Nelle isole delle diomedee l’ultima avventura di quei subacquei che osservano i fondali in punta di polpastrelli. Con una testimonianza inedita e davvero speciale.
Di Romano Barluzzi e Antonio Giampietro. Foto Margherita Frigoli e Grazio Menga.
Esserci è differente. E’ stato già scritto di tutto su di loro, un gruppo ormai folto, un’associazione che da 11 anni si occupa di subacquea per non vedenti, avendo creato un’intera metodica nuova per il loro accompagnamento in immersione. Un’associazione che per prima ha concepito la non-vedenza in acqua come non fosse una disabilità, ne ha strutturato la metodica come i non-vedenti avrebbero voluto che fosse studiata, conferendo loro un’autonomia in immersione neppure paragonabile a quella sperimentata in precedenza. E nei confronti dei cosiddetti “normo-vedenti” ha sdoganato la più celebre delle perplessità, la domanda che tutti si fanno almeno una volta e che nessuno confessa: “Che ci va a fare un cieco sott’acqua?” Essa è diventata, o meglio è tornata ad essere: “Che ci va a fare chiunque – anche una persona normodotata – in immersione?” Con l’osservazione tattile – e la memoria tattile – delle specie viventi nei fondali del mondo intero, con il loro riconoscitore degli organismi brevettato in Braille e foto, riconducono continuamente l’universo della subacquea verso un profilo motivazionale, quello più autentico e profondo, quello che – tra l’altro – allontana maggiormente dai rischi. Il che significa tener presente la finalità ultima dell’atto di scendere sott’acqua, che non è mai tecnica né quantitativa, bensì interiore. E’ partecipare della natura, è sentire il suo respiro, la comunanza con le sue forme viventi, coi suoi habitat, e attraverso tutto ciò trovarsi in sintonia con l’anima del mondo, con la vita, con l’appagamento di viverla. Quanti subacquei oggi, a tutti i livelli e i generi dell’immersione, la vivono invece come una conquista in metri di profondità, in numero di tuffi, in tecnicismi esasperati, in sfide estreme? Allora, che ci va a fare un sub normo-vedente sott’acqua? Nello stupore dello sguardo con cui tanti vi reagiscono a questa domanda, come se non capissero perché gliela state ponendo e mentre non sanno cosa rispondere malgrado sembri una richiesta così ovvia, si annida troppo spesso un’inconsapevole mancanza di fondo: l’aver perso di vista le proprie più autentiche motivazioni, quelle originarie, ammesso che almeno all’inizio fossero presenti. Confonderle con i fattori tecnici. Scambiare il fine con ciò che è soltanto un tramite per raggiungerlo.
Ebbene, quei ragazzi senza i due occhi, ma che ne hanno dieci sulla punta delle dita, questa confusione non la fanno mai. E in ciò parlano un linguaggio universale che comunica dritto al cuore. Il messaggio dei messaggi. In tutti questi anni anch’io ho realizzato numerosissimi articoli e per molte testate sulle loro esperienze – veramente dovrei chiamarle “imprese” per rendere l’idea, ma so che non vogliono: preferiscono ricordare, e ricordarci, che ogni loro giorno, come ogni nostro giorno, è un’impresa – che mi son trovato a poter testimoniare insieme al loro messaggio e li ho seguiti anche a distanza, quando non potevo essere sul posto. Ma esserci è differente. E stavolta è successo di nuovo alle Tremiti, le luminose isole delle diomedee (l’uccello marino dallo struggente lamento, caro al mito di Diomede), oggi Area Marina Protetta nel comprensorio del Parco del Gargano e santuario ambientale, un arcipelago simbolico circa l’abbattimento di ogni barriera sulla diversità anche in virtù della sua storia: ci venivano relegati “al confino” gli omosessuali e i reietti in genere. E la magia s’è ripetuta. Perché quello che fanno i sub non vedenti di ASBI sembra magia proprio in quanto non lo è. E’ invece credere che un’altra via sia possibile, disponibilità a provarci e ottenere le competenze giuste per riuscirci. Qualcosa che già solo a frequentarli, a trascorrere un po’ di tempo in loro compagnia, poi ti porti dentro ogni giorno della tua vita. E così volevo scriverne qui ed ero carico di emozioni e parole da preparare. M’ero appena accinto a farlo riordinando le tante informazioni da riportare – talune anche doverose – per dar loro il necessario senso compiuto. E’ stato allora che mi son trovato l’e-mail di Antonio Giampietro, uno dei non-vedenti veterani di ASBI. Dovete sapere che nella serata finale di sabato 24 settembre alle Tremiti, che abbiamo messo su in quattro e quattr’otto coinvolgendo la popolazione del momento (abitanti e turisti) per fare della consegna brevetti un piccolo evento – incontrando l’aiuto spontaneo di tutti, ma proprio tutti, parroco e sindaco compresi – Antonio ha dato pubblica lettura di una poesia. Insieme ad alcuni altri momenti di autentico spettacolo, come il canto di Manuela neo-subacquea cieca e l’intrattenimento di una madrina d’eccezione del calibro di Vladimir Luxuria, nonché gli interventi del trainer di ASBI Manrico Volpi, del medico Nicola Fanelli lui stesso istruttore in ASBI, del presidente Angela Costantino Pinto e delle riflessioni espresse a caldo dai quattro neo-istruttori ASBI (uno per ciascun diving di Tremiti) quella lettura di Antonio ha costituito un culmine di quel clima speciale che si era instaurato. Perciò avevo già idea di pubblicarla qui e lo facciamo in fondo all’articolo. Ma prima è arrivata quella sua e-mail, che m’ha scompaginato tutto. Conteneva un articolo! Beh, vi ho trovato tante di quelle conferme di ciò che avrei voluto scrivere io stesso che ho pensato più giusto riproporre lui qui di seguito, in modo che in pratica ci pubblicassimo insieme. Eccolo, con il suo titolo originale.
