In una ricca mostra espositiva aperta fino al 2 novembre al Vittoriano a Roma tutte le meraviglie del continente dai mille primati. La testimonianza di uno tra i subacquei antartici più esperti nel 30° anno del PNRA, il Programma Nazionale di Ricerca per l’Antartide. Nel quale l’immersione con sommozzatori e robot fa la sua parte.

A cura di Romano Barluzzi – foto di Roberto Palozzi, Paul Nicklen, Enrico Sacchetti gentilmente concesse dalla mostra “Missione Antartide – 30 anni di ricerca italiana nel continente estremo

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L’Antartide potremmo ridefinirlo il continente “dei mille più”: il più gelido, il più distante, il più inesplorato, il più alto, quello con più acqua dolce eppure al contempo il più secco… Certamente il più estremo, il più inospitale e ancor oggi il più misterioso. E’ perfino il posto dove si trovano più meteoriti al mondo. Qualche cifra in pillole può dirvi quanto sia così: la superficie conta tra i 12,1 milioni di chilometri quadrati e i 20, grosso modo l’estensione che si otterrebbe unendo assieme Stati Uniti ed Europa; 1.000 chilometri di oceano, quelli del famigerato e pericolosissimo Stretto di Drake, lo separano dal continente più vicino, l’America del sud; l’Australia è a 2.500 km, il Sud Africa a 3.800; è coperto per il 98% di ghiaccio che costituisce l’80% di tutta l’acqua dolce disponibile sulla Terra; la sua altitudine media è la più elevata tra tutti i continenti collocandosi intorno ai 2.500 m s.l.m.; nell’agosto del 2010 la temperatura sul Plateau antartico è scesa a – 93,2 °C; i venti catabatici si sono spinti a record di 320 Km/h di velocità registrati presso la base francese Dumont d’Urville.
Attività vulcanica, laghi nascosti e animali dell’estremo
L’Antartide custodisce un enorme vulcano attivo, il monte Erebus, con tanto di lago magmatico dentro un cratere che arriva a quasi 4.000 metri d’altitudine. Lo spessore dei suoi chilometri di ghiaccio “appoggiati” su terre rocciose antichissime (dai 3,6 miliardi ai 500 milioni di anni fa) nasconde perfino uno sterminato lago subglaciale sepolto e completamente chiuso, il Vostok, composto misteriosamente di acqua allo stato liquido. Per quanto sembri paradossale, tra tanto ghiaccio, l’aria in Antartide è talmente secca che il rischio disidratazione per chi respira qui è alto quanto al sole del deserto, così come il pericolo di incendi accidentali; e la trasparenza della visuale è tale che la stima delle distanze apparenti ne risulta completamente falsata e ingannevole.
Malgrado sia tanto inospitale, nel continente vivono e si riproducono – per considerare solo gli organismi animali – 4 specie di foche (foca cancrivora, foca di Ross, foca di Weddell e foca Leopardo) e 12 di uccelli. E nell’Oceano Antartico che lo circonda la vita abbonda ancor di più: grandi quantità di krill (il gamberetto antartico per antonomasia) supportano una ricca fauna ittica che comprende orche e balene. Il tutto preservato come in una smisurata bolla marina dalla “convergenza antartica”, fascia di corrente oceanica perenne che costituisce l’autentico confine del continente. E vivono qui moltissime specie di pesci, alcuni dei quali hanno una sorta di “antigelo” nel sangue: una sostanza in soluzione che assicura al loro sistema circolatorio di proseguire le sue funzioni anche se esposto a temperature che congelano l’acqua del mare. Quando appena qualche anno addietro un’intera piattaforma di ghiaccio – la Larson B – si staccò dal continente furono rinvenute sotto l’immenso iceberg tabulare innumerevoli specie viventi fino a quel momento sconosciute. Non è un caso se oggi come oggi l’Antartide viene studiato perfino per le possibili similitudini di alcuni suoi ambienti con determinati corpi celesti che potrebbero racchiudere forme di vita dell’estremo, tra cui una luna di Giove e perfino lo stesso Marte.

