E’ in arrivo una generazione di nuovi robot subacquei per svariati possibili impieghi. Uno dei più promettenti è nell’archeologia subacquea. Di cui potrebbero abbattere i costi e i rischi, moltiplicandone le potenzialità d’indagine.
A cura di Romano Barluzzi – collaborazione prof. Benedetto Allotta – foto repertorio UNIFI
Questa nuova progettualità, l’ultimo grido in fatto di robotica per l’immersione, risponde al nome di “ARROWS”, acronimo di “ARchaeological RObot systems for the World’s Seas”…una sigla che si commenta da sola. Con ogni probabilità si avvia a rappresentare la più concreta opportunità di un’archeologia subacquea “low cost” come mai si era verificata prima. La descrizione sintetica del progetto parla infatti di “sviluppo di tecnologie avanzate e strumenti per la mappatura, la diagnosi, lo scavo e la protezione di siti archeologici sottomarini e costieri”.
Cinque diversi paesi con dieci rispettivi partner hanno partecipato al periodo progettuale triennale – finanziato dall’Unione Europea con non meno di 3 milioni di euro – che si avvia alla conclusione con tangibili risultati, espressione delle competenze accademiche entrate in gioco e appartenenti ai settori dell’archeologia subacquea stessa, dell’ingegneria marina, della visione computazionale e della robotica.
Il coordinamento di ARROWS è presso l’Università di Firenze, fa capo a un consorzio di gestione guidato dalla Scuola di Ingegneria dell’Ateneo Fiorentino e ha un nome e un cognome: prof. Benedetto Allotta, ordinario di Meccanica applicata alle Macchine. Il professore, che in una recente intervista ha già spiegato come “siamo partiti dall’analisi dei bisogni espressi dagli archeologi per realizzare dei robot a costi contenuti e tecnologicamente avanzati che hanno i loro punti di forza nella semplicità del sistema di controllo e dell’interfaccia utente, oltre che nella capacità di comunicare con altri veicoli subacquei”, prevede che “per la commercializzazione del robot fiorentino occorrerà ancora qualche anno ma nel breve periodo il veicolo potrà essere impegnato per l’erogazione di alcuni servizi anche attraverso la collaborazione con lo spin off UNIFI MDM Team SRL”.
Ma andiamo per gradi. Quel che si sa è che i mezzi in questione hanno dimensioni molto contenute – ulteriormente miniaturizzabili – e si candidano a esprimere grandi potenzialità esplorative senza più i rischi legati all’impiego di personale subacqueo. Tra i prodotti annoverati sotto ARROWS, tutti classificabili come “AUV” cioè tradotto “veicoli subacquei autonomi”, c’è anche “MARTA” (progettata dai ricercatori del dipartimento di Ingegneria Industriale) che ha tra le sue caratteristiche principali quella di essere modulare, cioè di poter essere equipaggiata rapidamente e con facilità secondo molteplici configurazioni differenti. Per esempio è dotabile di un sonar e di due dispositivi capaci di acquisire immagini da vicino da cui ricavare mosaici bidimensionali e scansioni tridimensionali degli oggetti. Risultato? Consentire agli archeologi di esaminare qualsiasi target, dal singolo reperto all’intero sito, anche senza averlo esplorato fisicamente.
Ma per chiarire meglio ciò che ai nostri occhi da profani appare sempre un po’ troppo fantascientifico o all’opposto incomprensibile abbiamo raggiunto il prof. Allotta in persona. Ecco cosa ci ha detto.
Intervista al prof. Benedetto Allotta
Professore, il nome MARTA è l’acronimo che sta per “Marine robotic tool for archaeology”… ma ha avuto o ha anche qualche altro significato? Magari è stato ideato apposta?
«Effettivamente l’acronimo è stato trovato dopo il nome [TS_VCSC_Icon_Font icon=”ts-awesome-smile-o”]. La Scuola di Ingegneria dell’Università di Firenze infatti si trova in Via di Santa Marta [TS_VCSC_Icon_Font icon=”ts-awesome-smile-o”]!»
MARTA è il primo prodotto della ricerca nel settore della Robotica Marina dell’UNIFI? Se sì ci può indicare gli altri? In cosa si differenziano sostanzialmente?
