Prendiamo in considerazione un aspetto che a livello formativo è trasversale alle didattiche. E lo facciamo con un esperto nell’addestramento dal vivo che, grazie a Y-40, ha molto da osservare e da dire: l’istruttore di subacquea e apnea Marco Mancini.
A cura di Marco Mardollo e Iris Rocca.
Foto di Matt Evans, Piero Mescalchin, Federico Palumbo e Stefano Borghi.
Vorremmo affrontare qui un discorso che possa se non proprio “prendere le distanze” dalle varie impostazioni didattiche, almeno evidenziare ancora una volta quanta differenza ci sia fra la teoria e la pratica.
Quando si parla di “assetto” infatti e si confronta questo concetto – che peraltro dovrebbe presumersi noto – con quanto poi avviene nelle immersioni reali, ecco che emergono problematiche d’ogni tipo.
Anche lasciando da parte infatti certi “corsi” turistici che di formativo non possono avere granché, dati i tempi ristrettissimi in cui vengono necessariamente svolti – il famoso “weekend all-inclusive” – c’è poco da stare allegri, a giudicare dai più vari fenomeni osservabili nella pratica: subacquei con interi corsi base che han fatto al massimo qualche vecchio esercizio in piscine troppo poco profonde fino a “esperti” con vari corsi alle spalle che non differenziano ancora l’assetto né in base all’equipaggiamento né secondo l’attività che svolgono, tutta la gamma dei possibili “errori” viene puntualmente colta dagli occhi più attenti.
Emerge cioè quanto questo concetto sia noto in realtà solo – o prevalentemente – a parole, mentre all’atto di applicarlo nei fatti mostra tutto il mistero da cui ancora è caratterizzato nella mente dei più.
C’è forse qualcosa di meglio che si possa fare per evitare o almeno mitigare il problema?
L’abbiamo chiesto – insieme a molte altre cose – all’istruttore di subacquea e apnea di Y-40, Marco Mancini.
Marco, un inquadramento generale del problema?
«Stare fermi è la cosa più difficile per chi sta in acqua ed è per questo che l’assetto è parte essenziale della preparazione di ogni subacqueo. Un aspetto che alle volte viene sottovalutato, ma di fondamentale importanza per l’immersione, soprattutto in mare quando dobbiamo stare attenti a non impattare con l’ecosistema, non toccare il fondale, non alzare sospensioni riducendo la visibilità e mettendo in difficoltà i compagni, non urtare qualcosa che possa farci male, ma anche gestire meglio il consumo dell’aria e la scorta a nostra disposizione, evitando proprio movimenti superflui.»
Qual è stata la sua evoluzione nel tempo?
«Se la subacquea è andata sviluppandosi, per lo più, dopo la seconda guerra mondiale, il concetto di assetto, per come lo intendiamo noi con il gav, è certamente stato approfondito negli anni ’80.»
Da dove origina, in realtà?
«Nasce da un’esigenza propria dell’acqua stessa: dall’assetto nel nuoto prima, a quello necessario poi nell’apnea dovuto alla muta e ai pesi – anche legato alla pesca – fino ad arrivare alla gestione del gav, delle bombole e della muta stagna, indispensabile ai subacquei per essere performanti al massimo nell’ambiente sottomarino e limitare il consumo dell’aria, l’affaticamento e l’assorbimento di azoto.»
Il problema della difficoltà di trovare l’assetto corretto quindi esiste sia per l’apnea sia per l’autorespiratore?
«Certamente sì. In entrambi i casi altrimenti andiamo a rischiare di disperdere energie.
Nel caso dell’apnea, con un assetto corretto riusciamo a ridurre il consumo di ossigeno e quindi ad affaticarci meno; nella subacquea con bombole, invece, abbiamo la possibilità di assorbire meno azoto e consumare meno aria. Un buon assetto ci garantisce quindi in tutti i casi immersioni più lunghe, controllate e divertenti.»
Che valore hanno antichi esercizi in acque interne, a corpo libero, per lungo tempo considerati quanto di meglio si potesse fare in fase di apprendimento?
«Gli esercizi come le ruote e le traslazioni erano ottimi per far capire come esercitare un controllo nello spostamento subacqueo, ma ora si possono tranquillamente trascurare o, al contrario, praticare anche solo come esercizio di stile per i virtuosi della tecnica di immersione.
Le acque interne e confinate, come è il caso di Y-40, sono un’ottima palestra grazie alle condizioni che possono garantire. La riproducibilità di esercizi partendo da caratteristiche basali standardizzabili e ripetibili è un grande vantaggio.»
Esistono oggi tecniche più specifiche? (Nel senso di meglio applicabili, per risultati più dedicati ecc.)?
«Da istruttore di subacquea, trovo importante insegnare all’allievo le microregolazioni in un’ipotetica colonna d’acqua in cui la gestione di gav, polmoni e muta stagna può essere componente fondamentale per una salita e una discesa controllate, sicure ed economiche in termini di energie.»
Qualche esempio di ciò che viene svolto in merito presso Y-40?
«In Y-40, certamente, una componente che aiuta in questo tipo di allenamento è la temperatura costante tra i 32 e 34 gradi dell’acqua, che consente di allenarsi a lungo nel mantenimento dell’assetto, dal “trim”, quindi l’andatura in modo idrodinamico, alla regolazione e gestione dei pesi nelle diverse posizioni del corpo. Un’altra componente è l’elevata visibilità, sempre eccezionale, da qualsiasi distanza. Da qualche tempo, sulla piattaforma degli 8 metri di profondità, abbiamo inserito un grande specchio che consente ai subacquei di allenarsi negli esercizi di base: dal “pivoting”, la rotazione sul proprio asse alla stessa profondità con movimenti minimi, all’ “hovering”, la tecnica per rimanere alla stessa quota regolando la respirazione senza aggiustare continuamente la propria profondità con il jacket. Se fino a prima facevamo dei video agli allievi per mostrare i loro errori e affrontarli poi nel debriefing con il proposito di correggerli nell’immersione successiva, ora possiamo intervenire immediatamente e l’allievo stesso percepisce fin da subito la posizione scorretta o le modifiche da apportare confrontandosi con l’istruttore che lo sta affiancando. Ogni feedback è più immediato e preciso.»
Specificità della formazione all’assetto per immersioni particolari, ve ne sono? Tipo le notturne, la grotta, l’esecuzione di foto o videoriprese, insomma quando in questi e altri casi s’instaurano molte più alterazioni delle normali percezioni?
«Y-40 sta consentendo agli istruttori di specializzarsi in questo senso secondo le diverse necessità. Se prima, infatti, in altre piscine si utilizzavano per lo più i cerchi da “hula hop” da attraversare sospesi a quote differenziate, qui abbiamo un’autentica palestra subacquea fatta di tunnel più o meno grandi in cui entrare e prendere le misure del proprio corpo in acqua oltre che dell’assetto da tenere, nonché di grotte in cui addentrarsi anche in condizioni di scarsa luminosità, con l’utilizzo di torce. Altrettanto, abbiamo modo di insegnare a effettuare fotografie o video senza che il cattivo assetto pregiudichi la loro riuscita. Durante i corsi di assetto nella subacquea si insegnano anche tecniche come la pinneggiata a rana, avanti o perfino all’indietro, insegnata un tempo solo per ragioni specifiche, come nella speleosub esplorativa, ma che risulta particolarmente utile per chi si muove in mare con gli autorespiratori anche per moltissime altre ragioni…prima fra tutte quella di evitare qualsiasi danneggiamento – sia pur involontario – ai substrati viventi.»