«Si tratta di un’immersione tecnica di elevata difficoltà. L’obiettivo era quello di organizzare il gruppo e portarlo a fare questa immersione in sicurezza. Il primo passo è stato quello di contattare chi fu tra i primi a localizzare l’esatta posizione del Freienfels…»
di Marcello Bussotti – Foto Mario Comi – Contributo alla revisione Rossella Paternò.
Erano quattro anni che volevo tornare sul relitto del Freienfels, ma per una serie di motivi non era stato possibile. Per la logistica innanzitutto. Questo relitto si trova in mezzo al Mar Tirreno, molto più vicino all’isola della Gorgona che alla terra ferma. Nessun diving organizzato nella zona, profondità elevata, condizioni del mare spesso non buone con corrente e acqua a strati torbida, tutti questi fattori messi insieme rendono l’immersione in sicurezza su questo relitto veramente difficile. Lo dimostra il fatto che, dopo la mia immersione con il precedente Team nel 2014, l’ultima dopo che il relitto è stato scoperto nel 2013, più nessuno, salvo errori e omissioni, lo ha visitato.
Lo scorso ottobre di ritorno da un’altra splendida avventura, la spedizione sul relitto del HMHS Britannic, la nave ospedale gemella del Titanic affondata in Grecia dopo aver urtato una mina, mi è tornato in mente questo relitto che ha subito la stessa sorte e mi sono quindi messo di nuovo al lavoro.
Si tratta di un’immersione tecnica di elevata difficoltà. L’obiettivo era quello di organizzare il gruppo e portarlo a fare questa immersione in sicurezza. Il primo passo è stato quello di contattare Ciro Osimo, che fu tra i primi a localizzare l’esatta posizione del Freienfels, oltre ad approfondire la ricostruzione storica della vicenda, e che nel 2014 si occupò dell’assistenza al nostro Team. Poi è stata la volta del proprietario della barca, il Chioma Charter. Avuta la loro disponibilità, restava da trovare qualcuno disponibile a seguirmi in questa avventura.
È vero che a tutti piace andare fondi, è vero che a tutti piace postare i profili d’immersioni e che dietro ad una tastiera siamo tutti bravi; ma poi, quando si passa dalla teoria alla pratica e soprattutto, quando c’è da sudare, il gruppo delle persone su cui puoi contare e cui ti puoi affidare si restringe molto. Una volta creato un gruppo di base (che nel corso dei mesi ha subito comunque diverse variazioni per vari motivi) è stato il momento di trovare gli assistenti, sia in acqua sia in barca, e devo ringraziare loro se questa immersione è stata possibile.
La tecnologia in questi casi c’è d’aiuto: una volta creato il gruppo su whatsapp con un colpo solo eravamo tutti connessi e in questi mesi ci siamo confrontati in modo molto costruttivo su tutto quello che riguardava la pianificazione dell’immersione.
Come dicevo, non è la solita immersione da diving dove arrivi e trovi tutto pronto. E questa è un ulteriore grossa difficoltà, ma anche una bella sfida da vincere.
Arriva finalmente la settimana prefissata, si risolvono gli ultimi imprevisti. Il meteo sembra favorevole, e non era così scontato. Fervono gli ultimi preparativi per l’attrezzatura subacquea, per l’assistenza, per la barca e per andare a pedagnare il relitto. Senza un corretto posizionamento della cima di discesa e risalita tutto questo lavoro sarebbe stato inutile.
Appuntamento sabato pomeriggio a Livorno dove ci attende Enrico Tenerini del Bolle d’Azoto Asd che con il suo gommone ci porterà oggi a fare questa operazione e domani invece si occuperà del supporto alla nostra barca in caso di necessità. Siamo io, Giovanni Escuriale, Monica Pignanelli e Ivano Predari. In poco meno di un’ora con un mare come un olio, lontani dalla brezza costiera, siamo sul posto. L’ecoscandaglio segna – 137 metri. Abbiamo i punti GPS precisi da triangolare, con lo strumento che a un certo punto sale improvvisamente a – 118 metri. Siamo esattamente sulla verticale del castello di comando, è il momento di mollare i 60 kg di corpo morto che in un attimo arrivano sul fondo. Posizioniamo due taniche caricate di aria a 10 e 20 m per mettere in tensione la cima e un piccolo segnale in superficie per ritrovare il punto l’indomani. Ci guardiamo: speriamo di avere calato nel punto giusto. E via a terra per una ottima cena a base di pesce con tutto il resto del Team che nel frattempo è arrivato in zona.
