«Entriamo nella prima stiva di dritta. L’impatto è toccante. Il fondo è disseminato da oggetti di vita di bordo: stivali di gomma, uniformi ormai ridotte a brandelli, anelli inox per l’occhiellatura dei teloni. E sbucano fuori molti proiettili calibro 7,65…». A Ponza, Punta Papa, con il reb. Ci starete due ore e non vorrete ancora uscire da questa immersione!
A cura di Claudio Budrio Butteroni. Foto Carlo Ravenna. Foto storiche per gentile concessione NavSource Team – www.navsource.org
L’immersione sul relitto di Punta Papa (così è conosciuto ai più quanto rimane dell’LST 349) è sicuramente tra le più belle, suggestive e scenografiche dell’Isola di Ponza. LST è l’acronimo di “Landing Ship Tank”, navi della Flotta Inglese utilizzate durante il secondo conflitto mondiale per il trasporto di truppe e di mezzi militari ed il loro sbarco a terra. Era la notte tra il 22 ed il 23 febbraio del 1943 e l’LST 349, impiegata nell’operazione Shingle, era in navigazione tra Anzio e Napoli. Sorpresa da una violenta tempesta, cercò riparo a ridosso della costa, ad ovest di Ponza. Un repentino ed inaspettato mutamento delle condizioni meteo sorprese la nave ed il suo equipaggio. L’imbarcazione ruppe gli ormeggi e venne ripetutamente sbattuta sugli scogli. Spezzatasi in due tronconi, affondò in pochi secondi.
Durante l’affondamento perì una trentina di uomini tra marinai e prigionieri, mentre altri furono tratti in salvo da alcuni pescatori del luogo che gettarono le loro reti sugli scogli per fornire un appiglio ai malcapitati.
Occasione ghiotta per trascorrere qualche giorno a Ponza è il CCr Meeting 2017 organizzato dal Ponza Diving di Andrea Donati (un dettagliato articolo al riguardo è stato da me pubblicato su questa testata in occasione dell’evento).
Giunto a Terracina scarico le attrezzature in prossimità dell’imbarco, confidando nelle consegne affidate all’addetto alle operazioni di imbarco della compagnia, e corro a parcheggiare la macchina fiducioso che la scelta di una partenza infrasettimanale mi consenta di trovare posto nel vicino parcheggio libero.
Giunto a Ponza l’accoglienza di Andrea, Daniela e tutto lo staff, è come al solito impeccabile. I motori già brontolano e, giusto il tempo di imbarcare le attrezzature sul Nettuno II, molliamo gli ormeggi in direzione dell’isolotto di Gavi. Doppiata la strettoia che lo separa dall’isola, sulla nostra sinistra si staglia Punta Papa. Il rumore dei motori che cedono potenza è il messaggio che m’indica che la nostra meta per oggi sarà il relitto dell’LST 349.
Il relitto, diviso in due tronconi distanti diverse decine di metri, giace su un fondale sabbioso tra i 20 e i 25 metri. Normalmente le due porzioni vengono esplorate in due diverse immersioni; sebbene la profondità consenta lunghi tempi di permanenza sul fondo bisogna fare bene i conti con la scorta di gas necessaria a coprire il tragitto di andata e ritorno tra i due siti.
Il punto ottimale per l’ormeggio è tra i due tronconi, dove viene per l’appunto mollata l’ancora. Sebbene il Nettuno esponga la regolare bandiera segnasub, il gommone di supporto provvede a mollare due cime piombate, munite di boa segnasub, proprio in corrispondenza dei due tronconi; questo tratto di mare è estremamente trafficato ed ogni precauzione per evitare incidenti è d’obbligo.
Dopo essersi immersi si procede navigando con la parete a destra e dopo pochi minuti ci si presenta la prima sezione da esplorare. La prua rappresenta la sezione più profonda; si trova proprio sotto lo scoglio di Punta Papa, adagiata su un fondale di 25 metri.
Si possono ammirare tre delle quattro mitragliatrici antiaeree ancora al proprio posto, mentre la quarta, staccatasi durante il naufragio, giace a pochi metri di distanza dal troncone di prua. L’accesso e l’esplorazione del relitto, anche nelle cabine dell’equipaggio, risulta estremamente semplice grazie alla limitata profondità, all’acqua cristallina dei fondali ponzesi ed alla luce solare che agevolmente penetra in ogni ambiente.
Lo scafo è composto da tre stive tutte facilmente accessibili. Visitiamo per prima la stiva di dritta. Il primo impatto è toccante. Il suolo è disseminato da oggetti di vita di bordo: stivali di gomma, uniformi oramai ridotte in brandelli, anelli inox per l’occhiellatura dei teloni. Vi sono inoltre numerosi proiettili calibro 7,65 che – per tutelare l’incolumità del sito e dei visitatori – sono stati nascosti dalle guide subacquee del posto e che vengono mostrati in concomitanza dell’esplorazione del relitto.