«Il gruppo di ricerca da me guidato ha sviluppato negli ultimi quattro anni vari robot subacquei. Il primo in assoluto è stato un rudimentale robot denominato “Turtle” (https://www.youtube.com/watch?v=yA0Fbi2gOMo) che ha partecipato nel 2012 – unica squadra italiana – alla competizione studentesca SAUC-E (organizzata ogni anno dalla NATO) ottenendo il “Rookie of the year Award” ovvero il premio di esordiente dell’anno.
E’ stata comunque una bella palestra per i giovani studenti e dottorandi che poi si sono inseriti nel gruppo di ricerca e sono oggi le colonne portanti del mio gruppo. Inoltre alcune soluzioni tecniche hardware e software, utilizzate su Turtle, sono poi state adottate sulla classe di veicoli “Tifone”, il cui primo esemplare è stato varato nel febbraio 2013 (https://www.youtube.com/watch?v=fg7wYsAdbTA ).
La progettazione e la realizzazione dei veicoli Tifone sono state cofinanziate dalla Regione Toscana nell’ambito del progetto THESAURUS, concluso nell’agosto 2013. Due Tifoni sono attualmente in servizio: uno, denominato TifOne, è equipaggiato con un Side-Scan Sonar e due telecamere digitali ad alta risoluzione; l’altro, denominato TifTwo, non è dotato di sensori ma è destinato a navigare in superficie equipaggiato con un dispositivo acustico di tipo USBL che permette di localizzare TifOne che naviga in immersione con i suoi sensori. Il segnale GPS disponibile su TifTwo permette di geolocalizzare in modo accurato le immagini ed i sonogrammi acquisiti da TifOne.
Dopo Tifone sono venuti Nemo e FeelHippo. Nemo è in realtà un veicolo subacqueo filoguidato (ROV = Remotely Operated Vehicle) sviluppato in collaborazione con i colleghi del Dipartimento di Scienza della Terra del nostro Ateneo in occasione del naufragio della costa Concordia. Nemo, per le sue ridotte dimensioni e la sua elevata manovrabilità, si prestava all’ispezione dell’intercapedine tra lo scafo e le rocce sottostanti: (https://www.youtube.com/watch?v=umK_H5iaYHE).
FeelHippo è invece un altro veicolo sviluppato per la gara studentesca SAUC-E, edizione 2013: (https://www.youtube.com/watch?v=ake8N56su6c&feature=youtu.be&a).
Nella competizione SAUC-E 2013 la squadra dell’Ateneo fiorentino, ancora una volta unico team italiano a partecipare alla manifestazione, si è fatta onore, classificandosi al terzo posto.
FeelHippo è stato mantenuto in funzione negli anni ed è stato anzi arricchito nel 2015 con nuovi sensori di navigazione e sensori per l’acquisizione di immagini e sonogrammi, partecipando ad Eurathlon 2015 (http://www.corriere.it/tecnologia/15_agosto_17/eurathlon-sfida-italiana-robot-che-riproduce-fukushima-foto-piombino-0ffacd8a-44ae-11e5-a4b6-1d04b76aab6d.shtml)
con la squadra studentesca UNIFI, sempre unica squadra italiana in concorso: (http://www.unifi.it/not-5240-eurathlon-2015-targato-unifi-l-unico-team-italiano-presente-alla-competizione-internazionale-di-robotica.html).
Il rappresentante più giovane della “stirpe” di veicoli subacquei targati UNIFI è MARTA, sviluppato nell’ambito del progetto ARROWS finanziato dall’Unione Europea:
http://www.arrowsproject.eu/
http://www.arrowsproject.eu/media-center/
http://www.arrowsproject.eu/media-center/trials/
http://it.euronews.com/2015/09/14/robot-da-archeologia-subacquea/
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-bd4cc48e-ec1b-49ea-9c4d-0364c611ca73-tg1.html»
Localizzazione, mappatura, esplorazione dei siti, produzione immagini di alta qualità e rilevamenti in 3d… Quali altre operazioni esegue MARTA?
«MARTA è dotato di due diversi modem acustici, cioè strumenti che permettono la comunicazione acustica subacquea (sott’acqua le onde elettromagnetiche non si propagano bene, quindi niente GPS, niente trasmissioni radio e niente WiFi!) tra veicolo e veicolo oppure tra veicolo e stazione di controllo. Avendo due diversi tipi di modem acustico, MARTA può svolgere il ruolo di interprete in un team di veicoli cooperanti.»
