“NordStream”! Basta la parola a rievocare il sabotaggio sottomarino delle condotte di gas che dalla Russia portavano metano fino in Germania. Le cronache dell’ultimo trimestre 2022 ne furono piene, mentre poi - come un film già visto - non se n’è parlato quasi più. Però non s’è trattato d’un film bensì d’un altro disastro ambientale a causa umana. Chiunque sia stato.
A cura della Redazione
Avete presente quella chiazza bianca che nelle riprese aeree da una certa imprecisata distanza, ai primi di ottobre scorso, sembrava una macchiolina di schiuma circolare in mezzo allo sfondo scuro del mar Baltico? E che per almeno ottobre e novembre 2022 ha saturato le cronache tv? Ecco: quando la riguardiamo stiamo vedendo un diametro reale di circa 1 chilometro! E il ribollio della superficie al centro si alza di parecchi metri rispetto al normale livello del mare. Un cono con la punta in alto, d’acqua emulsionata con gas, aria e sedimenti, quasi come un geyser, solo con base molto più larga. Qualcosa che in mare forse non si era mai visto, se non in qualche eruzione vulcanica subacquea di quelle che possono portare alla formazione temporanea di nuove isole.
Ma quali sono le dimensioni e le entità reali dell’inquietante fenomeno che, tra alti e bassi, non si sa nemmeno se sia finito del tutto – né da quanto – o quali conseguenze avrà? Vediamolo, con qualche cifra, dati alla mano.
Va solo premesso che al momento, almeno in base a ciò che si sa per certo, nessuno è ancora stato a verificare in modo sistematico ed esaustivo cosa sia accaduto in fondo al Baltico, né di persona né con veicoli subacquei a controllo remoto (ROV), se si eccettua un robot subacqueo svedese (sempre stando all’ufficialità) che si è spinto in epoca molto recente a documentare i danni, peraltro confermandone l’origine dolosa; quindi la gran parte dei rilevamenti sono avvenuti mediante metodi fisici a distanza (sismografici, ecografici ecc) piuttosto indiretti.
Detto questo, quel che è certo è che nella notte del 26 settembre 2022, a una profondità tra i 70 e i 90 metri, due potenti esplosioni subacquee quasi in contemporanea, seguite a ruota da una terza e poi una quarta, hanno devastato un tratto non ancora misurato dei due principali condotti del gas: il Nord Stream 1, che era quello operativo; e il Nord Stream 2, la linea più recente, predisposta e pronta ma non ancora resa operativa al trasporto del gas, anche se ne conteneva già al suo interno.
Alcune stime parlano di non meno di 5 quintali di esplosivo ad alto potenziale, utilizzato complessivamente. E di certo le modalità di brillamento non possono avere nulla di naturale né accidentale: resta da capire se ci sia stato portato da dentro, usando i robot di manutenzione; o se sia arrivato dall’esterno; e in questo caso se per effetto di un siluramento oppure di minamento preliminare ad opera di guastatori specializzati condotti sul posto da un’unità sommergibile; oppure ancora mediante Rov filoguidati da remoto.
Secondo la stampa tedesca inoltre – Der Spiegel in particolare – le modalità di attuazione di un sabotaggio del genere, per andare a segno, obbligano a gestire tali complessità che diventa lecito sospettare l’opera di una potenza statale piuttosto che l’attentato di un gruppo terroristico.
In effetti, se solo si prova a immaginare cosa significhi portare a termine una missione con un obiettivo di tale portata, ci si sente catapultati dentro le migliori trame di “007” o di “Mission Impossible”; e magari la realtà di quel che non si sa supererebbe di parecchio qualsiasi finzione cinematografica.
In più c’è da considerare un grosso problema: secondo molte fonti, nonostante mentre andiamo in pubblicazione la fuoriuscita massiccia di gas si sia probabilmente esaurita da tempo, al suo cessare completo sarà diventato inevitabile che l’acqua di mare (salata!) abbia allagato i condotti! Con pesanti conseguenze sui tempi di qualsiasi eventuale ripristino…o anche di semplice messa in sicurezza e nonostante i condotti siano dotati di rivestimenti e sistemi anticorrosione. Insomma può darsi che l’opera NordStream 1-2, almeno da un punto di vista funzionale, non esista più!