Protagonisti veri? Il ghiaccio marino e l’immersione subacquea
Un elemento fondamentale per l’ecosistema antartico è lo stesso ghiaccio marino. E’ il ciclo stagionale di formazione e disfacimento della superficie ghiacciata del mare che controlla tutto, dalla salinità dell’acqua alla disponibilità di luce, dalla produzione di fitoplancton allo sviluppo del krill (Euphausia superba) e degli animali che se ne nutrono. Il ghiaccio poi influenza direttamente anche le fasi riproduttive e lo sviluppo di alcune specie come, ad esempio, il pesce Pleuragramma antartica.
Nell’area di Baia Terra Nova, prospiciente la base italiana Mario Zucchelli, la presenza di una polynya (zona marina permanentemente libera dai ghiacci) ha consentito lo sviluppo di un ecosistema unico per biodiversità. I risultati delle ricerche svolte in questo trentennio dal PNRA – tra cui quelle subacquee – hanno permesso di ottenere per due siti costieri di questa zona del Mare di Ross lo status di Aree Antartiche Specialmente Protette (ASPAs), importanti passi in avanti nella tutela complessiva dell’ambiente antartico.
Ma perché, in fondo, l’Antartico interessa tanto – e dovrebbe interessargli ancor di più! – al genere umano? E’ presto detto: l’Oceano Antartico, parte integrante del Continente Antartico, è il motore stesso della circolazione oceanica globale. Ogni variazione del suo stato si riflette direttamente sulle modificazioni del clima dell’intero pianeta Terra!
La mostra
Tutto questo e molto altro potete trovarlo in una mostra da poco inaugurata, aperta fino al 2 novembre presso il “Complesso del Vittoriano” a Roma, intitolata “Missione Antartide – 30 anni di ricerca italiana nel continente estremo”. E’ stata ideata per illustrare e celebrare gli scopi e i luoghi dei primi 30 anni del PNRA – Programma Nazionale di Ricerca per l’Antartide. La mostra è in realtà un ricchissimo percorso espositivo suddiviso in aree tematiche attraversando il quale si ricevono in maniera multimediale tutte le delucidazioni.
Per informazioni: http://www.comunicareorganizzando.it/mostra/missione-antartide-30-anni-di-ricerca-italiana-nel-continente-estremo/

La parola all’esperto
A questo punto, per capire meglio il ruolo che le immersioni subacquee umane ricoprono nella ricerca italiana in Antartide, abbiamo chiesto lumi a un personaggio che si presenta da solo: Roberto Palozzi, per gli amici “Bob”. Giusto per darvi un’idea: è stato il primo al mondo ad aver documentato il periodo di svezzamento dei cuccioli della foca di Weddel direttamente in Antartide, sul campo! Prima di lui non se ne sapeva nulla. Le sue foto e i video con mamma foca che insegna a nuotare dai buchi nel ghiaccio ai propri piccoli hanno già fatto il giro del mondo, riprodotte anche in molte trasmissioni tv. Ed è stato anche primo al mondo a immergersi sotto la banchisa polare con il rebreather.
Oggi è anche uno degli assegnatari degli spazi espositivi della mostra “Missione Antartide” a Roma (di cui sopra) dove vengono esposte le sue foto assieme a quelle di altri fotografi di calibro internazionale, come Paul Nicklen di National Geographic e Enrico Sacchetti superesperto di foto scientifica e industriale. Sempre di “Bob” Palozzi è il video-documentario che su maxischermo accoglie i visitatori all’inizio del percorso multimediale della mostra.
Roberto “Bob” Palozzi, biologo-zoologo, ricercatore, fotografo, giornalista, videoperatore e autore-regista televisivo, esploratore e subacqueo “antartico” per eccellenza… ho senz’altro dimenticato qualcosa? Quante volte sei già stato in Antartide? La prima e l’ultima?
«In tutto ho collezionato 6 spedizioni polari: una nell’Artico, alle isole Svalbard e cinque in Antartide. E ho avuto la grandissima fortuna e il privilegio di immergermi sotto la banchisa polare sia artica che antartica, sia a 75° di latitudine Nord che a 75° di latitudine Sud.
