitano di corvetta Villani, la croce di guerra al Valor Militare a tutto l’equipaggio per la grande freddezza d’animo ed il coraggio dimostrato nel corso dell’affondamento e la promozione al grado di capitano, per merito di guerra, al tenente Luigi Giribaldi, comandante della motocisterna Sesia, al quale venne attribuito il merito di aver messo in salvo la maggior parte dell’equipaggio dell’Andromeda. L’ultimo foglio che esaminai fu la lettera del 28 marzo 1941 agli uffici amministrativi e del personale di Roma con il bilancio dei sottufficiali e marinai, che vennero considerati dispersi e deceduti, rispettivamente cinque e quarantatré.
Dopo la visita all’Ufficio Storico le ricerche di relitti lungo le coste albanesi proseguirono seguendo filoni storici legati alle navi Linz, Paganini, Probitas, Luciano e Rosandra, mentre rimase in un cassetto l’episodio dell’Andromeda. L’occasione per riaprire la vicenda si presentò a dicembre dello scorso anno, quando avviai l’organizzazione della Iantd Expedition Regina Margherita 2016, per celebrare il centenario dell’affondamento della regia corazzata. Ricordando ciò che avevo lasciato in sospeso da lungo tempo, inserii la ricerca dell’Andromeda come secondo target. Svolgere l’attività subacquea commemorativa sul relitto della Regina Margherita in un fazzoletto di mare a due passi del presunto relitto dell’Andromeda e non andare a verificare, sarebbe stata un grosso rimpianto.

Le ricerche del cannone 100/47 della OTO.

Nell’ambito dello studio dell’armamento dell’Andromeda, osservai che la torpediniera era dotata di tre cannoni da 100/47 millimetri, uno a prora e due a poppa, fabbricati a La Spezia presso lo stabilimento OTO Melara del Muggiano. Ne parlai con l’Ammiraglio Giuseppe Celeste, presidente dell’Associazione Amici del Museo Navale e della Storia della Spezia e dell’Associazione Venus, Archivio Fotografico Navale Italiano, il quale mi informò che una copia del cannone in dotazione all’Andromeda era conservato nell’area esterna delle officine ed un’altra presso il Museo Tecnico Navale della Marina Militare. Ritenni quindi indispensabile riuscire a visionarli prima di partire per l’Albania poiché, qualora avessi localizzato il relitto, il risultato del confronto tra i cannoni sarebbe stato utile per l’identificazione ufficiale della nave. Il pomeriggio del 28 novembre, l’Ammiraglio Celeste ed io varcammo la soglia dello stabilimento Leonardo Divisione Sistemi Difesa, ex OTO Melara Spa; l’ingegner Giuliano Franceschi, consigliere e membro del comitato scientifico dell’Associazione Museo della Melara e la dottoressa Alessandra Vesco, custode dell’archivio, ci stavano attendendo.
Grazie alla loro assistenza analizzai la canna dell’impianto 100/47 mm OTO, un cannone navale italiano, impiegato nel ruolo antinave e antiaereo sulle unità di superficie e sottomarine della Regia Marina, durante la Seconda Guerra Mondiale. Fissai nella mente le parti principali, che in seguito, avrei dovuto comunicare a Michele Favaron, Mauro Pazzi e Edoardo Pavia, i componenti della spedizione, incaricati di raccogliere le immagini video-fotografiche nel corso delle immersioni. Esaminai le linee geometriche squadrate dello scudo, i tratti dell’affusto e della bocca da fuoco, tralasciando l’osservazione dei componenti più piccoli, sicuro che quelli del relitto dell’Andromeda sarebbero stati coperti da incrostazioni.

La spedizione.

