Psicoterapia e subacquea s’alleano nella crescita personale così come nella cura e riabilitazione degli incidenti subacquei e degli abbandoni dell’attività.
A cura di Guglielmo Campione
In questo articolo indago le interessanti similitudini – fatte salve le numerose differenze – tra attività subacquea e attività psicoterapeutica, i possibili reciproci arricchimenti in termini di conoscenza, operatività e sicurezza. E faccio alcune ipotesi sull’origine di certi incidenti subacquei e degli abbandoni dell’attività, piuttosto numerosi a quanto pare guardando le statistiche, nonché del lavoro da svolgere per riabilitare queste persone coinvolgendole di nuovo nell’attività subacquea.
Partendo dalla mia esperienza posso dire che le esperienze subacquee, in quanto esperienze ricreative ma anche somatopsicologiche, hanno indubbiamente contribuito a chiarire ulteriormente il mio senso di sé, i miei timori reconditi, il mio rapporto di dipendenza–autonomia con gli altri e i miei obiettivi di uomo appassionato di mare e subacquea da cinquant’anni ma anche di terapeuta.
Per certi versi l’esperienza subacquea è stata anche più incisiva dell’esperienza fatta sul lettino in psicoanalisi: partendo dal corpo, bypassando il mio controllo mentale razionale ha svelato in modo più chiaro certi miei timori che sonnecchiavano non visti nel profondo. Essi mi si sono svelati attraverso una produzione di sogni ricorrenti – tutti incentrati sull’immersione – offrendosi alla mia comprensione. In immersione infatti non si può fingere perché è implicato il corpo ed i problemi emergono più facilmente.
Se si verificano incidenti o errori in immersione ci si sente in imbarazzo: a nessuno piace sentirsi incompetente.
Ci siamo mai chiesti perché?
Perché probabilmente questa esperienza di defaillance ci ricorda l’esperienza infantile adolescenziale di essere ridicolizzati o umiliati quando si prova e si fallisce in una attività.
Le immersioni come altre esperienze impegnative si possono vivere come una competizione con sé stessi e con gli altri, anche se si dichiara che così non è, oppure come l’esperienza di persone che si sostengono a vicenda, come esperienze di buon attaccamento e dipendenza-autonomia che possono migliorare la percezione del mondo e di noi stessi.
I subacquei devono infatti allearsi per affrontare pericoli perché reagire in modo impulsivo può essere disastroso.
Le competenze subacquee possono essere apprese sì ma solo se usiamo il cuore insieme alla ragione e alla tecnica.
Ritengo che la subacquea come la psicoterapia sia un processo legato ai nostri desideri, sentimenti, timori e bisogni più profondi.
Come psicoterapeuti, stare in collegamento con il cuore e i desideri dei nostri pazienti è altrettanto importante.
Quando lavoro chiedo al paziente di conoscere i desideri, le intenzioni e le motivazioni, ascolto parlare delle lotte e del dolore, voglio capire in cosa vorrebbe essere diverso, cosa spera di ottenere dalla terapia e quanto vuole impegnarsi in questo sforzo.
Questo può essere un processo complesso, in particolare con quegli uomini concreti e operativi che non riescono e identificare i loro desideri, non sanno ciò che sentono, o non sanno in cosa vorrebbero essere diversi, non ricordano i loro sogni. Molte persone siffatte ho incontrato tra i subacquei.
Nel condurre la psicoterapia, come nelle immersioni, è importante valutare realisticamente le risorse interne ed esterne, i propri punti di forza e i propri punti vulnerabili (ce li abbiamo tutti signori Supermen e signore Superwomen!) in modo da non nutrire speranze irrealistiche e fallire.
Molti uomini e donne si vergognano di soffrire e di cercare aiuto.
La terapia per essere di beneficio, necessita di descrivere realisticamente l’impegno personale richiesto, in termini di tempo, denaro e cuore. Mi pare che questo valga anche per la subacquea.
