Il mondo delle “abilità diverse” si arricchisce di una didattica specializzata. Perché mai come oggi la subacquea è uno sport veramente per tutti.
A cura di Giorgio Anzil
Ormai lo sappiamo tutti, il nostro pianeta è fatto per più del 70% di acqua ed è ovvio pensare che, se tante cose belle ci sono nel restante 30%, anche nell’ambiente liquido ci siano un’infinità di forme di vita e ambienti non meno affascinanti e meritori di essere scoperti e goduti.
Fortunatamente ormai da anni i media trasmettono sempre più spesso servizi sul mondo sommerso, facendoci vedere animali, piante, talora vestigia di tempi più o meno remoti e scenari che non possono non far venire la voglia di attivarsi per esaudire il desiderio di avvicinarli di persona. Come fare?
è semplice: basta diventare subacquei… sì è semplice! Molti hanno ancora nella mente che per fare questa attività occorra essere quasi dei superuomini, sottoporsi a corsi lunghi e selettivi che scartano chi non è in grado di fare decine e decine di metri sott’acqua in apnea… in apnea? Ma non hanno inventato le bombole e gli erogatori? Si vuole andare a spasso sott’acqua come si va a fare una gita nel bosco, non come se si dovesse scalare l’Annapurna! E perché se il Creato è bello deve essere bello solo per pochi fortunati con un fisico bestiale? La Natura è stupenda ed è lì per tutti gli esseri umani: chi l’ha creata non voleva fare favoritismi.
E per tutti bisogna intendere tutti davvero. Ci saranno dei limiti – non siamo tutti uguali, è vero – ma nel rispetto di essi e di quelle norme di sicurezza che si impongono in tutte le attività di un essere raziocinante, ciascuna persona deve avere quanto meno la possibilità di provare.
La psicologia di oggigiorno rivaluta moltissimo l’attività subacquea sia per la fase della riabilitazione che per lo stile di vita di un diversamente abile. La subacquea induce a socializzare, induce alla introspezione, induce a rafforzare il proprio carattere accettando e superando sfide che potrebbero sembrare impossibili per colpa di situazioni deficitarie più o meno gravi.
Una considerazione per tutte: se si pensa a un paraplegico ci si rende conto facilmente dei vantaggi che potrà avere nel muoversi in una situazione praticamente priva di gravità, ma realizzare, per esempio, quanto sia esaltante andare sott’acqua per un ipo/non-vedente è più dura. Una domanda sorge spontanea: che ci va a fare se non può vedere le meraviglie che lo circondano? Ebbene, oltre a vanificare la più o meno inconfessata paura di cadere o di inciampare, dato che la maggior parte degli ipo/non-vedenti acquisisce le immagini col senso del tatto, sulla superficie sarà impossibile per loro “vedere”, che ne so, un capitello del Partenone, a meno di non avere a disposizione un elevatore ogni volta. In acqua invece si recupera anche la terza dimensione e questo già di per sé è molto appagante e gratificante.
Occorre ricevere, indubbiamente, un addestramento ad hoc, adattato a ciascun tipo di disabilità e sempre nell’ottica della sicurezza. Occorre quindi che la didattica cui ci si affida non sia improvvisata ma altamente professionale e che prepari Istruttori ed accompagnatori che siano in grado non solo di garantire divertimento e sicurezza, ma anche la tutela della dignità del subacqueo diversamente abile.
La IAHD – International Association for Handicapped Divers nacque nel 1993 e pochi anni fa ha iniziato un lento ma convinto cammino di ristrutturazione del proprio assetto didattico, introducendo l’addestramento teorico via computer (D-Learning) in modo da non complicare l’esistenza agli allievi con minor mobilità ed in linea con le più moderne didattiche subacquee per normodotati. Per qualsiasi corso e per qualsiasi allievo deve verificarsi la “regola dei 3 sì”: devono essere d’accordo a fare il corso l’istruttore, l’allievo e il suo medico, e se uno soltanto di essi non se la sente di dare la propria approvazione, il corso non viene fatto.
Il termine “diversamente abile” è un termine assai generico e persino a parità di definizione – come, per esempio, “paraplegico” – ci sono casi molto diversi fra loro. Le didattiche per normodotati richiedono che ciascuna allievo raggiunga da solo la totalità degli obiettivi prestabiliti per quel corso? La IAHD permette che questi obiettivi vengano raggiunti con l’aiuto di uno o più compagni di immersione. In fase addestrativa, l’Istruttore stabilisce con l’aiuto di un prontuario quante persone devono accompagnare quel particolare disabile e questo coefficiente viene riportato sul suo brevetto, in modo che nei diving centre dove andrà ad immergersi sapranno di quali particolari cure ha necessità.
In questo modo, salvo rare eccezioni, si riesce a portare in acqua paraplegici, ipo/non-vedenti e perfino quadriplegici e disabili mentali minori.
La struttura didattica della IAHD – sia per quanto riguarda la sicurezza che relativamente ai contenuti – è di tale livello da essere stata direttamente certificata ISO ed è quindi riconosciuta non solo nell’ambito della CE ma nel mondo intero senza necessità di avete la copertura di altre didattiche (CMAS, NADD, ecc.) e al momento è l’unica ad avere questa caratteristica. Va anche detto, poi, che non a caso nell’organigramma dei corsi IAHD ci sono anche quelli DAN ad indicare la sinergia fra queste due organizzazioni, proprio nell’ambito della sicurezza del subacqueo.
Si sta lavorando perché la IAHD abbia anche in Italia la meritata diffusione e il primo passo è ovviamente creare sul territorio un congruo numero di Istruttori che potranno lavorare come liberi professionisti al pari di quanto avviene per gli Istruttori PADI, SSI, DAN e altri simili.
Per qualsiasi informazione, contattate pure il Regional Officer per l’Italia Stefano Fei alla casella e-mail italy@iahd.org o al cellulare 3407522490.