I giorni precedenti la spedizione trascorsero nel fervore dei preparativi, con tutti i partecipanti impegnati su tre fronti: il primo di carattere burocratico per ottenere l’autorizzazione da parte del Ministero della Cultura d’Albania a svolgere l’immersione commemorativa sul relitto della Regina Margherita; il secondo, quello logistico e organizzativo, per portare a Valona tutte le attrezzature subacquee, le miscele, un compressore della Nardi Compressori, le dotazioni nautiche per le ricerche in mare e una stazione decompressiva, tutto necessario a causa della totale mancanza in loco di diving e centri per la subacquea; il terzo, il completamento delle ricerche storiche tra l’archivio dell’Ufficio Storico e il Museo Tecnico Navale della Marina Militare, l’Associazione Venus e l’Associazione Museo della Melara.
La Iantd Expedition Regina Margherita 2016 salpò così dal porto di Brindisi con destinazione Valona alle 23.30 del 7 dicembre, ripercorrendo la rotta dei convogli italiani diretti in Albania. La spedizione era composta, oltre al sottoscritto, da Massimiliano Canossa videoperatore, Michele Favaron fotografo, Beni Haxhiaj fotografo esterni, Edoardo Pavia videoperatore, Mauro Pazzi fotografo, Igli Pustina responsabile organizzativo.
A bordo del traghetto che ci stava accompagnando a Valona, non restava che raccogliere tutte le informazioni acquisite e condividerle con gli altri componenti della spedizione. Seduti attorno ad un tavolo nel salone passeggeri, trascorremmo le prime ore di navigazione a studiare fotografie, documenti storici e disegni tecnici della torpediniera, per poi andare a coricarci nelle rispettive cabine solo a tarda ora, quando il nostro traghetto era già al centro del Canale d’Otranto.
Una volta arrivati in Albania, se non avessimo trovato le condizioni favorevoli per raggiungere il relitto della Regina Margherita ubicato in mezzo al Canale di Saseno, esposto a volte a correnti e marosi sfavorevoli, ci saremmo dedicati alle ricerche dell’Andromeda.

L’identificazione del relitto.

Il pomeriggio del primo giorno di spedizione, infatti, trascorsa l’intera mattinata per i preparativi, le cose andarono in questa maniera. Eravamo a settecento metri dalla costa del Karaborum e poco più a sud il sole stava tramontando dietro la sella di Petrunes, il valico montano attraverso il quale gli aerosiluranti inglesi, nel marzo del ‘41, irrompevano sulla baia contro le navi italiane ormeggiate in quell’area.
Accese le strumentazioni della barca, GPS ed ecoscandaglio, non dovemmo attendere molto per trovare, alla profondità di 53 metri, la sagoma di un relitto posto esattamente sulla verticale del punto geografico tenuto nel cassetto dal maggio 2007. Il pedagno filò in acqua velocemente e arrivò sul fondo dopo pochi istanti; all’estremità fissammo la boa ad alta visibilità e ci preparammo. La scelta dei gas da respirare nel corso di questa immersione era ricaduta su trimix 18/40 in bibombola come miscela da utilizzare sul fondo, oltre a un trimix 21/35 in bombola S80, e per le fasi di risalita trimix 50/20 in bombola S80 e ossigeno in bombola S40.
Scendemmo Massimiliano ed io per verificare la posizione del pedagno, la visibilità, la corrente e la presenza di eventuali ostacoli come reti da pesca o lenze. Gli accordi erano che, una volta arrivati sul fondo, assodate le condizioni di sicurezza, avremmo dato il via libera agli altri, lanciando in superficie un pallone di segnalazione. Seguimmo la cima di discesa in maniera cauta, il chiarore diminuì a poco a poco e arrivammo sul pedagno nascosto sotto un fondale fangoso alla profondità di 53,5 metri. La visibilità non era ottima, ma un’ombra alta e scura si stagliava sulla nostra destra a tre metri dalla nostra posizione. Rivolsi il fascio di luce in quella direzione e apparve il profilo di una murata di una nave. Mi accorsi di aumentare il ritmo respiratorio dall’eccitazione: l’adrenalina era al massimo. Dopo tre o quattro atti inspiratori ritrovai la lucidità e segnalai a Massimiliano che avrei portato il pedagno più vicino sul relitto, se ci fossi riuscito proprio sulla coperta della nave.
Mi alzai dal fondo e volgendo lo sguardo verso l’alto, riconobbi subito ciò che si mostrò ai nostri occhi: un cannone, dotato di scudo e con la canna rivolta verso la superficie. Il cuore allora riprese a battere ancora più forte e segnalai a Massimiliano in maniera convulsiva la presenza del cannone. Sbigottito dallo scenario che si era esibito in modo così tanto rapido e inaspettato, Massimiliano mi ricordò, che prima di continuare l’immersione, avremmo dovuto lanciare in superficie il segnale che tutto era in ordine. Durante quei pochi istanti, infatti, non avevamo osservato grossi ostacoli, se non delle pesanti reti da pesca a strascico appoggiate qua e là, ma al contrario, avevamo già entrambi il sentore che fossimo davanti al relitto dell’Andromeda.