Come scrivo nel mio libro “Emozioni nel profondo”, nel mito di Icaro si dice che il padre Dedalo ha frettolosamente attaccato le ali a suo figlio per poter volare via e sfuggire al labirinto in cui era stato imprigionato.
Icaro, nel suo entusiasmo e nella meraviglia, ignora gli avvertimenti di suo padre di non volare troppo vicino al sole, con risultati disastrosi: la cera si fonde, le sue ali cadono e si schianta a morte nel mare sottostante.
Molti uomini si identificano con la vergogna di Icaro.
Sanno che nella megalomania ma soprattutto nel successivo fallimento, può prodursi un’umiliazione, un senso di vergogna e disperazione che conduce a una grave perdita di autostima, speranza, allegria e spontaneità.
Molti uomini gonfiati hanno paura che se smettono di spingere tanto e sfidarsi, se abbandonano i loro sforzi per controllare il loro ambiente, se smettono di mirare verso l’alto o allentano il loro perfezionismo, possono cadere e non rialzarsi più dalla vergogna di non essere stati all’altezza dell’immagine idealizzata di sé stessi e di mostrarsi vulnerabili. Altri esprimono rabbia, tristezza a pensare che non c’era nessuno lì per aiutarli a “volare”. Ciò è all’origine di molti abbandoni, statisticamente piuttosto significativi nel mondo subacqueo.
Gli istruttori riflettano su questo perché può essere all’origine di molti incidenti subacquei da una parte e dall’altra dell’incapacità a riprendersi dopo un incidente subacqueo con conseguente abbandono dell’attività.
Robert Bly dice che dalle ceneri però non viene solo una rinascita, ma soprattutto un atteggiamento più compassionevole.
L’assunzione di rischi e di fallimento nella subacquea, così come nella vita d’ogni giorno, è un aspetto essenziale dell’essere vivo. Per riflettere sulle esperienze che potrebbero essere state sepolte o respinte ritengo talvolta utile – da questo punto di vista – consigliare libri e film sul valore psicologico di viaggi e lotte.
Un mio incidente subacqueo, fortunatamente privo di conseguenze, mi ha insegnato questo: non basta saperlo una volta, anche se pensiamo di sapere razionalmente queste cose, dobbiamo re-imparare questa lezione ripetutamente al fine di controbilanciare il proprio giudice interiore, che si è evoluto severamente e talvolta sadicamente in risposta alle esperienze di umiliazione e vergogna di anni prima.
Le esperienze subacquee mi aiutano a capire che le maschere e le attrezzature svolgono funzioni essenziali, ma possono essere facilmente abusate.
Il proprio equipaggiamento protettivo, come guanti, pinne o un coltello subacqueo, potrebbero essere utili, ma al tempo stesso fare un danno all’ambiente come ad esempio in prossimità di alcune barriere coralline che possono essere facilmente danneggiate dal contatto, anche quello involontario.
Ragazzi e giovani imparano infiniti modi per difendersi ma, come adulti, hanno bisogno di vedere il costo psicologico di indossare un’armatura che non svolge più la sua funzione prevista.
La muta subacquea ti ha salvato la vita ma deve essere abbandonata quando si torna a terra.
E’ normale sentire la necessità di proteggersi durante i processi d’infanzia, adolescenza ed età adulta.
Ha un grande valore proteggere e difendere se stessi, ma poi dobbiamo poter fare un successivo esame sugli usi consci e inconsci di tale protezione.
Con i radicali cambiamenti culturali e femminili del mondo, molti uomini (insieme con le donne) si trovano in ruoli, situazioni o rapporti per i quali hanno avuto poca o nessuna preparazione psicologica.
Ho scoperto che gli uomini – me compreso – si sentono liberati dalla metafora del guaritore ferito di Jung: attraverso il riconoscimento delle mie ferite, ho potuto apprezzare al meglio le mie doti e punti di forza.
