Tuffatori che volteggiano nell’aria, piombando in mare da 27 m d’altezza. La subacquea sommessamente protagonista. E poi gare, scienza, manifestazioni, intrattenimento, cultura e molto altro. All’insegna della magica Trieste e dello straordinario Adriatico. Il Mare di Nord Est
La Redazione
Anche se la cerimonia di chiusura ufficiale c’è stata appena pochi giorni fa, è già negli annali, questa memorabile 8^ edizione di MareNordest, la tre giorni triestina dedicata al mare.
Lo è già perché la chiave di volta l’ha fornita un abbinamento senza precedenti e dall’impatto scenico ineguagliabile: l’ospitalità data alla manifestazione dei Tuffi dalle Grandi Altezze, creando la piattaforma dei 27 metri per il salto di questi funamboli dell’estremo affiancata nientemeno che all’Ursus, la “tour Eiffel di Trieste”, il gigantesco pontone galleggiante, simbolo delle tradizioni cantieristiche portuali della zona, che di metri di altezza ne conta oltre 70.
Ed è stato spettacolo puro, in un clima di emozioni davvero forti. Che ha pervaso anche tutti gli altri momenti di questa edizione: gli sport acquatici, l’intrattenimento, la cultura, la scienza.
Ma non potendo per ragioni di spazio entrare troppo nel merito di ciascuno di questi momenti ci siamo voluti contenere ad alcuni di essi – significativi anche di tutti gli altri – e in particolare, per la nostra pertinenza sottomarina, cominciamo in questa sorta di “1^ puntata” con l’attività subacquea meno appariscente e più specializzata di questa edizione: l’assistenza in acqua ai tuffatori.
Giovanni TIUS, il “top-manager” della sicurezza
Di rimbalzo tra un suo turno e l’altro siamo riusciti a intercettare sul campo nientemeno che Giovanni Tius, di professione operatore della Polizia di Stato, nella circostanza Referente per l’organizzazione della sicurezza e della macchina dei soccorsi in acqua durante i Tuffi da Grandi Altezze (già rappresentante delle unità cinofile – i famosi cani da salvataggio in acqua – di SO.GI.T – Croce di San Giovanni, società riconosciuta da ogni istituzione e con accreditamento ministeriale, dedita allo studio di tutte le modalità di soccorso tecnico-sanitario in acqua).
In breve, è lui che può avere e riferirci una visione d’insieme di cosa possa aver significato per MareNordest predisporre “ciò che non si vede ma deve esserci”, cioè l’intero apparato di sicurezza in acqua. In cui la subacquea è l’invisibile protagonista.
Per fare un accostamento che risulti subito esplicativo al lettore, possiamo dire che Giovanni Tius sia stato a MareNordest come Jean Todt stava alla Ferrari in Formula 1: l’uomo dei box, il “deus-ex-machina” senza il quale nulla si muove – i tuffatori non saltano, nello specifico –, il Capo del dietro le quinte. Un dietro le quinte estremamente operativo, in questo caso, quanto e più del palcoscenico stesso.
Perché, stando già alle sue prime osservazioni, diciamo che «il tutto ha richiesto un approccio completamente nuovo e multidisciplinare».
Ciò s’è tradotto col dover assicurare il risultato mediante un lavoro di squadra, garantito tuttavia da più professionalità distinte, diversi team di operatori e differenti team-leader; il tutto coordinato al fine di ottenere efficacia, efficienza e immediatezza, in maniera continuativa e in qualsiasi situazione o momento potesse verificarsi il malaugurato incidente.
I tuffatori saltano giù da 27 metri d’altezza, eseguono figure in rapidissima rotazione e in una manciata di istanti piombano in acqua a oltre 80 chilometri orari.
(Il crash-test standard nel mondo automobilistico viene eseguito facendo urtare il veicolo contro barriera rigida a 50 km orari – ndr).
Il tonfo sordo che si produce sull’acqua, anche negli ingressi perfetti, risuona in maniera sinistra per chi assiste da fuori, perfino a distanza, sul molo. Tanto che il pubblico, in silenzio assoluto fin dai 30 secondi che precedono il tuffo, nel momento dell’impatto si scioglie in un “oooh!” sommesso e spontaneo, un coro mormorato e incontenibile che è misura stessa di come l’intensità dell’emozione dilaghi in un istante.
«Visto dall’acqua poi – ci racconta Elena Piccoli, ruolo di apneista tra i soccorritori in mare – è impressionante in un modo davvero poco descrivibile. L’atleta infrange la superficie del mare a poco più di un metro e mezzo da te, dunque per quasi tutta la sua caduta ti sembra che ti arrivi direttamente in testa. E quando entra in mare la vibrazione che produce è come se ti entrasse addosso dalla pelle stessa. Lo senti nei timpani. Quindi una matassa di bolle lo avvolge, rendendocelo invisibile. Bisogna anticiparne la discesa, per essergli vicino già quando raggiunge il punto neutro e comincia a risalire…».