La mattina successiva sveglia alle 5.30 direzione porto di Cala dei Medici a Rosignano Solvay. Qui ci aspetta Ubaldo Flamini, fiorentino come me, del Chioma Charter con Luce, un catamarano a motore di 14 metri che ci porterà sul sito d’immersione. Carichiamo le attrezzature secondo l’ordine d’ingresso in acqua, si parte!
Durante le due ore di navigazione si fanno gli ultimi controlli, si ripassano i ruoli e le procedure. Un minimo di tensione è palpabile, ma prevalgono il buon umore e la goliardia. Briefing finale.
Ci siamo: avvistiamo il segnale in superficie lasciati il giorno prima. Ubaldo ormeggia Luce nei pressi del segnale e Gianni Cecchi scende in acqua a fissare al pedagno le boe di superficie per la discesa. Intanto si prepara la prima squadra: Marcello Bussotti, Mario Comi, Ivano Predari, Andrea Pizzato.
Seguono: Simone Furlanetto con Alessandro Bertasi, Alessandro Georuga e infine Giovanni Escuriale con Monica Pignanelli.
Tutti i componenti del Team utilizzano per l’immersione il Rebreather a circuito chiuso elettronico Megalodon Innerspace. Il rebreather infatti permette di raggiungere queste profondità e di potervi trascorre un tempo di fondo adeguato, tale da consentirne l’esplorazione, e di gestire in modo indipendente la risalita e tutte le fasi della decompressione.
Le squadre sono distanziate da un intervallo di venti minuti per evitare il sovraffollamento in immersione e soprattutto durante le lunghe tappe di decompressione.
Inizia la discesa, dopo circa quattro minuti ecco sotto di noi il castello del ponte di comando della Freienfels, ancora in perfetto assetto di navigazione! La nave ci appare immensa con i suoi 160 m di lunghezza! Siamo a –120 m. Il corpo morto è atterrato direttamente nella stiva di prua, sotto il castello, e la cima è posizionata in modo ottimale. Sistemiamo le luci stroboscopiche per facilitare la localizzazione della linea di risalita. Un’occhiata di controllo e inizia l’esplorazione. C’è una strana luce per essere a questa profondità e il blu è veramente intenso. Lo scooter rende tutto più facile, veloce e sicuro. Un giro completo del castello seguendo il corrimano. Guardando attraverso i finestroni s’intravedono una vasca da bagno e numerose stoviglie, e poi giù fino alle enormi stive di prua. Siamo a -133 m. Le stive sono aperte e vuote, con il tempo la copertura si è dissolta. Più avanti gli enormi bighi di carico per issare a bordo il materiale ferroviario pesante. Il relitto appare integro, completamente colonizzato da ostriche e il castello è coperto parzialmente da reti che rendono la vista spettrale.