Come scrivo nel libro, le persone vanno infatti aiutate a capire che se vengono alle prese con le loro ferite psicologiche possono, invece che sentirsi vergognosamente inferiori, diventare preziosi modelli per altre persone.
Il pericolo insito nell’attività subacquea evoca spesso una gamma di emozioni intense, dalla soggezione alla paura alla rabbia (per esempio, quando un altro subacqueo fa qualcosa di irresponsabile che mette a rischio gli altri), quindi ho frequenti opportunità di lavorare con queste emozioni portando esempi in terapia della mia attività subacquea.
Io lavoro per educare gli uomini ai sentimenti, soprattutto in relazione alla rabbia, ansia, senso di colpa e vergogna.
Questi sono solo alcuni esempi di contenuti che propongo di utilizzare nella riabilitazione di un/una sub, bloccati dopo un incidente subacqueo.
Su questo aspetto non si fa ancora nulla ad eccezione dei training Scuba wellness e di quelli del Metodo Blu di M. Cristina Carboni e Giorgio Vadu, autori d’un capitolo del mio libro “Emozioni nel profondo”, che non ho idea se lavorino sulla prevenzione, la gestione emozionale in acqua e la promozione del benessere subacqueo o anche sulla terapia di traumi post immersione, cose molto diverse tra loro. Sarebbe importante un confronto. La pretesa d’esclusività che narcisisticamente ci accarezza nella competizione commerciale non ci aiuta se le attività scientifiche non vengono condivise.
Un altro dato importante nella riabilitazione post traumatica è che bisogna imparare a distinguere tra colpa e vergogna.
Molti uomini capiscono razionalmente l’errore logico di saltare dalla colpa alla vergogna ma nella loro esperienza reale affettiva, ovviamente, questo richiede molto più tempo e fatica. Lo stesso vale per l’ansia e lo stile attacco o fuga.
Molti di noi hanno il sensore dell’ansia che perde colpi di tanto in tanto e prematuramente innesca una reazione di panico.
Ma attraverso la consapevolezza e la perseveranza, si può affinare la propria reattività e impulsività e analizzare la realtà prima di poter fuggire o attaccare.
Talvolta consiglio un lavoro sul corpo o un diario per aiutare gli uomini a tenersi allenati in relazione ai loro corpi e alle loro emozioni.
Un’altra attività importante è riesaminare i propri valori in età adulta.
Per molti adolescenti e giovani, la concorrenza è un elemento essenziale e vivificante della vita e sconfiggere qualcun altro, per molti uomini, è la principale fonte di gioia nella vita.
La crescita in età adulta, però, deve comportare, secondo me, l’allontanarsi dalla competizione con gli altri e l’esplorare i propri sogni.
Facilitare questo cambio di orientamento diventa l’aspetto fondamentale della terapia per molti.
Se questo cambiamento si verifica ci si può sentire grati di aver incontrato un degno avversario che ci ha fornito ulteriore incentivo nei nostri sforzi per lavorare su noi stessi.
Quando si va in immersione talvolta ci si sente in competizione con gli altri, altre volte i sub sono molto più interessati a collaborare che a competere.
Dal momento che le immersioni sono potenzialmente pericolose per la vita, è molto sentita l’importanza della cooperazione.
In immersione la “sopravvivenza” ha un significato collettivo (“meglio funzioniamo come squadra, più sicuri siamo”) e non solo un significato individuale.
Più invecchio, più apprezzo questo cambiamento di coscienza in molti aspetti della mia vita e più determinato sono io ad aiutare altri uomini a fare questo cambiamento.
Come dice Thomas Bernhard “noi ci costringiamo a non percepire il nostro abisso.
Eppure, per tutta la vita, non facciamo altro che guardare giù, al nostro abisso fisico e psichico, pur senza percepirlo.”
Guardare giù insieme è più possibile, più accettabile.
Questo è un aspetto potente e gratificante del mio lavoro e ritengo che sia di grande importanza nella subacquea così come nella vita di relazione.