Alla scoperta dei relitti del Golfo di Cagliari e della loro storia
A cura di Stefano Bianchelli – foto Mario Comi, Roberta Raffelli
Scrivere dei relitti del Golfo di Cagliari richiederebbe sicuramente ben più di una pagina in considerazione della storia, conosciuta e non, che ogni nave affondata potrebbe raccontarci portandoci a conoscenza dei fatti tragici e di particolari dettagli a noi segreti.
Parliamo di navi affondate durante la seconda guerra mondiale che poco avevano di navi da guerra, seppur armate con importanti pezzi di artiglieria, ma più verosimilmente erano navi da trasporto atte al rifornimento della Sardegna del sud altrimenti tagliata fuori per colpa di un folle conflitto. Alcuni storici definiscono infatti tali battaglie in mare “la guerra dei convogli” proprio a ribadirne il concetto.
In effetti, esplorando visivamente queste navi, si capisce subito che non erano nate per combattere ma per trasportare materiale come carbone, petrolio, pneumatici, tubazioni, vetro e quant’altro, tutto tranne truppe militari al contrario di quanto veniva giustificato come causale dopo gli attacchi degli alleati.
Oggi queste navi sono meravigliose attrattive storiche per i subacquei appassionati di questo tipo di immersione tanto da giustificarne, ormai da molti anni, l’arrivo anche di subacquei stranieri organizzatissimi e desiderosi di esplorarli.
La posizione geografica, con un clima mite per almeno 8-9 mesi l’anno e una temperatura dell’acqua che va dai 12°C ai 25°C, rende quest’area una fantastica “Wrecks Zone” che non stanca mai di svelare qualcosa di nuovo agli occhi di chi s’immerge.
I piroscafi seguivano le famose “rotte di sicurezza” che avevano il compito di creare dei corridoi transitabili e controllabili anche con una supervisione da terra. Purtroppo questo risultò vano di fronte alle nuove tecnologie di cui gli alleati si munirono, il radar per primo, che permise agli alleati, in particolar modo inglesi, di infliggere alla nostra flotta navale gravissimi danni che, in breve tempo, venne falcidiata e ridotta ai minimi termini.
Dieci i relitti che in un arco di circa trenta miglia marine sono potenzialmente visitabili anche se solo in piccola parte per i meno esperti. Partirò da Cagliari in un percorso anti-orario per una breve descrizione dei siti visitabili.
La nave cisterna Romagna si trova in pieno Golfo di Cagliari e attivò fatalmente una mina amica, se così vogliamo chiamarla, incendiandosi e affondando per il 90% della struttura su un fondale di 43 metri mentre la prua la possiamo trovare a 55 metri di profondità.
La dragamine americana LT 221 non è molto distante dal Romagna e si trova ad una profondità di circa 49 metri. Ebbe la stessa tragica storia e affondò dopo la collisione su una delle innumerevoli mine poste a difesa della città di Cagliari.
Navigando a est del golfo in direzione Villasimius troviamo un intero convoglio composto da tre navi, Entella, Isonzo e Loredan accumunate da un tragico destino, tutte e tre sono state affondate dal sommergibile inglese Safari.
Rispettivamente 16 mt, 56 mt, e 65 mt le profondità cui sono poggiati i resti delle navi.
L’Entella è l’unico dei tre piroscafi che riuscì a portarsi sotto costa durante l’attacco e oggi non offre particolari emozioni dal punto di vista subacqueo, al contrario della nave cisterna Isonzo che presenta il lato tribordo sulla sabbia e, ancora oggi, è di grande impatto emozionale con i suoi due cannoni, le ancore ancora in posizione a prua, oggetto di tanta attenzione da parte dei fotografi subacquei, e tutta una serie di dettagli ancora ben conservati.
Una delle più belle immersioni è quella sul Loredan, adagiato sul lato di tribordo sul fondale sabbioso, permettendo così ai subacquei di fare due immersioni in un sol colpo. Di fatto un lato composto dal ponte superiore, ampiamente penetrabile nei suoi livelli, offre la visita di un bellissimo relitto ricco di scorci emozionanti e di interessi storici mentre la chiglia, completamente rivestita di gorgonie bicolore chamaleon, impressiona come una bellissima parete naturalistica. Va detto però che la profondità e le difficoltà cui si può andare incontro non sono certo da immersione ricreativa e l’uso di miscele trimix diventa necessario a favore della sicurezza.