La prima volta che ho toccato il ghiaccio del Polo Sud è stato nel 2007 e l’ho fatto da “americano”. Partecipavo, infatti, a una spedizione di ricerca dello Smithsonian Institution di Washington DC a cui ero aggregato come dottorando. L’enorme base statunitense di Mc Murdo, nell’isola di Ross, è stata in assoluto la prima cosa che io abbia visto dell’Antartide. Un posto incredibile, difficilmente descrivibile: quasi una via di mezzo tra una polverosa cittadina mineraria di frontiera e un avamposto lunare…
Poi, però, dopo qualche giorno di ambientamento, con il mio gruppo di ricerca abbiamo raggiunto una colonia di foche di Weddell sull’oceano congelato e lì siamo rimasti per circa 2 mesi, vivendo, lavorando e dormendo in campo remoto fatto di tende e alcuni moduli. Lo scopo della nostra missione era quello di studiare l’ecologia riproduttiva di queste foche e lo sviluppo delle abilità subacquee nei cuccioli.
La mia più recente spedizione risale allo scorso novembre e come tutte le altre dal 2008 in avanti, è stata condotta nell’ambito del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA), l’istituzione italiana che da 30 anni gestisce le nostre basi nel continente di ghiaccio e fornisce tutti gli strumenti necessari agli scienziati italiani per condurre le loro ricerche polari.
Cos’hai dimenticato? Vegetariano, perché trovo insopportabile l’idea di uccidere un qualunque animale.»

Qual è oggi la stima delle possibili conseguenze che la produzione di grandi masse d’acqua dallo scioglimento dei ghiacci antartici indurrebbe in bacini come il Mediterraneo?
«Premesso che siamo nel campo della “fantascienza”, o quasi…, è stato stimato che il completo scioglimento della calotta polare antartica (che, ricordo, è un’enorme massa di “acqua dolce congelata”) porterebbe a un innalzamento del livello marino di circa 70 metri. E nel caso, un bel pezzo d’Italia finirebbe sott’acqua.
Ma questo sarebbe solamente il minore dei problemi se comparato agli indescrivibili sconvolgimenti ecologici che un evento del genere ingenererebbe su tutto l’ecosistema Terra.»
Qual è la misura del contributo che la ricerca marina e in particolare quella subacquea possono aver dato finora in Antartide? E quella che potrebbero dare in futuro?
«Dei mari, degli oceani in generale sappiamo ancora piuttosto poco. Basti pensare che sono molti, molti di più gli esseri umani che hanno raggiunto la luna e lo spazio rispetto a quelli che sono scesi nelle piane abissali (dai 4.000 metri di profondità in giù) o nelle fosse oceaniche. In Antartide questo stato di cose è ancora più enfatizzato a causa delle condizioni ambientali estreme. Ciò detto, la ricerca biologica in Antartide è in larghissima parte assorbita dalla ricerca marina perché è soprattutto negli oceani e nelle zone costiere che laggiù la vita è riuscita a prosperare. La ricerca marina polare sta dando grandi contributi in termini sia di nuove informazioni che vanno a comporre il grande puzzle dell’evoluzione, sia di dati in grado di contribuire alla modellizzazione degli effetti (e quindi alla loro previsione futura) del riscaldamento e dell’inquinamento globali, sia di scoperte di nuove molecole e processi metabolici potenzialmente in grado di dare risposte ad alcune delle malattie umane più difficili da combattere.
Se per ricerca scientifica subacquea si intende quella condotta da scienziati che direttamente si spingono nei fondali antartici, beh, qui siamo davvero ancora al livello di frontiera pionieristica.»

Qual è la temperatura dell’acqua più bassa registrata? Ed è questo l’inconveniente maggiore da gestire nelle immersioni oppure?
«A causa del sale sciolto nell’acqua marina, l’oceano antartico congela a temperature inferiori a – 1,86/– 1,88 °C. Pertanto le immersioni da foro nel ghiaccio vengono condotte alla temperatura di quasi – 2 °C.
E tutto, dal funzionamento delle attrezzature alle risposte psico-fisiche dei sommozzatori, è totalmente condizionato dalle temperature così incredibilmente basse. Utilizzo il termine temperature al plurale perché bisogna tenere grandemente in conto anche di quella esterna (a volte ci si immerge quando fuori ci sono – 20, – 30 °C) per il corretto e sicuro svolgimento dell’immersione. Non si dimentichi poi che sempre al freddo estremo si deve l’altro grandissimo fattore di difficoltà nelle immersioni polari da foro nel pack: ovvero la totale copertura della superficie da parte di un “tetto” di ghiaccio, spesso anche diversi metri, che impedisce la diretta riemersione.»
