Novantuno metri di emozioni. Per una vita sott’acqua trattenendo il respiro. È qui con noi il supercampione del mondo Michele Tomasi
Testo e foto di Virginia Salzedo
Campione del mondo è un titolo importante e altisonante ma è anche una responsabilità, ti fa sentire ancora più italiano e orgoglioso di esserlo. Sai che nessuno al mondo ha fatto più di te.
Michele Tomasi, nella sua incredibile carriera agonistica, questo titolo l’ha vinto per ben tre volte. L’ultimo titolo se l’è aggiudicato appena il mese scorso nel mare della Turchia scendendo in assetto costante con le due pinne a 91 metri di profondità.
Solo a pensarci mi mette i brividi, un tuffo nel blu che poi piano piano diventa nero. Il corpo che si comprime, le orecchie che scoppiano per la pressione, il silenzio, la paura di non farcela, il coraggio di arrivare fino a quel cartellino, staccarlo e risalire, le sue gambe che spingono, il blu sempre più chiaro, il sole, gli amici ed i giudici sempre più vicini e poi l’uscita dall’acqua come un missile, un respiro intensissimo che lo riporta alla vita, gli ricorda che è solo un uomo e non un pesce.
Gli abbracci, le urla dei compagni di squadra, le lacrime che si confondono nel mare perché i campioni sanno piangere di gioia.
Pochi giorni dopo il suo rientro in Italia incontro Michele a Montegrotto in provincia di Padova,
per un servizio fotografico alla Y40 che, con i suoi 42 metri di profondità, è la piscina più profonda al mondo. Michele è di casa qui. La nazionale italiana d’apnea si allena una volta al mese in questa piscina termale così particolare per la sua temperatura che sfiora i 35 °C ed agevola le lunghissime sedute di allenamento.
E’ davvero divertente fotografarlo, si presta al mio obiettivo con la sua solita spontaneità, pieno di entusiasmo. Resto molto sorpresa dalla disinvoltura con la quale scende a – 42 metri. I suoi movimenti sono lenti e sinuosi, con lunghe pause in profondità.
Michele quali caratteristiche deve avere un’atleta per poter vincere un titolo mondiale?
«Innanzitutto deve essere fortunato. Poi servono apnea e la capacità di compiere una corretta manovra di compensazione in profondità e infine anche grinta e testa, e cioè la volontà di raggiungere il risultato e la capacità di non cedere e tornare indietro prima del traguardo prefissato. Il segreto per ottenere tutto questo è saper cacciare via i pensieri negativi che possono venire quando si raggiunge quote considerevoli.»
Parlami di questi pensieri negativi?
«A volte può succedermi di avere paura di uscire male dall’acqua oppure, nelle fasi più faticose di una gara, può accadermi di sentirmi demotivato. Questo mi succede più frequentemente durante le gare in piscina che trovo molto più faticose dal punto di vista psicologico. In piscina, quando la fatica e lo sconforto prendono il sopravvento, sai che ti basta pochissimo per non soffrire più. Tiri fuori la testa dall’acqua e in un secondo tutto finisce. Nelle gare di profondità in mare, invece, hai una sola alternativa: risalire! Qui possono essere le tensioni che provi mentre scendi che ti bloccano.
Tanti considerano l’apnea profonda un sport estremo ma in realtà non è così. Le profondità rilevanti vengono raggiunte a piccoli passi, allenamento dopo allenamento. Il mancato raggiungimento della profondità prefissata è generalmente dovuto a problemi di compensazione, il più delle volte causati da tensioni emotive.»
Come fanno a rendere sicura una discesa a queste quote così profonde?
«In questi ultimi mondiali in Turchia è stato utilizzato per la prima volta, nella storia dell’apnea, un sistema di video-ripresa in streaming di tutte le fasi del tuffo dell’atleta, dando la possibilità a tutti, compresi i giudici che erano in barca, di seguire in diretta il tuffo così da poter intervenire immediatamente in caso di necessità.
È stato utilizzato un sistema di “winch” (verricello) elettrico collegato al cavo guida così, in caso di malore, l’atleta può essere tirato su ad una velocità di più di due metri al secondo.»
Come ti sei allenato per il mondiale?
«La cosa particolare è che non mi sono allenato in maniera specifica per questa disciplina. L’ultimo tuffo profondo che avevo fatto risaliva al giugno del 2015 a Nizza ed ero arrivato a ottantasei metri. Poi durante gli ultimi campionati italiani non ho voluto andare oltre i settanta metri per non forzare eccessivamente la compensazione delle orecchie che ultimamente mi stava dando dei problemi.
Questo titolo arriva dopo un periodo molto difficile. Una continua lotta con la compensazione che proprio non mi riusciva. Non mi divertivo più e in me era venuta meno la voglia di allenarmi. Se non fosse stato per il fatto che mi avevano già convocato in nazionale per andare ai mondiali e che era già stato acquistato il mio biglietto per il volo in Turchia avrei abbandonato le competizioni.
In me era cresciuto un sentimento di rifiuto totale verso l’apnea.