Ritorno al mare
«Quando il gommone si è staccato dal molo ed ha incominciato la sua leggera corsa marina verso il punto dell’immersione, stretto, quasi costretto, nella muta, avevo il cuore che sussultava, dolcemente. Erano sei anni che non mi immergevo. Ero stato tra i primi subacquei non vedenti pugliesi a brevettarmi, era stato in febbraio, forse marzo, 2006, e poi, per contingenze di vita, dal 2010 niente più immersioni. Eppure il desiderio di tornare ad immergermi non mi aveva mai abbandonato. Più volte mi ero ripromesso di tornare alle profondità silenziose e piene del mare, ma da quel 2010 non ci ero più riuscito. Così quando Angela, il presidente di quella associazione, Albatros, che ha deciso di dedicare la sua attività per permettere a noi non vedenti di raggiungere le profondità del mare, quasi per caso mi aveva detto, in un pomeriggio di luglio, “noi andiamo alle Tremiti, vuoi venire?”, non avevo avuto esitazioni a dire sì. Lei, quasi stupita, aveva sorriso, e tra sé forse aveva pensato che non sarebbe accaduto, ci sarebbe stato un contrattempo, un imprevisto, che mi avrebbe fatto cambiare idea. Nel nostro intimo però sapevamo entrambi che la decisione era presa e ci saremmo rincontrati a San Domino da lì a due mesi per gustare insieme un’altra avventura marina, finalmente nuovamente insieme.
Ero sul gommone, erano ormai le cinque di pomeriggio, il sole accarezzava ancora i nostri volti emozionati, i timori pian piano scomparivano, li portava via il sapore di libertà che schizzava di salsedine le nostre sagome sedute sui tubolari. ci siamo fermati, l’ancora è andata giù e ci ha lasciati dondolare leggermente per qualche istante, prima di fissarci al nostro punto di approdo: eravamo pronti per tuffarci nel blu.
Non è mancato un imprevisto, mi sono alzato in piedi, preso da un entusiasmo fanciullesco, e, siccome la mia guida che era anche il pilota del gommone, era impegnata in manovre varie, ho colpito, con veemenza, una paratia di ferro sistemata al centro del gommone per tenere le bombole. Stordimento leggero, dolore abbastanza intenso, ma subito cancellato dalla calma rinfrancante che precede l’immersione.
Ero finalmente pronto: indossato il GAV, sistemata la bombola sulle spalle, strette le cinghie di sicurezza, messo l’erogatore in bocca, protetta la testa con una mano e con l’altra tenuta la maschera, una semicapriola verso l’esterno del tubolare e… In mare.
Il GAV gonfio mi teneva a galla, mi muovevo con leggerezza e tranquillità, come era stato in passato: sì, non avevo dimenticato, non avevo timori, ero con l’amico mare, il suo sapore già legava a sé i miei sorrisi. L’acqua era calda, non me l’aspettavo così calda, sono molto magro ed ho sempre temuto il freddo, infondo avevo pur fatto la mia prima immersione i primi di febbraio, quindi dovevo aspettarmi un bel caldo, ma mi ero fatto sorprendere in positivo. Adelmo, la mia guida, mi ha preso la mano e mi ha dato il segnale: scendiamo. Ho sgonfiato il GAV ed ho cominciato la discesa. Avevo qualche fastidio alle orecchie, per questo sono sceso un po’ più piano cercando di compensare spesso: si andava. Devo ammettere che ho avuto qualche problema di assetto inizialmente: nonostante scendessi lungo la cima dell’ancora, mi sentivo sempre troppo leggero, tendevo a salire. Eppure qualcuno mi aveva detto che i cinque chili di zavorra, potevano essere anche troppi per me, sono molto leggero. peserò al massimo cinquantotto chili. Ma no, tutto andava regolarmente, riimparavo pian piano a dominare i miei movimenti, a sentire il mare, a godere dei silenzi che vibrano del suono dell’acqua mossa dalle bolle. Ero in ginocchio sul fondo e la mano della guida mi ha sfiorato per dirmi che la nostra navigazione aveva inizio. Siamo partiti, tutto andava per il meglio, scivolavamo gentili tra fondali e pareti: è iniziata anche l’esplorazione. Non mi aspettavo un mare così ricco: quante specie sono passate sotto le mie mani, spugne di ogni colore, stelle marine, alghe che sembravano frammenti di desiderio, tutto così vivo, così fremente di bellezza. Adelmo mi illustrava i nomi delle specie che incontravamo porgendomi il riconoscitore Braille in suo possesso: sembrava anche lui emozionato e felice dell’esperienza. Spesso mi fissava, si metteva di fronte al mio volto e mi urlava, con quella voce rimbombante nel tubo dell’erogatore, qualche cosa: di primo acchito non capivo, poi però il cervello si liberava dell’eco inutile e mi faceva giungere il significato di quelle parole entusiaste.