L’immersione.

Scesero nell’ordine anche Edoardo, Mauro e Michele, lungo la cima che li avrebbe condotti a fianco al cannone in modo da sorprendere anche loro. L’affusto, la canna e il profilo geometrico dello scudo protettivo, corrispondevano fedelmente a quelle dei piani costruttivi e delle foto storiche, esaminate la sera precedente. Senza dubbio, eravamo di fronte al cannone 100/47 OTO modello 1931, con un impianto però modello 1935.
A causa della ridotta visibilità, restava da stabilire ancora se ci trovavamo nella zona prodiera o in quella poppiera della nave. La domanda trovò una risposta, dopo poche pinneggiate, quando apparve la sagoma di un secondo cannone, installato ad un livello più basso rispetto a quello appena incontrato. Ricoperti da una moltitudine di reti da pesca e da un pesante strato di concrezioni, erano installati su due piani di coperta differenti, uno superiore ed uno inferiore, orientati nella medesima direzione e con le canne elevate verso il cielo. In quel preciso istante, ognuno di noi riconobbe i due cannoni installati a poppa della Regia Torpediniera Andromeda.
Arrivati all’estremità della poppa, dove il relitto scompariva sotto una coltre di sabbia, tornammo indietro, proseguendo l’esplorazione verso il centro della nave. Dopo pochi metri, scendendo sul lato sinistro, incappammo in un altro elemento che andava a rinforzare l’identificazione. Sotto uno spesso strato di sedimento, Edoardo e Massimiliano riconobbero due tubi lancia siluri da 450 mm in dotazione all’Andromeda. Proseguendo, incontrammo una moltitudine di lamiere contorte, dilaniate e irriconoscibili, uno scenario spettrale: eravamo nel punto nevralgico, in cui avvenne l’esplosione che provocò l’affondamento. Il siluro, lanciato dal Fairey Swordfish inglese, centrò l’Andromeda sotto il fumaiolo e provocò una deflagrazione che spezzò la nave in due tronconi, strappando dalla coperta l’intero ponte di comando. Con qualche difficoltà d’orientamento seguimmo il profilo del relitto, intuendo un cambiamento di direzione di 180°, confermato dall’osservazione della bussola. In quel momento, stavamo pinneggiando verso la zona prodiera, superato un tumulto di cime d’ormeggio. Questa sezione della nave era distanziato di pochi metri da quella di poppa: in sostanza le due estremità erano orientate nella medesima direzione, come se il relitto fosse chiuso a libro. A prora apparve il terzo cannone, questa volta scoperto da reti, però con lo scudo di protezione collassato. Sopra la canna, era posata una moltitudine di stelle serpentine (Ophiotrix fragilis) e gigli di mare (Antedon mediterranea), questi ultimi crinoidi colorati che, disturbati dai fasci di luce, si muovevano freneticamente, creando una scenografia singolare. Sotto l’impianto, invece, notammo la presenza di numerosi proiettili, accatastati e ricoperti da spugne gialle e arancioni (Axinella polypoides), che, illuminate, donavano un tocco di colore all’ambiente buio circostante. Durante l’esplorazione della zona esterna il relitto, Edoardo notò un oggetto metallico, dalla forma circolare, fuoriuscire dalla sabbia poco lontano dalla murata di dritta. Una volta raggiunto e illuminato, riconobbe un particolare strumento di navigazione. Era la cuffia della chiesuola bussola di rotta, cioè la parte superiore della struttura di sostegno e di protezione della bussola magnetica, priva oramai sia del cristallo per la visione della rotta da parte del timoniere, che delle sistemazioni dei lumi per la visione notturna.