Poi, a fine estate, c’era in programma una gara nel lago di Garda e così ho ripreso ad allenarmi.
All’inizio è stato drammatico, sono andato malissimo, non riuscivo a scendere, direi un bruttissimo momento nella mia lunga carriera agonistica.
Poi sono ritornato sempre sul Garda, a Riva, in compagnia di un mio amico, Lorenzo Bossi e ho iniziato a riprendere fiducia in me stesso riuscendo ad ottenere delle prestazioni sempre migliori.
Nel giro di 4-5 allenamenti ho ottenuto risultati sempre migliori nella rana e la fiducia in me stesso è aumentata ancora. A fine agosto ho stabilito il record italiano di rana subacquea nel lago raggiungendo i 64 metri di profondità.
Purtroppo, negli allenamenti e negli ultimi campionati Italiani, avevo raggiunto delle quote che non erano le mie. Sapevo che sarei potuto scendere molto più fondo. Sono partito per i mondiali alcuni giorni prima così da potermi allenare in mare. Ho passato dei giorni orribili, avevo dei grossissimi problemi di compensazione, non mi divertivo ed ero davvero demotivato.
Ai miei compagni di nazionale avevo confidato l’intenzione di smettere perché stava diventando solo una sofferenza.»
Raccontaci il tuo tuffo: 2’ e 42” per scendere a 91 metri e diventare campione del mondo.
«Ai mondiali, la sera prima della gara, dovevo dichiarare la profondità che avrei raggiunto il giorno seguente. Sapevo che l’anno prima, nel mio tuffo a Nizza, avevo raggiunto ottantasei metri con grande semplicità ed ero consapevole di avere margini di miglioramento della mia prestazione.
Ho azzardato aumentando di 5 metri la quota che avrei fatto il giorno dopo e questo mi ha portato fortuna.
Arrivato sul campo di gara mi sentivo tranquillo e concentrato. L’unica mia preoccupazione era quella di riuscire a compensare, avrei forzato fino al mio limite senza però oltrepassarlo.
È così che sono riuscito ad arrivare fino al piattello. A quel punto sentivo di avere già vinto anche se mi mancava tutta la risalita ma sapevo che potevo farcela senza grossi problemi.
Durante la discesa ero molto concentrato sulle manovre di compensazione e, a una certa quota, ho riempito la bocca di aria, ho chiuso la glottide e utilizzato solamente l’aria che avevo all’interno della bocca per traslarla verso le tube.
Nella risalita invece mi sono concentrato molto sul ritmo della pinneggiata, sulla posizione del corpo e lo scivolamento nell’acqua.
Sono stato uno dei primi apneisti ad adottare, invece che la classica pinneggiata ampia e lenta, una più stretta e veloce che, a mio avviso, è molto più idrodinamica soprattutto se associata al posizionamento delle braccia sopra la testa, sia in fase di discesa, sia di risalita. Si è sicuramente meno rilassati con le braccia in questa posizione ma si è molto più idrodinamici per cui si ha bisogno di meno potenza e non occorre fare la falcata molto ampia. In questo modo si sfrutta di più la penetrazione nell’acqua.»
Sei un componente della squadra nazionale di apnea da ben quattordici anni e, con i tuoi cinquantuno anni, sei l’atleta più “vecchio” della nazionale. Che rapporto hai con i tuoi compagni di squadra?
«Negli ultimi anni, oltre ad essere il “vecchietto” della squadra, ne sono anche il capitano e sono sicuramente visto come una figura di riferimento per i miei compagni più giovani, grazie anche all’esperienza agonistica che ho maturato in tanti anni di carriera nelle competizioni internazionali.
Il fatto di avere cinquantun anni mi dà una forza mentale non comune che mi fa essere ancora ai vertici nonostante la mia età.
È dal 2002 che partecipo a gare ad alto livello e cerco di cambiare spesso disciplina per trovare, dopo tanti anni di carriera, sempre nuovi stimoli. Per me è psicologicamente molto pesante praticare l’apnea a livelli così alti.
La nostra è una squadra fortissima. Siamo la nazionale di apnea di riferimento in campo internazionale e quella storicamente più forte in assoluto perché nel medagliere siamo sempre stati ai primi posti e veniamo da una tradizione storica unica iniziata da Raimondo Bucher, che ha fatto il primo record, proseguita poi da Enzo Maiorca fino ad arrivare a Pellizzari e Genoni.»
Nella tua carriera hai vinto tre titoli mondiali e stabilito molti record del mondo. Raccontaci i più memorabili.
«Il più bello in assoluto è stato sicuramente il titolo mondiale nella disciplina “apnea dinamica” conquistato a Tenerife nel 2006. E’ stato il mio primo titolo, vinto con pochissimo scarto dal secondo e quel giorno erano presenti, a tifare per me, mia moglie e mio figlio Marco che non aveva neppure un anno. È stata una felicità pura, ineguagliabile anche rispetto a quella provata nelle successive vittorie, e che mi porterò sempre nel cuore.