Ogni esperto del folto team messo insieme da MareNordest finisce per concordare su un fatto: «È un’attività oggettivamente ad alto rischio!».
Perforare la superficie liquida a quella velocità appare come una sfida alla Fisica e alla Fisiologia per un corpo umano: basta una lieve fuoriuscita dalla verticalità, una mano o un piede che si scompongono ed ecco che l’infortunio è in agguato. E può rivelarsi anche grave.
L’ingresso in acqua stesso e il brutale arresto che se ne riceve – decelerazione da 80 km/h a zero nel giro di 3 m, in posizione eretta, testa in alto – possono causare disorientamento, vertigini, perdita dei sensi, anche se l’acqua contrasta subito con il suo effetto avvolgente da “tuta anti-G”.
Conseguentemente, l’intero team degli assistenti subacquei deve agire con tempismi perfetti.
Come per i tuffatori, dunque, anche per questi “safety” così specializzati lo spazio lasciato all’errore è pari a zero.
L’apparato di assistenza e sicurezza in mare e sulle banchine ha previsto infatti, sotto l’attenta regia di Giovanni Tius:
-2 subacquei immersi, con autorespiratore, di cui uno a – 5.00 m e l’altro ai – 2.50 m;
-la massima profondità raggiunta dai tuffatori va dai 3 ai 4 m circa, lo dichiarano loro stessi, così le sicurezze vengono settate per i – 5.00 m. Il fondale vero e proprio, in quel punto, è a circa 8.50 m.
-2 subacquei in apnea, d’impiego in prima battuta
-Doppio team sia di apneisti sia di bombolari, per fare turni (onde evitare l’ipotermia da prolungata permanenza in acqua) e perché così uno resta sempre disponibile, come di riserva e all’asciutto.
-1 soccorritore sub “speciale” che si mantiene in superficie e opera esclusivamente lì, equipaggiato con colori vivaci – ad alta avvistabilità – in modo da essere immediatamente percepito dal tuffatore appena riemerso dall’affondamento…anche per una questione di tipo “psicologico”.
-2 moto d’acqua, con speciale barella “spinale” rigida solidale alla moto, da essa trascinata in appoggio sull’acqua.
Dover contemplare il caso di un ipotetico infortunato ha indotto a mettere a punto una metodologia operativa ad hoc: ciascun operatore ha avuto un suo ruolo da svolgere, specifico e dedicato, senza inter-scambiabilità. Il primo soccorritore avrebbe pensato alla pervietà delle vie aeree; uno si sarebbe posizionato al lato destro, che è anche quello di affiancamento al gommone; un terzo si sarebbe messo all’altro fianco dell’infortunato; un quarto ai piedi. Almeno due punti d’accesso veloci sarebbero sempre stati mantenuti praticabili.
Il paragone più esatto che viene in mente è ancora una volta quello con i componenti della squadra meccanici ai box di Formula 1 quando c’è un pit-stop a Gran Premio in corso!
«La quota di complessità – conclude Tius – è consistita nel formare, addestrare e testare il rendimento dell’intera squadra rispetto a un compito così nuovo ed elaborato, un po’ per le accennate difficoltà a far lavorare bene e insieme team altrimenti diversificati, un po’ perché la percezione delle cose tra acqua e aria cambia completamente. E cambia anche tra piscina e mare. Tutto prende un altro aspetto, in base al contesto. E l’acqua, da un punto di vista tecnico, viene sempre annoverata tra gli “ambienti ostili”. Quindi le fasi addestrative all’asciutto e in bacino delimitato sono pur state necessarie, per l’acquisizione dell’esperienza preliminare, ma le simulazioni in mare altrettanto preziose, indispensabili per raggiungere standard adeguati. Che si misurano soprattutto coi tempi esecutivi e di reazione: siamo passati dai 3’ e 20” di “tempo di salvabilità” – alias il tempo che intercorre tra l’impatto in acqua del tuffatore e l’eventuale suo posizionamento su piano rigido di imbarcazione in seguito al malore o trauma subìti – agli appena 1’ e 38”. E per conseguire e mantenere un risultato simile, molto si deve alla professionalità e alla disponibilità di tutti gli operatori sub-acquatici coinvolti!»
Insomma questa edizione di MNE ha visto ancora una volta la subacquea protagonista, sebbene in modo diverso dal solito e soprattutto assai meno appariscente ma non per questo meno importante, anzi! La definiremmo fondamentale per la buona stella che ha determinato la riuscita dell’intera nuova MNE di quest’anno. Riuscita sulla quale sussistono già certezze: basti pensare che tutte le autorità e istituzioni civili e militari presenti hanno già pubblicamente rilanciato per l’edizione del 2020, che tra l’altro coinciderà per Trieste con il periodo dell’ESOF, in modo da candidare la splendida location a diventare tappa fissa del circuito internazionale gare dei Tuffi da Grandi Altezze, decretandone il destino di sede del Campionato Europeo della disciplina.
Quanto prima un ulteriore resoconto sulle altre attività svolte in questa eccezionale 8^ edizione ma nel frattempo… evviva MareNordest!