L’epilogo.

Una volta risaliti in barca, ci scambiammo le opinioni e ogni sorta di dubbio sull’identità del relitto fu definitivamente fugata. Tutti i risultati ottenuti nell’ambito delle immersioni, confermarono ciò che era da qualche tempo più che chiaro, ma le sorprese non ancora erano finite. Michele ci disse, con una grande soddisfazione, di aver riconosciuto a prora della nave, proprio in corrispondenza del tagliamare, la Stella d’Italia, la stella bianca a cinque punte che da molti secoli rappresenta la terra italiana e che viene fissata sulla prora di tutte le navi della Marina Militare, con il valore simbolico della Patria. Lo studio della documentazione video e fotografica confermò la presenza della stella: nascosta tra spugne e concrezione, spiccava quella dell’Andromeda.

Un sentito ringraziamento a tutti coloro che hanno contribuito al successo della Iantd Expeditions Regina Margherita svoltasi a Valona dal 7 al 12 dicembre 2016: Ammiraglio Giuseppe Celeste Dott. Kriledian Cipa, Ing. Giuliano Franceschi, Ben Haxhiaj cameraman, Dott. Mariglen Meshini, Igli Pustina, Dott. Fabio Ruberti e Dott.ssa Alessandra Vesco, e inoltre Ministero della Cultura della Repubblica d’Albania; Consolato Generale d’Italia a Valona; Archaeological Service Agency of Tirana; Associazione Amici del Museo Navale e della Storia della Spezia; Associazione Venus Archivio Fotografico Navale Italiano La Spezia; Associazione Museo della Melara La Spezia; Azienda Nardi Compressori Srl Montecchio Maggiore Vicenza; Federazione Subacquea Repubblica d’Albania; Fondazione Ansaldo Genova; Iantd Srl Marina di Pisa; Leonardo Divisione Sistemi Difesa; South Regional Directorate of National Culture Valona; Ufficio Storico Marina Militare Roma. L’iniziativa è stata supportata dai centri: Acquamarina – Marina di Pisa (Pisa); Acquelibere Sub – Limena (Padova); Blu Sub – Tirana (Albania); Nautica Mare Dive – Caldiero (Verona); Poseidon System Italia – Bari; Sea Dweller Divers – Roma; Sub Delphinus – Ravenna.

SERATA “TORPEDINIERA ANDROMEDA: IL RITROVAMENTO”

Per il ciclo di conferenze “Abissi, storie di uomini e di mare”, venerdì 26 maggio alle ore 20.30, a Mestre presso la sala eventi del ristorante Officina del Gusto in via Paolo Sarpi 18/22, si terrà la serata, organizzata da Abissi Underwater Photo Venice – “Città di Venezia” e Club Sommozzatori Mestre, dal titolo “Torpediniera Andromeda: il ritrovamento” con Cesare Balzi, Massimiliano Canossa, Michele Favaron, Ben Haxhiaj, Edoardo Pavia, Mauro Pazzi, Igli Pustina e Fabio Ruberti. Ingresso libero. Per info e prenotazioni 347 4644552 – 335 5975236.

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