L’anno dopo, nel 2007, ho vinto a Bari il mio secondo titolo mondiale nella disciplina “apnea dinamica”. All’inizio mi sembrava di non aver fatto tanto bene raggiungendo “solo” i 190 metri. Solamente alla fine, quando sono usciti tutti gli altri atleti, ho avuto la certezza di aver vinto il titolo.
È stato meno entusiasmante rispetto al titolo conquistato a Tenerife perché non c’era la mia famiglia a supportarmi e il clima che si era formato all’interno del gruppo della nazionale azzurra non era forte come l’anno prima.
E poi ci sono tanti altri record e vittorie che hanno accompagnato la mia lunga carriera ma sarebbe qui troppo lungo da ricordare.»
Il tuo titolo mondiale arriva dopo ben 9 anni dall’ultimo oro mondiale. Cosa ti ha dato la forza di continuare?
«Vinto il mio secondo mondiale, vista la mia non certo giovane età, mi avevano consigliato di smettere visto anche che mi trovavo all’apice della carriera.
Io non gareggio perché voglio apparire ma perché mi diverto. Gareggio per me stesso e, finché mi divertirò, continuerò a gareggiare.
A livello internazionale ho avuto in questi anni molte delusioni. Spesso sono arrivato vicino a risultati positivi senza ottenerli e questo è stato per me molto frustrante.
Quest’anno sono arrivato ai mondiali talmente demoralizzato che avevo deciso di smettere. Ovviamente questa vittoria mi ha ridato stimolo e la grinta per provarci ancora.
Il prossimo anno sicuramente gareggerò ancora e continuerò a farlo finché questo mi divertirà e mi piacerà.»
Tra le varie specialità dell’apnea, quale è la tua preferita e perché?
«Sicuramente l’assetto costante a rana perché è la più fisica e pura che esista. Sei tu da solo con il tuo corpo, le tue mani e le tue braccia. Devi scendere in profondità e risalire solo con le tue forze. È sicuramente la più dura e difficile. Deve essere fatta in maniera perfetta e basta una piccola variabile per farti consumare di più, sbagliare e non ottenere il risultato.»
La tua storia è speciale: in dieci anni di agonismo hai conosciuto la gioia di essere il numero uno, di essere considerato l’atleta migliore dell’apnea mondiale e la delusione della sconfitta, quella che ti brucia dentro e non riesci a spegnere. Ma in te, caro Michele, l’uomo supera l’atleta e con la tua forza di volontà riesci ad urlare al mondo che non sei vecchio, che ci sei ancora! Nel momento forse più intenso della tua carriera riesci a far parlare il tuo cuore con una dedica meravigliosa che è l’essenza dello sport, quello con la S maiuscola che tu ami tanto.
«Ho dedicato questo titolo a tutti gli atleti che non finiscono sul podio. Il limite tra l’essere un campione ed un perdente è molto sottile. Ho visto tanti atleti meritevoli perdere per pochissimi centimetri o perché uscivano male o perché non riuscivano a compensare.
Io, gli altri anni, quando non vincevo nulla, non ero certo diverso da adesso.
Però quest’anno tutti mi vedono come il campione.
È per questo che dedico la mia vittoria a tutti quelli che non arrivano sul podio, che hanno grandissime capacità, ma per piccoli errori o sfortuna non ottengono il risultato o a chi sul podio non ci arriverà mai poiché di livello chiaramente inferiore, però ci mette enorme impegno e passione contribuendo a rendere ancora più bello questo sport. Non valgono certo meno di me!
Ogni tanto mi capita di allenarmi con amici che raggiungono la profondità massima di 45 metri mentre io, magari, scendo a – 80. Quando faccio loro i complimenti mi rispondono stupiti che io sono andato molto più profondo e allora io ribatto dicendo che loro hanno dato il loro massimo mentre io no.
Ognuno deve trovare dentro sé stesso le motivazioni e la forza per andare avanti. È per questo che dedico la mia vittoria a tutti gli appassionati che mettono, esattamente come me, grandissimo sacrificio ed impegno in questo bellissimo sport.»
È molto più facile trovare gli stimoli e fare i sacrifici quando sei un vincente ma il vero sport è nei polmoni di chi si allena tutti i giorni, in silenzio, senza clamore, senza sponsor, solo per l’amore che nutre verso questo bellissimo sport trasmettendo valori e conoscenze alle nuove generazioni.
«Dopo tante gare so benissimo che per piccole frazioni di secondo passi dall’essere un campione al non aver fatto nulla ma io, nonostante i miei errori, sono sempre lo stesso uomo e lo stesso atleta e le mie capacità non possono dipendere da una vittoria o da una sconfitta.
Il mio valore resta identico.»
Questo è il mio amico Michele, conosciuto tanti anni fa alleRane Nere di Trento.
Lui era il mio istruttore di ARA e io una delle sue allieve al corso di primo grado. In lui vedo ancora il sorriso contagioso, l’entusiasmo ed il carisma che lo ha sempre contraddistinto. In quel lontano 1992 non avrei mai potuto immaginare che sarebbe diventato un grande campione d’apnea e che, dopo tanti anni, ci saremmo ritrovati a condividere, sotto forme diverse, la grande passione per il profondo blu.