Stiamo ormai per passare Capo Carbonara ma prima dobbiamo fare un tuffetto davanti alla zona residenziale di Cala Caterina, a Villasimius, per dare una sbirciatina alla nave carbonaia Egle che troveremo alla profondità di 33 mt. Affondata in assetto di navigazione dal sommergibile olandese Dolphin il relitto ha subito un forte collasso delle sue strutture ma nonostante ciò molti subacquei sportivi apprezzano la vita che lo popola rendendo l’immersione molto piacevole.
Superiamo Capo Carbonara e ci lasciamo a destra l’Isola dei Cavoli dirigendoci verso uno dei più affascinanti relitti della zona adatto solo a subacquei molto esperti. Si tratta di un traghetto della compagnia di navigazione Florio, in seguito di proprietà della Tirrenia, affondato nel 1941 dal sommergibile inglese Truant e che si trova ora alla profondità di ben 95 mt.
Adagiato in perfetto assetto di navigazione il Bengasi offre una delle più belle immersioni praticabili dai subacquei esperti nell’uso di miscele trimix. Ricordiamo la famosa stiva dei vetri, non unica attrattiva, di una nave che non smette mai di offrire spunti spettacolari.
Ma la nostra passeggiata storico-subacquea non è ancora terminata, anzi il bello deve ancora arrivare, e lo troveremo prima dell’Isola di Serpentara dove gli espertissimi potranno esplorare il “mostro”, così definì il San Marco un mio amico portoghese, riemergendo dopo una lunga decompressione, dopo una delle tante esplorazioni. Come contraddirlo di fronte a una nave di 103 mt di lunghezza colpita dal sommergibile Clide e adagiata a 107 mt sul lato di tribordo in tutta la sua grandezza dove non basta certo un’immersione per carpirne i suoi segreti!
Il carico di carbone è ancora visibile, come la sua maestosa elica, il piccolo cannone e ancora un’elica di riserva e tanti altri bellissimi dettagli riservati a subacquei veramente preparati ed esperti.
Siamo ormai da circa cinque miglia sul lato orientale della Sardegna e navighiamo verso le bellissime spiagge di Cala Sinzias e Costa Rei per fermarci proprio di fronte a quest’ultima per immergerci sulla nave Valdivagna, vittima del sommergibile Pandora, adagiata a 74 metri, profondità che naturalmente richiede l’uso di miscele trimix.
Una meraviglia per i nostri occhi ammirare la parete completamente colonizzata da gorgonie chamaleon i cui ventagli raggiungono serenamente il metro di larghezza tanto da rivestire in tutta la sua lunghezza il lato tribordo della nave.
In perfetto assetto di navigazione il Valdivagna deve aver subito un doppio danneggiamento, di cui uno a prua e l’altro nella parte antecedente la poppa, ove si nota il timone e l’imponente elica.
Ci spostiamo verso Capo Ferrato che ci racconta ancora una storia di tragedia vissuta dai marinai della nave Salpi abbattuta dal sommergibile Upholder nel febbraio del 1942. Il relitto si trova alla profondità di 60 mt e inizialmente era stato identificato come Marte fino alla verifica storica eseguita dallo scomparso giornalista e fotografo subacqueo Andrea Ghisotti.
A mio parere una delle più belle navi da esplorare con i suoi 143 metri di lunghezza divisa in due tronconi caduti parallelamente in posizione di navigazione, da un lato la parte poppiera e sul lato di tribordo la prua. La ricchezza di oggetti da vedere e la varietà del carico misto che trasportava rende questa immersione veramente affascinante e, in considerazione della profondità non esagerata, l’uso del rebreather è consigliato perché permette tempi di permanenza in acqua veramente estesi.
Subacqueo dal 1986 e attivo professionista del settore subacqueo, Stefano è un Trainer TDI-SDI e guida dal 1998. Insieme a Susanna Sabbioni è titolare del diving “Pro Dive Scuba Service” a Villasimius, www.prodive.it.
Da diciotto anni si immerge sui relitti citati in un susseguo evolutivo delle tecniche e delle miscele usate per immersione. Dal 2006 utilizza e insegna in forma quasi esclusiva l’uso del rebreather a circuito chiuso che ha permesso, più facilmente, di svelare i piccoli segreti e i dettagli che ogni nave nasconde.