Ma torniamo alla fuoriuscita impressionante del periodo acuto: la sua entità ha fatto parlare gli esperti di “disastro ambientale di tipo climatico”: alla fine infatti si sarà trattato di una “fuga di gas” da almeno 300 milioni di metri cubi di metano! Forse non troppi, se si pensa che corrispondono a 5 milioni di tonnellate di CO2 (anidride carbonica equivalente) che poi è la produzione globale media del nostro solo Paese in 5 giornate messe insieme; e sebbene altre stime siano molto più al rialzo: 9,6 mln tons, Andrew Baxter, direttore dell’Environmental Defense Fund di New York; 14 mln tons, Kristoffer Böttzauw, direttore dell’Agenzia danese per l’energia; 30 mln tons, Greenpeace Europa. Ma, considerando che entro la scala dei 100 anni il metano ha un potenziale di effetto serra 25 volte più dannoso di quello della CO2, diciamo che…questa perdita non ci voleva proprio! Anche perché va comunque ad aggiungersi al globale consueto delle emissioni gassose nocive in atmosfera, non ne sostituisce alcuna. In ogni caso, anche considerando la stima più bassa, si tratta della più grande fuga di metano in atmosfera mai registrata: l’unico precedente degno di rilievo, ma comunque di molto inferiore anche alla stima minima dei 5 mln tons di cui sopra, fu quello dall’impianto di stoccaggio di Aliso Canyon, a Los Angeles, nel 2015…diluito fra l’altro in svariati mesi, non concentrato quasi tutto insieme come accaduto nel Baltico.
Insomma l’evento del NordStream è diventato subito un improvviso e fulmineo surplus di cui il nostro pianeta avrebbe fatto volentieri a meno! Il “colpo” che non ti aspetti. Un colpo di cui, oltretutto, poco importa al pianeta Terra “chi” gliel’abbia sferrato!
Come si arriva a certi calcoli? Secondo le puntuali ricostruzioni comparse su “GeoPop – le scienze della Terra nella vita di tutti i giorni”, nota e affidabile piattaforma di divulgazione scientifica, basta considerare che ciascuno dei quattro condotti in questione (già, in realtà sono proprio quattro!) misura 1,1 m – ossia 110 cm – di diametro, ogni tubo è lungo 1.220 chilometri e la pressione al loro interno è come accennato più di 100 bar con circa 10°C di temperatura media. Il calcolo non è quindi impossibile da ricostruire ma non state a provarci: che il conto torni o meno, alla stima dei suddetti 300 milioni di metri cubi di gas volati via c’è già arrivato anche il Guardian, altra fonte più che autorevole.
Ma com’è potuto sfuggire via tutto quel gas se le due linee – che poi in realtà sono una doppia coppia di condutture, chiamate appunto nell’insieme NordStream 1 e 2 – erano ferme? NS 1 era stato stoppato “per manutenzione” da Gazprom (l’azienda di stato russa titolare del sistema) e il giorno di ripristino previsto inizialmente era stato prorogato “in data da destinarsi”. E l’NS 2 non era ancora mai diventato operativo ma solo preparato per entrare in funzione. Quindi?
È presto detto: il flusso dinamico nelle condutture avviene per gradienti di pressione e può essere arrestato da un sistema di valvole a monte e a valle del tratto che si vuole interrompere. Dunque lo scorrimento si ferma ma la chiusura lascia all’interno di questo tratto, finché non subisce perdite, la normale pressione di esercizio, che rispetto alla pressione ambientale esterna è circa 11 volte maggiore: 100-105 bar (atmosfere) all’interno, contro 9 di pressione-ambiente al di fuori, risultanti da 1 bar di pressione atmosferica di superficie più 8 bar di pressione relativi alla profondità di 80 metri (arrotondiamo volutamente la quota a una media tra i rilevamenti delle esplosioni). Inoltre, come già accennato, non conosciamo con esattezza l’estensione in lunghezza del tratto danneggiato dalle deflagrazioni ma è assai probabile che sia considerevole: le immagini più recenti del ROV svedese accennato sopra fanno parlare di almeno 50 metri di falla! Ecco perché la fuoriuscita del gas è stata comunque così massiccia.
