Breve storia delle fotocamere oggi non più “figlie di un Dio minore”. Il senso della loro sempre maggiore affermazione anche presso il pubblico subacqueo.
di Emanuele Vitale
La fotografia subacquea non è iniziata con distinzioni tra tipi di macchine fotografiche differenti, lo scopo prioritario è stato a lungo quello di ritrarre al meglio possibile ciò si presentava sott’acqua. Si cercò dunque di ottenere questo obiettivo semplicemente scafandrando – cioè rendendo stagni, resistenti alla pressione e azionabili dall’esterno della custodia da immersione – alcuni degli apparecchi fotografici allora sul mercato.
Infatti, a parte i primi tentativi e le prime fotografie subacquee realizzate da William Thompson, il viaggio di Jacques Cousteau sulla Calypso in direzione dell’Oceano Indiano nel 1955 può essere considerato l’inizio della fotografia subacquea a colori come oggi la conosciamo. Lo accompagnava Luis Marden (al secolo Annibale Luigi Paragallo, tanto per cambiare un Italiano…) usando una fotocamera Rolleiflex inserita in una custodia stagna per i primi piani e una Leica per i campi lunghi. Grazie anche alla competenza dell’equipaggio della Calypso e ai metodi totalmente artigianali adottati si realizzarono così le prime foto. L’impermeabilizzazione dei filamenti delle lampade del flash – allora molto grosse – venne ottenuta con cera bollente inserita con una siringa e il tutto rese possibile anche illuminare quelle pionieristiche fotografie subacquee.
In epoca più moderna, e recentemente in era digitale, già nella fotografia terrestre tradizionale si è invece assistito da un lato all’affermarsi della fotografia realizzata con apparecchi reflex, di altissima qualità e dai costi di conseguenza elevati, con fotocamere considerate sempre più semi-professionali o professionali; e dall’altro a un distacco sempre più marcato dal mondo degli apparecchi non reflex, di solito più piccoli, non sofisticati e meno accessoriati, oltreché più economici, ma relegati alla fascia amatoriale quasi fossero “figli di un Dio minore”.
A quel punto però la gente, e il mercato, hanno cominciato a creare le differenze vere abbattendo le false distinzioni: le reflex sono sempre più diventate strumento per professionisti – fotografi, fotoreporter, ecc – mentre le compatte, appunto, si sono ampliate a dismisura a uso delle persone che fotografi non sono. Perché il concetto, in fondo e in fine, è che non chiami il fotografo per fotografare il bimbo che fa il compleanno: l’immagine del soffio sulle candeline gliela vuoi riprendere te! E tendi a farlo con quello che hai lì al momento, perché ciò che conta è l’emozione legata all’attimo dello scatto rispetto alla qualità tecnica del fotogramma. Questo concetto è stato talmente pervasivo che, aiutato tecnologicamente proprio dalla diffusione del digitale (anche grazie al pre-view immediato dello scatto), ha occupato perfino campi della comunicazione un tempo impensabili: le rivoluzioni e le guerre della Primavera Araba sono state divulgate prima dai telefonini dei manifestanti sul posto che dai media e un nuovo giornalismo di strada (alias dei “contenuti generati dagli utenti”) ha sostituito quello degli inviati speciali delle grandi testate.
Parallelamente quest’ultimo processo ha avuto il suo corrispettivo in campo subacqueo: le reflex hanno comportato lo stesso lievitare dei costi aggiuntivi anche per tutto ciò che riguardava l’accessoristica dedicata, come scafandri, flash, oblò, bracci, staffe ecc; l’iniziale valore dell’immagine reflex ha cominciato a perdere il ruolo di riferimento che aveva e a essere avvicinato – e in certi casi perfino uguagliato – da quello delle compatte; le testate illustrate di settore hanno preso a servirsi anche di immagini dal minor costo di produzione rispetto alle reflex; le case costruttrici di apparecchiature fotografiche si sono orientate verso maggiori investimenti nella diffusione di compatte tecnologicamente più avanzate e più performanti rispetto alle prime e di pari passo dotate delle rispettive scafandrature (non c’è praticamente più marca fotografica che non preveda un kit di custodia subacquea per le proprie compatte e perfino l’iPhone già dalla serie 4 aveva sul mercato una custodia per l’immersione…). Per tutta questa serie di fattori le reflex sono state sempre più confinate in una gamma di utilizzazione molto ristretta e perfino il loro progresso tecnologico oggi come oggi è considerato tendenzialmente inferiore a quello delle compatte, mentre il gap qualitativo un tempo esistente tra reflex e compatte si va riducendo, con addirittura “contaminazioni” di spunti tecnologici propri delle reflex riversatisi nelle compatte, com’è il caso della grandezza dei sensori impiegati o dei processori per l’elaborazione delle immagini.
Constatando tutto ciò, chi scrive si è anche accorto che mancava un riferimento divulgativo semplice e alla portata di chiunque sul mondo delle compatte per la subacquea e quel che c’era costituiva al massimo una derivazione e un adattamento da concetti “reflexiani”.
D’altra parte l’esperienza sul campo – compresa la partecipazione a importanti gare di settore fotosub, non prive di alcune affermazioni agonistiche – lo hanno convinto che il risultato finale di un clic non è determinato solo dai limiti di performance della fotocamera utilizzata ma anche da una non approfondita conoscenza di quell’apparecchiatura e delle connesse potenzialità da parte di chi scatta, dato che la sua tecnica fotografica stessa si presume di più basso profilo rispetto a quella d’un fotografo professionista.
L’idea dunque è di intervenire con un’opera divulgativa su queste carenze di conoscenza fotografica – vissute anche in prima persona dall’autore stesso – per colmarle, costituendo un’opportunità per i lettori di trarne insegnamento prima e meglio di quanto non abbia potuto fare lui.
Con questo blog presso Serial Diver il sottoscritto conta di riuscire nell’intento. Una cosa che potrete determinare solo voi, contribuendo con le vostre opinioni, con idee, ecc. In una parola, con i contenuti generati da ognuno. Buoni scatti compatti!