Sono stati quaranta minuti di riappropriazione di un me che pensavo scomparso per sempre, la ripresa di un rito di conoscenza del mondo mai sopita nel mio animo, il ritorno al mare.
L’immersione era finita, Adelmo mi ha dato il segnale e abbiamo cominciato la risalita: tutto è scivolato leggero e perfetto. Siamo riemersi, ero felice.
Tolta la cintura dei pesi e il GAV, sono risalito a bordo, ero rilassato ed esaltato allo stesso tempo.
Recuperati tutti, abbiamo ritirato l’ancora e ci siamo preparati al rientro: è giunta una nuova sorpresa. Ho pilotato io il gommone verso il porto. Seguendo le istruzioni di Adelmo, ho condotto l’imbarcazione fino a pochi metri dalla banchina, poi ho ceduto i comandi a lui, per ormeggiare, le emozioni, per questa volta, avevano colmato i desideri.» (Antonio Giampietro)
Che si può aggiungere, dopo una cosa del genere? Ben poco, credo. Mi vengono in mente solo due delle tante risposte che ho avuto durante la conduzione della serata. La prima è stata quando ho chiesto conto del fatto che in ASBI non si usassero simulazioni: tutto viene fatto con il contributo di molti non vedenti veri, che non solo si lasciano condurre in immersione dai candidati istruttori, ma in un certo senso “li esaminano” pure! Cioè riferiscono un proprio “voto” sul come si sono sentiti accompagnare, se è stato fatto loro osservare l’habitat circostante nel giusto modo, che livello di empatia si è instaurato, quanto autonomi e sicuri siano stati fatti sentire dalla loro guida ecc. Allo stesso tempo, questi collaboratori non vedenti non si sentono affatto “istruttori sub” a propria volta e rifuggono anzi la pretesa che alcune impostazioni di altre didattiche hanno – in maniera spregiudicata ed equivoca – di addirittura qualificare propri non vedenti come “istruttori sub”! L’altra è stata quando, alla richiesta di come invece abbiano vissuto questa esperienza i 4 candidati neo-istruttori ASBI dei diving locali, uno di loro ha raccontato un proprio aneddoto del giorno prima (di certo rappresentando in questo anche le sensazioni degli altri 3, a giudicare da come annuivano sentendo il suo racconto): “Giusto ieri, a corso ASBI non ancora finito, mi è capitato per lavoro di dover fare la conduzione di un normale gruppo di subacquei che avevano prenotato nel mio diving: beh, incredibilmente, mi sono accorto che li stavo accompagnando in maniera diversa da come facevo di solito prima! La mia conduzione era già cambiata e m’è subito parsa più efficace, più adatta! Soprattutto in come indicavo loro i particolari delle specie viventi di questi straordinari fondali…”.
Ma il saluto finale al pubblico dei lettori di questo articolo, che ci auguriamo siano molti soprattutto perché si trasmetta e si rilanci l’idea di quanto possa essere bella e importante e autentica la sfera delle moderne attività subacquee, lo affidiamo alla famosa poesia che Antonio Giampietro ha magistralmente recitato in chiusura di serata alle Tremiti. S’intitola “Risveglio” ed è tratta dal libro Nelle curve del silenzio, Bari, FaLVision 2016 … un libro totalmente a colori, così come questa poesia il suo interprete ce l’ha accompagnata con il quadro che vedete tra le immagini del servizio, a sua volta intitolato “Dov’è l’amore”, di Michele Condrò.
Risveglio
Penso che l’amore non conosca silenzi
e nelle solide ombre della notte
bruci e trafigga il cuore
poi lo sguardo si perde
nel fragile grigio del mattino:
dove sono i tuoi occhi
profumo della mia primavera?
Leggera e tremante farfalla
tu tingi il vento di sete e arcobaleni
e di colori rivesti il mio cielo.
E se ti guardo, confusa
tra i riflessi del sole e quel punto
d’orizzonte infinito, io so…
il desiderio di stringerti sfiderà il tempo.
2 Comments
Nicola Costantino
Bellissimo! Entusiasmante! Complimenti agli organizzatori, ed ai coraggiosi partecipanti!
Tanzi Francesco
Caro Antonio, devi sapere che io sono di San Domino: mio padre ha trascorso un anno e mezzo di prigionia politica come confinato antifascista nell’isola di San Domino insieme al meglio della cultura antifascista d’Italia: è quì che lui è diventato un “mostro” di cultura, cultura che poi mi ha trasferito direttamente in casa: quindi san Domino è la mia culla e il mio baricentro: ecco perchè ti ho sentito fratello e consanguineo