Il tratto più danneggiato sarebbe addirittura “crollato” rovinando sul fondale, dato che di solito correva sopraelevato di una certa altezza dal fondo: dopotutto, secondo fonti danesi recenti, si apprende del ritrovamento di resti di esplosivo e di altri materiali residuali da elementi detonanti (che farebbero ricalcolare il quantitativo esplodente in addirittura 2 tonnellate!)… dunque il grado di distruzione provocato sarebbe tale da pregiudicare completamente qualsiasi possibilità di riparazione o ripristino. A quel che se ne sa finora, il NordStream 1 e 2 nel suo complesso è davvero perduto per sempre.
Infine, l’entità del problema climatico-ambientale resta elevata anche considerando una certa solubilità del metano nell’acqua marina in quanto la percentuale tendente a sciogliersi in mare sarebbe comunque poco significativa, per cui tutto quel gas a effetto serra sarebbe stato – ed è – destinato in ogni caso a salire in atmosfera.
Ultimamente la trama di come sia andata dal punto di vista tecnico-subacqueo s’è infittita con ulteriori ipotesi investigative o, per meglio dire, d’indagine giornalistica: è ancora il Der Spiegel ad aver sostenuto una ricostruzione secondo cui sarebbe bastata una barca a vela di 15 m, dal nome di “Andromeda”, ad ospitare un commando di 6 persone – 5 uomini e 1 donna – di nazionalità sconosciuta che avrebbe compiuto l’intera operazione di sistemare le cariche d’esplosivo sul fondo, innescarle e farle poi detonare a distanza. Tuttavia, le profondità medie a cui si sarebbe svolta un’impresa del genere, tali da imporre molte immersioni con l’uso di miscele respiratorie e conseguenti complesse decompressioni, lasciano aperti molti dubbi: come ha potuto prendere posto tutto il materiale necessario a bordo di una barca a vela? Come sono potuti bastare i tempi necessariamente lunghi per compiere tutti i “tuffi” senza dare nell’occhio? L’assistenza in superficie non avrebbe dovuto prevedere anche una camera iperbarica almeno biposto che invece non si è vista? Insomma, l’ipotesi appare contraddire l’opinione più fondata secondo cui la riuscita del sabotaggio potesse essere garantita solo da un’entità militare statale. A meno che… ancora una volta ciò che non si sa – e che forse mai si saprà – sia di gran lunga più ingente di quanto si sia potuto sapere.
Eppure il punto è un altro e cioè che anche adesso che comunque la frittata è fatta si riparla del NordStream “solo” per l’illusione di sapere chi sia stato, piuttosto che per chiedersi l’entità del danno arrecato alla Natura, cioè a noi stessi.
E forse esserne consapevoli contribuisce a definire meglio nell’opinione pubblica quel senso di profondissima assurdità attribuibile a qualsiasi conflitto armato, tanto più quando – come in questo caso – comporta disastri ambientali portatori di conseguenze su scala globale, che finiscono per riguardarci tutti quanti, a ogni latitudine e chissà fino a quando.
(NOTA: le illustrazioni in grafica sono solo esemplificative e non corrispondono alle configurazioni reali né agli scenari delle quote sommerse a cui sono avvenute le esplosioni che hanno determinato i danni al gasdotto. Le foto delle emissioni in superficie e una subacquea invece sono corrispondenti al reale. Fonti delle immagini: Marine Technology News; GeoPop; Il Mattino; Il Messaggero; RaiNews; La Press; ADN Kronos; Economia Italia…che ringraziamo).