Quali sono le dimensioni e il peso di MARTA? E l’autonomia dell’alimentazione?
«MARTA, nella sua versione attuale, pesa intorno a 80 kg ed è lungo un po’ meno di 4 m. Sebbene sia ancora una combinazione pesi/dimensioni poco idonea al lancio e recupero da parte di una coppia di scienziati su un gommone di piccole dimensioni, bisogna considerare che è un veicolo capace di fare “hovering” come un elicottero, quindi ha quattro thruster in più (due verticali e due orizzontali) rispetto ad un veicolo commerciale. Inoltre la sua struttura modulare consente di prevederne una versione intorno ai 2.5 m di lunghezza e 50 kg di peso entro un paio d’anni.»
Può effettuare piccole operazioni di scavo, come il prelievo di campioni di substrato dal relitto? Se no, pensate di dotarla di questa capacità in futuro?
«No, MARTA non è dotato di capacità di intervento in tal senso e non pensiamo, per il momento, di dotarlo di campionatori. Il nostro Spin-Off partecipato MDM Team S.R.L. (http://www.mdmteam.eu/) conta invece di sviluppare una versione del Tifone equipaggiata con un sistema di campionamento nell’ambito di un progetto di ricerca cofinanziato dalla Regione Toscana.»
Per l’eventuale recupero vero e proprio degli oggetti, per adesso si dovranno usare i mezzi tradizionali… ma nel progetto è contemplata la possibilità di soddisfare in futuro anche questa esigenza? O ci vorrà magari un’altra classe di “droni”?
«Chiunque abbia una minima esperienza di immersioni sa quanto sia impegnativo per un subacqueo operare in condizioni di free-floating, ovvero senza la possibilità di ancorarsi con una mano ad uno scoglio o ad una struttura antropica mentre si svolge un intervento. Le stesse difficoltà le incontrano i robot subacquei. E’ senz’altro un tema interessante su cui stiamo studiando nell’ambito del progetto “SMART Cities nazionale” SUONO di cui sono responsabile scientifico. (http://www.mdm.unifi.it/CMpro-v-p-108.html).
Nell’ambito di SUONO stiamo progettando un veicolo dotato di due braccia cooperanti, capace di operare come ROV sotto la guida di un pilota ma anche di operare in modo autonomo sotto la guida di un sistema di visione computazionale. Colleghi ed amici dell’ISME – Centro Interuniversitario per la ricerca sui Sistemi Integrati per l’Ambiente Marino, di cui UNIFI è membro (http://www.isme.unige.it/) – stanno lavorando su tematiche simili nell’ambito del progetto MARIS finanziato dal MIUR.»
Per l’esplorazione interna di relitti verrà utilizzato un robot più piccolo di MARTA? Avrà comunque le stesse caratteristiche?
«Nell’ambito di ARROWS i colleghi dell’Università Tecnologica di Tallinn (Estonia) hanno sviluppato un piccolo robot denominato U-CAT ispirato a una tartaruga. Il robot ha bisogno di un po’ di lavoro ulteriore di sviluppo ma è un’idea molto interessante per la sua manovrabilità ed i risultati si cominciano a vedere: (https://www.youtube.com/watch?v=EbG1AE_Z7Nc).»
In che modo viene pilotata MARTA? La metodica è di facile utilizzo? Il sistema di trasmissione dei comandi a distanza è via filo o altro? Insomma, MARTA è filoguidata o “teleguidata”?
«MARTA è AUV, ovvero un robot autonomo: AUV vuol dire infatti Autonomous Underwater Vehicle. Allo stato attuale della tecnologia, la teleguida senza fili non è fattibile sott’acqua, così come avviene per i droni aerei e terrestri, perché le comunicazioni acustiche subacquee sono lente e poco affidabili, quindi non esiste la possibilità di teleoperare MARTA (e nessun AUV).
Abbiamo sviluppato una semplice interfaccia utente che permette di
Pianificare la missione;
“Caricarla” sul veicolo tramite connessione wireless se il veicolo è emerso e vicino oppure tramite radio modem (portata 10 km) se il veicolo è emerso ma fuori dal raggio della wireless. Oppure tramite modem acustico se il veicolo è in immersione;
Lanciare l’esecuzione della missione;
Monitorare l’andamento della missione via modem acustico.