Fin qui vi siete avvalsi più di subacquei o di macchine per la ricerca sottomarina? Quali sono i vantaggi nell’uno e nell’altro caso?
«In ordine d’importanza, la ricerca sottomarina si è avvalsa di: 1) prelievi dalla superficie di campioni marini (dragaggi – pesca), certamente i sistemi più invasivi; 2) utilizzo di ROV, in via d’incremento parallelamente allo sviluppo delle nuove tecnologie; 3) sommozzatori che s’immergono, con un range di azione spaziale e temporale molto, molto limitato per i motivi elencati nella precedente risposta.»
Sulla base delle analisi dei sedimenti e di quanto hanno saputo rivelarvi dei cambiamenti climatici del passato è possibile una previsione di quali saranno quelli futuri e delle relative conseguenze?
«Questo è quello che cercano di fare gli scienziati. Ma per prevedere è necessario arrivare a costruire un modello affidabile basato sui precedenti andamenti. Il problema è che nell’ultimo secolo e mezzo i cambiamenti sono stati così repentini, dirompenti e ancora in corso di veloce evoluzione da non permettere la realizzazione di modelli predittivi affidabili e definitivi. E’ tutto ancora molto “Work in progress”.»
Circa le ricerche sugli ecosistemi delle specie antartiche e sui loro adattamenti quali sono state le scoperte maggiori? E le tue personalmente?
«Una delle scoperte più sorprendenti è stata senz’altro quella delle molecole “antigelo” che permettono ai pesci antartici, in particolare di quelli appartenenti al gruppo dei Nototenioidei, di vivere in quelle acque perennemente al di sotto dello 0, senza che il loro sangue si trasformi in ghiaccio. Un adattamento straordinario che permette loro, però, di prosperare solo se la temperatura rimane compresa tra – 2 e – 1 °C. Pertanto, se la temperatura delle acque dovesse alzarsi anche solo di 1 grado o poco più, sarebbero destinati all’estinzione.
Personalmente non ho fatto nessuna grande “scoperta” in senso stretto, sono altri – e pochi – gli scienziati veramente importanti e in grado di lasciare una traccia indelebile del loro lavoro. Io mi occupo delle foche di Weddell, un animale che adoro e che ho avuto la fortuna di incontrare anche in immersione sotto il ghiaccio. Studiando il loro comportamento ho avuto modo di verificare che questa specie, ritenuta tradizionalmente “capital breeder” (cioè una specie in cui le mamme digiunano per tutto il periodo dell’allattamento), mostra invece varie strategie riproduttive che vanno da comportamenti da “capital breeder” estremi (digiuno totale) a comportamenti da “income breeder”, tipici di quelle specie in cui le mamme continuano a nutrirsi durante tutto l’allattamento.»

Durante la lunga notte antartica vengono effettuati comunque degli esperimenti… quali e in che modo?
«Più che altro gli esperimenti effettuati durante il buio inverno antartico sono essenzialmente legati alla climatologia e allo studio dello spazio nelle sue più disparate branche. Poco si fa di biologia e comunque riferito a microorganismi.
Alcune basi antartiche rimangono funzionanti anche durante l’inverno e i ricercatori – non raggiungibili fino alla successiva primavera! – sfruttano essenzialmente la mancanza di fonti di inquinamento ambientale che rende l’Antartide un vero e proprio laboratorio a cielo aperto. L’Italia ha una base invernale, gestita con la Francia, sul Plateau antartico a 3.300 metri di altitudine. Forse la più estrema di tutte le basi antartiche. Si chiama “Concordia”.»
Prevedi che le missioni subacquee con impiego di sommozzatori abbiano uno sviluppo in Antartide e semmai quale? Oppure la robotica le sostituirà?
«C’è molta apprensione ogni volta che un subacqueo scompare nel tunnel di ghiaccio. Ovviamente.
L’immersione polare è ancora qualcosa di veramente pionieristico e poco conosciuto. Di fatto, ad oggi, ci si limita a fare attività entro 30 metri di profondità e nelle immediate vicinanze del foro d’ingresso. Questo non è paragonabile con il raggio d’azione di un ROV in grado di scendere a centinaia di metri di profondità e restare immerso virtualmente in maniera illimitata.