Tornando sui nostri passi riusciamo da dove siamo entrati e ci dirigiamo sul lato opposto per visitare la stiva di sinistra. Entrando ci troviamo in un primo vano dove è presente una scaletta che sale verso il ponte superiore all’esterno; al momento la ignoriamo e proseguiamo dritti passando in una seconda stanza dove possiamo osservare, ancora ancorate sulla parete esterna, le intelaiature delle brande dei militari, posizionate “a castello” in serie di tre, per un totale di dodici posti letto. Alla nostra destra, un quadro elettrico con le spie blu ancora lucide. Proseguendo ancora in avanti accediamo ad un ultimo stanzino con la cala dell’ancora; è visibile in alto l’occhio di cubia con la catena che sale verso il verricello sulla coperta.
Tornando indietro ripercorriamo il tragitto all’inverso fino alla prima stanza dove, seguendo la scala, prendiamo la via che ci conduce direttamente sul ponte superiore. Lo percorriamo lungo il lato di sinistra. Una cassettina contenente un piccolo quadro elettrico cattura la nostra attenzione: sono i selettori che comandavano gli argani; nonostante il tempo trascorso e le concrezioni, alcuni ancora si muovono. Più avanti intercettiamo la catena dell’ancora che dalla stiva di sinistra abbiamo visto salire sul ponte, e che giunge fino all’argano.
Giunti sulla prua troviamo in bella mostra le tre mitragliatrici di cui una con il selettore ancora funzionante.
Qui consigliamo di allontanarsi un po’ dal relitto e di salire di qualche metro per poter godere di una fantastica visione di insieme.
Ritorniamo verso il relitto per l’esplorazione della stiva di centrale. Il ponte di carico, privo dei portelloni di prua, è ampio e facilmente accessibile da ambedue i lati. Sostando nella parte interna e guardando verso prua, sono presenti sopra al vano di apertura dei finestroni attraverso i quali è possibile vedere gli ingranaggi che muovevano i portelloni. Usciamo nuovamente dal lato di prua e, mantenendoci all’esterno dello scafo, ci muoviamo costeggiando il lato di destra in direzione della poppa. Incontriamo un altro finestrone che da visione sulle ruote dentate che governavano i portelloni.
L’esplorazione della sezione di poppa merita un’immersione a sé stante. Tuttavia in questa specifica circostanza l’intero gruppo dei subacquei è dotato di rebreathers che ci consentono di allungare considerevolmente i tempi di permanenza sul fondo.
Ci muoviamo quindi con la parete di Punta Papa sulla sinistra, seguendo i frammenti dell’imbarcazione snocciolati sul fondale.
Strada facendo ci imbattiamo in una piccolissima area con alcune piante di Posidonia Oceanica. Ci lasciamo distrarre per qualche minuto da dedicare alla ricerca di alcuni esemplari di cavalluccio marino (Hippocampus) che hanno scelto quest’insolita abitazione
Senza attardarci oltremodo, proseguiamo la nostra pinneggiata nella sabbia; un reel sapientemente disteso ci spinge a perseverare fin quando intravediamo una sagoma scura stagliarsi dal fondo; è la sezione di poppa che giace su un fondale sabbioso a circa 20 metri di profondità.
Questo troncone è di minori dimensioni ed inoltre, a differenza dell’altro, è parzialmente sprofondato dalla sabbia bianca di Ponza. Svetta, su tutto, il castello di comando che sovrasta dall’alto le restanti strutture del relitto le quali, a causa del naufragio, in questa circostanza appaiono a tratti maggiormente confuse. Un piccolo locale, forse una stiva, quasi totalmente invaso dalla sabbia, risulta ancora facilmente accessibile ed attraversabile grazie ad una chiara via d’uscita esattamente sul lato opposto. Una spaccatura sul lato di sinistra, in corrispondenza della poppa, consente l’accesso alla sala macchine, all’interno della quale sono visibili i grandi motori ed i quadri elettrici. Esternamente la pala del timone e la pala dell’elica, parzialmente insabbiate, emergono dal fondo.
A questo punto gli strumenti segnano un tempo totale d’immersione di quasi due ore. Di qui, anziché tornare in prossimità della sezione di prua, è preferibile risalire puntando direttamente la parete che si trova nelle immediate vicinanze, dove scaricare eventuale decompressione accumulata curiosando tra gli scogli. Il felice incontro con Claudio (noto con lo pseudonimo di Caramella) e della sua compagna di vita e d’immersione Paola, mi danno l’opportunità di esplorare in sicurezza una piccola grotta a pochi metri dalla superficie, mentre la mia mente già vola verso le fantastiche pietanze che già ci aspettano a bordo del Nettuno II.