Il relitto della Graf Zeppelin, la “portaerei del 3° Reich”, mai entrata in funzione, giace in fondo al Baltico. Identificata solo pochi anni fa, non ne esistono che poche immagini. Una spedizione è andata a cercar di colmare lacune come questa.
A cura della Redazione. Foto di Quota Limite
«Nel contesto della zona del Baltico in cui andiamo a fotografare e filmare la Graf Zeppelin ci sono anche altri relitti, in particolare ce ne interessa uno “nuovo”, tedesco, molto grosso, militare, un cargo armato o una nave da guerra… vedremo!»
E’ Aldo Ferrucci che parla, l’abbiamo raggiunto che è già in viaggio… dal giorno 13 luglio lui e altre 13 persone, tra cui un altro solo italiano, si stanno immergendo nel mar Baltico per questa spedizione particolare con base di partenza a Danzica.
Aldo… qualche dato numerico sulle caratteristiche delle immersioni?
«Il range di profondità in media si manterrà tra i 60 e i 90 metri, dunque non tanto, ma la difficoltà deriverà dalla distanza di 10 miglia dalla costa, dall’essere dunque in pieno nel Mare del Nord. Il che significa una temperatura costantemente tra i 3,5 e i 4,5°C sul fondo, con 12-15 in deco e termoclino alto… Nonché il buio o la visibilità spesso scarsa anche alle lampade.»
Un passo indietro… la base di partenza? Il mezzo navale d’appoggio?
«Abbiamo circa 20 ore di viaggio in auto, poi a Danzica c’è l’imbarco su una unità navale lunga 45 m che sarà una specie di nostro campo base imbarcato. Dal 13 compreso in poi 6 giorni pieni d’immersioni. E ogni volta pernottamento in un porto diverso…»
Quante persone?
«Da 12 a 14, ma solo due italiani, io e Marcello Bussotti. Gli altri da tutta Europa, specialmente inglesi. Anche il capo-spedizione è un polacco che vive in Inghilterra…»
La maggior difficoltà incontrata finora nei preparativi?
«I permessi da parte delle autorità polacche! Sono loro che autorizzano. Ottenerli è oltremodo complesso e soprattutto dai tempi lunghi. Pensa che abbiamo avuto i permessi per la Graf Zeppelin a maggio, altrimenti sarebbe stata interdetta alle immersioni…»
E la maggior difficoltà che prevedi sul campo?
«Sarà data senz’altro dalle caratteristiche del Mare del Nord, che è quasi sempre formato oltreché come già anticipato assai freddo e oscuro…»
E’ vero che hai in dotazione una muta dai superpoteri?
«Beh diciamo che i suoi costruttori – l’azienda QuotaLimite/SubDesign di Prato – se lo augurano per me, ma in realtà sono fiducioso si riveli risolutiva come tutti i test già fatti lasciano supporre… tanto tra poco te lo saprò ridire!»
Testata dove?
«Non soltanto in ambiente molto simile – almeno per temperature – a quello dove andremo: a Lavarone… L’abbiamo anche studiata, ritoccata, rifinita e verificata fino all’ultimo minuto prima di partire!»
E promette bene?
«Impedisce il passaggio del calore in tutti i versi, sia da interno a esterno che al contrario. Alla termocamera, quando ci infili una mano dentro, vedi letteralmente “sparire” la mano! Ti dico una sola altra cosa: a Lavarone, sotto il ghiaccio, impiegavamo un sottomuta realizzato con nanotecnologie che s’è rivelato troppo efficiente… insomma con questa muta qui teneva talmente caldo che faceva rischiare il colpo di calore. Così per il Baltico ne abbiamo testato e ne useremo uno meno performante.»
Quali novità costruttive presenta la muta… se si può?
«Mah guarda la caratteristica principale, oltre naturalmente alle proprietà del tessuto di per sé, è quella di non avere cuciture. I margini dei lembi vengono giustapposti per un tratto di modesta ampiezza che viene poi nastrato con colle vulcanizzanti speciali… questo comporta una difficoltà implicita nello stagnare le saldature. Perciò la prova sarà tra le più dure, specie considerando le mutevoli e spesso intense manifestazioni del Baltico e le conseguenti sollecitazioni che provocheranno su tutti i materiali…»
E gli apparecchi di respirazione?
«Saremo quasi tutti in “reb” – con il rebreather, ndr – e solo due in circuito aperto.»
Com’è nata l’idea di questo “giretto” nel Baltico e perché così in gruppo?
«Un po’ per caso, un po’ perché mi piace per una volta essere nella parte del sub anziché in quella dell’organizzatore. Inoltre c’è la forte motivazione del documentare con le immagini meglio di quanto non sia stato fatto finora, uno scopo per cui ci siamo ben attrezzati. Il gruppo poi s’è formato in base a reciproca conoscenza tra i componenti. Pensa che alcuni dei partecipanti non si sono mai incontrati prima di persona… eppure fa piacere lo scambio di informazioni, di tecniche, di esperienze. Le cose sono più belle se le condividi con qualcuno.»