E’ anche vero che l’osservazione diretta da parte del ricercatore non è sostituibile da una macchina; però, fin quando l’immersione polare non farà un rilevante balzo in avanti sia tecnico che a livello di mentalità, sarà gioco forza affidarsi ai robot.
Nel 2012 ho testato, per la prima volta al mondo e accompagnato da un grande scetticismo, l’utilizzo del rebreather sotto tre metri di banchisa polare antartica. Le risposte ottenute sono state incredibilmente incoraggianti e per il PNRA, che gestiva la spedizione, si è trattato di un vero successo. A mio avviso questa è la via che potrà dare una svolta alla subacquea tecnica in Antartide. Ma è necessario che si facciano progetti seri e che, soprattutto, vengano approvati e appoggiati da chi ha il potere decisionale.»
Restando sulla subacquea: ci puoi descrivere in sintesi gli step organizzativi di un’immersione tipo?
«Ciò che differenzia grandemente un’immersione polare da un’immersione in acque temperate sono tutti gli accorgimenti che bisogna mettere in atto per evitare che si formi del ghiaccio all’interno dell’attrezzatura, in particolare nell’erogatore. In tale prospettiva, l’immersione polare comincia prima dell’ingresso in acqua vero e proprio e a partire dal momento in cui l’attrezzatura è esposta a temperature di molti, molti gradi sotto lo zero. Si deve fare in modo che nemmeno un po’ di umidità sia presente nel primo e secondo stadio perché immancabilmente diventerà ghiaccio. E poi, cosa che alla stragrande maggioranza dei subacquei sembrerà assurda, non si deve assolutamente provare il funzionamento degli erogatori prima dell’immersione! Anzi sarebbe opportuno aprire il rubinetto della bombola quando si è già in acqua ed è assolutamente necessario che il primo atto respiratorio avvenga quando l’erogatore è già completamente allagato. Quindi quando si è già sotto la superficie.
La temperatura dell’acqua, infatti, è molto più “calda” di quella dell’aria esterna e così facendo si evita che l’erogatore si congeli (provocando il flusso continuo) prima ancora di cominciare l’immersione.»
Qual è l’incidente acquatico più temibile in assoluto per i sommozzatori che s’immergono in Antartide?
«L’affanno è la bestia più difficile da controllare durante l’immersione polare. Non puoi permetterti mai di far alzare oltre un certo livello i battiti cardiaci e di cominciare ad ansimare. Non solo per tutti i motivi per cui questo non deve avvenire nemmeno durante un’immersione “normale” ma anche e soprattutto perché la respirazione accelerata e affannata causerà certamente il congelamento dell’erogatore.»
La volta che hai rischiato di più in Antartide?
«Sono veramente orgoglioso di poter dire di non essermi mai trovato in situazioni d’emergenza durante le mie immersioni sotto il pack polare. E mi illudo di poter dire di essermi sempre preparato in maniera adeguata, sia dal punto di vista fisico, che mentale e tecnico. Questo non significa che non mi sia mai capitata qualche situazione un po’ delicata da gestire, ma non mi ha mai colto alla sprovvista ed è stata sempre archiviata come un fastidioso inconveniente. Niente di più.
Intendo dire che, ad esempio, in più occasioni sia io che il mio compagno siamo stati vittime del congelamento dell’erogatore (è praticamente inevitabile…), ma una situazione che potrebbe diventare anche drammatica è stata risolta applicando quasi in automatico le corrette manovre per farle fronte.»
L’episodio legato alla fauna antartica che ricordi più volentieri?
«Nuotare tra i giardini subacquei di ghiaccio insieme a una foca di Weddell che mi scrutava con la più grande curiosità. E poi seguirla fin sotto il tetto di ghiaccio e ritrovarmi faccia a faccia con lei a non più di un metro di distanza. Una foca lunga circa 3 metri e pesante 400 kg. Chilo più, chilo meno…»
Una cosa che non hai mai detto a nessun altro, in esclusiva per Serial Diver?
«Lo confesso: ogni tanto mi tuffo dalla barca per cominciare un’immersione e solo al momento di toccare l’acqua realizzo di non aver indossato le pinne…»

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