L’interfaccia utente è di utilizzo molto “friendly” ed anche un utente non esperto può utilizzarla dopo un breve addestramento: (https://www.youtube.com/watch?v=fHNRCCMtgFE)»
Avete partecipato a diversi test sul campo, gli ultimi quest’anno a Levanzo e nel mar Baltico, in cosa si differenziano con quello effettuato in Israele nel 2014?
«Quando siamo andati in Israele nel 2014 eravamo un po’ indietro con lo sviluppo del software. Quest’anno abbiamo più o meno svolto lo stesso tipo di attività ma eravamo molto più pronti. Con i nostri veicoli, nell’ultimo anno, siamo stati in Croazia, Sicilia (Trapani e Levanzo), Estonia (Tallin Bay + Rummu Quarry), Toscana (Talamone, Baratti) e siamo molto soddisfatti dell’affidabilità e semplicità d’uso dei nostri sistemi e dell’accoglienza che questi hanno avuto tra gli archeologi e i potenziali acquirenti di prossime versioni commerciali.»
I suoi studenti hanno partecipato con FeelHippo alla manifestazione Eurathlon, svoltasi a Piombino lo scorso settembre… in cosa si differenzia da MARTA a parte le dimensioni? A quali imprese sarà preferibilmente destinata?
«MARTA e FeelHippo hanno attualmente un equipaggiamento simile sia in termini di sensori di navigazione che di sensori payload. MARTA però è idonea a fare survey di una certa ampiezza, grazie alla sua forma idrodinamica e resiste a profondità molto più elevate di FeelHippo. Diciamo che FeelHippo, meno ingombrante e pesante rispetto a MARTA, rappresenta una interessante alternativa per l’ispezione ravvicinata e l’acquisizione di immagini e sonogrammi di un sito a bassa profondità (fino a 30 m) in posizione già nota con una certa approssimazione.»
Qual è la profondità operativa massima a cui MARTA può spingersi senza timori di restare danneggiata dalla pressione?
«MARTA è stata testata nella camera a pressione disponibile nel nostro laboratorio MDM Lab di Pistoia a 13 bar, quindi diciamo che può operare in sicurezza ad una profondità di 120 m.»
Vediamo se abbiamo capito… la possibilità di pilotare a distanza in immersione senza alcun filoguida gli AUV come fossero droni ancora non esiste, a parte l’avvio della missione mediante modem acustico. Dunque in sostanza l’AUV esegue in autonomia e senza un pilotaggio remotato una missione pianificata in precedenza, giusto? Se è così – il che, intendiamoci, sembra già un’autentica magia! – pensa sarà possibile un giorno avere anche una forma di trasmissione dei comandi in immersione affidabile senza fili, cioè una sorta di “teleguida”? Oppure i limiti fisici della trasmissibilità di segnali in acqua resteranno insormontabili?
«Confermo, la possibilità di pilotare a distanza in immersione senza alcuna filoguida gli AUV come fossero droni ancora non esiste, a parte:
-l’avvio della missione mediante modem acustico
-l’interrogazione dell’AUV, sempre per via acustica, per conoscere la sua attuale posizione stimata o altre informazioni sulla missione. Non è possibile trasmettere immagini.
Confermo che la missione pianificata e caricata sul veicolo viene eseguita in autonomia. Eventualmente si può mettere a bordo veicolo una intelligenza che permetta di ripianificare in tutto o in parte la missione sulla base di mutate condizioni ambientali e/o operative.»
Professore, c’è qualcos’altro sotto questo profilo come futura prospettiva?
«Esiste uno studio di alcuni ricercatori che cercano di ottenere un canale acustico a più alta velocità tramite trasduttori direzionali (invece che omnidirezionali). Per utilizzare questa tecnica, con un veicolo emerso e uno immerso, più o meno come facciamo noi con la diade di Tifoni, bisogna che i due trasduttori “si guardino” sempre con dei meccanismi di puntamento. Ma ripeto, si tratta ancora di studi preliminari. Per maggiori dettagli: https://www.linkedin.com/pulse/rov-planet-wireless-underwater-acoustic-video-sergii-kornieiev?trk=prof-post»