Immergersi sul relitto d’un aereo da guerra restituisce le immagini di un inabissamento così rapido da evocare un’istantanea degli ultimi convulsi momenti della macchina volante e del suo equipaggio. Qualcosa che rivive in noi al primo sguardo di quella sagoma sul fondo
A cura di Claudio Budrio Butteroni
L’immersione sui relitti viene spesso definita come un viaggio nel tempo. Ogni agito umano viene a cessare nel momento in cui la linea del mare sommerge i nostri manufatti; il nostro tempo si ferma, mentre un altro inizia a scorrere. Questo è tanto più vero quanto sono rapidi i tempi dell’affondamento… come succede agli aerei!
Nelle mie esperienze subacquee, l’esplorazione del relitto di un aereo era una di quelle caselle vuote da riempire. In questo caso la necessità di controllare fino all’ultimo il veicolo per perseguire un ammaraggio quanto più possibile conservativo, e la successiva esigenza di abbandonare celermente il mezzo destinato ad un rapido inabissamento, ci consegnano una vera e propria istantanea degli ultimi attimi di vita vissuta.
Così, colta l’occasione di una vacanza in Salento, prendo contatti con il Diving Costa del Sud di Andrea Costantini. Il relitto dello Junker JU88 di Nardò è meta nota e la frazione a mare di Santa Caterina è un posto piacevolissimo per trascorrere qualche giorno.
Il diving Costa del Sud è situato proprio sul lungomare di Santa Caterina a pochi passi dalla piazzetta pedonale. Offre qualsiasi tipo di supporto ed è dotato di una moderna stazione di ricarica per qualunque tipo di miscela. Mi accoglie Angelica che mi fornisce gentilmente supporto logistico per le mie esigenze subacquee, oltre a quello turistico per agevolare e rendere quanto più piacevole la nostra permanenza.
Fissiamo per la mattina successiva un appuntamento “comodo” al diving, che io anticipo di una mezz’ora per avere il tempo di montare con calma il mio rebreather JJ. L’immersione su questo relitto non è particolarmente complessa ma da quando sono passato al mondo “bubble-less” utilizzo il circuito chiuso per quasi ogni tipo di esperienza subacquea.
Il relitto si trova adagiato su un fondale sabbioso di circa 40 metri.
Si tratterà di un’immersione quadra, ed i tempi di permanenza – data la eterogeneità del gruppo – saranno relativamente contenuti.
Imbarcate le attrezzature sul gommone, una manciata di minuti di navigazione ci separano dal punto di immersione. L’ancoraggio viene volutamente effettuato a debita distanza dal relitto per preservarne la struttura, ed appena spenti i motori mi tuffo per primo sperando di poter così grattare qualche minuto in più di immersione. Giunto a pochi metri dal fondo mi assale la depressione… l’ancora è lì, ma del relitto neanche l’ombra.
Poi, come spesso accade, basta crederci.
Bastano cioè due pinneggiate e qualcosa si inizia ad intravedere.
Metto le mani “a paletta” ai lati della maschera per schermare i raggi del sole che potenti riflettono sulle lenti, e una sagoma mi appare.
Sulla storia di questo relitto molto è stato scritto, ma si tratta per lo più di ipotesi e supposizioni. I racconti degli anziani riferiscono di un grosso aereo caduto in mare, di un corpo in divisa rinvenuto ad alcuni giorni di distanza spiaggiato nella vicina frazione di Santa Maria al Bagno e poco altro. Solo un paziente lavoro di ricerca ed esplorazione di Andrea Costantini ha reso possibile l’individuazione ed il ritrovamento dell’apparecchio.
Si tratta di uno Junker tedesco, un aeroplano estremamente versatile e realizzato durante la seconda guerra mondiale in diverse versioni. Normalmente poteva contare su un equipaggio di tre persone: un pilota, un mitragliere di prua disteso sulla plancia e un mitragliere di poppa seduto di spalle dietro al pilota.
Quello abbattuto a Nardò di suppone possa aver partecipato al bombardamento di Taranto, avvenuto nella notte tra l’11 ed il 12 novembre 1940.
Appare sostanzialmente integro, con le ali ancora al loro posto sollevate dal fondo. La cabina di pilotaggio è priva del cupolino, evidentemente distrutto o sganciato dal pilota in fase di ammaraggio. Sorprende l’antenna radio ancora al suo posto.
All’interno nessun resto umano fu rinvenuto e questo fece ritenere che tutto l’equipaggio fosse riuscito ad abbandonare il velivolo. Le strumentazioni di bordo appaiono ancora ben visibili anche se colonizzate dagli organismi del mare.
Percorso il velivolo per la sua lunghezza si giunge in prossimità del carrello posteriore, che però risulta troncato. A distanza di pochi metri giace il timone di coda su cui si riesce ancora ad intravedere la croce uncinata del Terzo Reich.
Tornando sui miei passi mi dedico poi all’esplorazione delle ali. I flap sono aperti in posizione di atterraggio ed i due grossi motori sono ancora al loro posto, tuttavia privi delle eliche in quanto probabilmente danneggiate e perse proprio in fase di ammaraggio.
Ovunque si posi lo sguardo a distanza ravvicinata è tutta un’esplosione di colori, con nuvole di castagnole che ingombrano la vista (anche se le foto in bianco/nero, come avviene un po’ per tutti i tipi di relitti, rappresentano un grande classico, irresistibile nella documentazione per immagini di queste sagome così affascinanti addormentate sul fondo…).
Purtroppo il tempo di fondo raccomandato dal nostro accompagnatore si assottiglia e non mi rimane che iniziare una lenta risalita verso la superficie. Mi resta giusto il tempo di voltarmi ancora un istante per qualche ultimo scatto e per godere di una visione d’insieme che porterò con me per diverso tempo ancora.
1 Comment
Stefano Glendening
Grazie per l’articolo, non ero a conoscenza di questo relitto, pur conoscendo Santa Caterina e Santa Maria al Bagno, sebbene residente negli U.S.A.