Alcuni punti del corrimano sono ancora intatti. Rispetto alla volta scorsa la visibilità è migliore e le miriadi di anthias che lo avvolgono si spostano quando vengono sfiorati dal fascio delle nostre luci. Il tempo qui si è fermato al 19 dicembre 1940 quando il mercantile tedesco è finito su un campo minato non segnalato degli alleati italiani ed è affondato insieme alla sua gemella Geierfels, che si trova a circa un miglio di distanza. I due relitti sono stati identificati con esattezza nel 2013 da Massimo Domenico Bondone. Il tempo passa veloce. Siamo già al venticinquesimo minuto. In una sola immersione non è possibile esplorare tutti i 160 metri di lunghezza della nave. Mario ha già scattato diverse foto. La cima di risalita è di fronte a noi, ci scambiamo un’occhiata d’intesa e vediamo piano piano sparire la sagoma del relitto dietro di noi. Siamo contenti, l’adrenalina è alle stelle e ora inizia la lunga e lenta risalita. Incontriamo la seconda squadra in discesa. Confermiamo l’ok e via verso la superficie. Le tappe si fanno sempre più lunghe man mano che la profondità diminuisce e c’è tutto il tempo di pensare a quello che abbiamo visto, quello che abbiamo fatto e quello che resta da fare. Intanto ci vengono a trovare Roberto Fattori, Riccardo Mandolini e Gianni Cecchi che si occupano della sicurezza e hanno allestito la stazione decompressiva in modo ottimale, con appese tutte le bombole di emergenza. Gli diamo l’ok, ci alleggeriscono il carico delle bombole di bailout, ognuno di noi ne aveva da tre a quattro, e arriviamo infine a -6 m. Qui dopo un po’ ci raggiungono anche gli altri e alla fine, dopo 210 minuti circa di runtime, mettiamo di nuovo la testa fuori dall’acqua, sperando che la decompressione abbia fatto il suo dovere.
Siamo tutti di nuovo in barca la tensione ora lascia spazio all’euforia. Abbiamo fatto un gran bel tuffo e ne siamo consapevoli. Ubaldo mette in moto Luce e l’isola della Gorgona si allontana sempre di più fino a sparire, è quasi il tramonto. Siamo stanchi ma soddisfatti e dopo la consueta foto di rito carichiamo le attrezzature in macchina e ci diamo appuntamento per la prossima avventura!
Un grazie di cuore a tutti quelli che hanno reso unica questa giornata!
La Freienfels, la Geierfels, la Uhenfels e la Lichtenfels erano quattro navi mercantili gemelle costruite tra il 1929 e il 1931 dalla Deutschen Schiff- und Maschinenbau A.-G. Werk A.G. “Weser” per conto della Deutsche Dampfschiffahrts-Gesellschaft Hansa (DDG Hansa), un’importante compagnia di navigazione tedesca specializzata nel trasporto di merci pesanti e traffico programmato tra l’Europa e l’Estremo Oriente. Fondata a Brema in Germania nel 1881, la società dichiarò bancarotta nel 1980. Furono le prime navi da carico ad essere dotate di un picco di carico da 120 t per il caricamento autonomo di materiale ferroviario pesante.
Fino alla dichiarazione di guerra le navi erano adibite al trasporto di merci e passeggeri sulle rotte orientali. Allo scoppio della seconda guerra mondiale i due mercantili si trovavano in Mediterraneo e ricevettero l’ordine di rifugiarsi nel porto amico più vicino. La Geierfels si diresse verso Napoli e la Freienfels a Trieste e furono entrambe confiscate dalla Kriegsmarine nell’ottobre del 1940, la quale ordinò alla Freienfels di dirigersi verso Napoli e ricongiungersi alla nave gemella. L’idea era quella di utilizzare le due navi per una missione preparativa dell’Operazione Felix, il nome in codice di un’azione militare tedesca che aveva come obiettivo la presa di Gibilterra, pianificata da Hitler nel 1940. L’Operazione prevedeva l’occupazione da parte dei tedeschi di Gibilterra con l’aiuto della Spagna del Generale Franco che si sarebbe dovuto alleare con il Terzo Reich.
Gibilterra è sempre stata considerata una zona strategica e la sua occupazione avrebbe impedito l’accesso all’Inghilterra al Mediterraneo e quindi alla colonia di Malta e al Canale di Suez. Franco temeva che un suo rifiuto a collaborare con il Terzo Reich avrebbe scatenato le ire di Hitler e forse un attacco nazista alla Spagna. Per questo motivo si mostrò inizialmente accondiscendente nel trovare un accordo di collaborazione con Berlino. Il 23 ottobre Hitler incontrò il Dittare in Francia e gli chiese di entrare in guerra entro il gennaio 1941. Franco, che di fatto non voleva un coinvolgimento della Spagna nel conflitto, rifiutò. Nonostante le sue resistenze Hitler aveva già approvato un piano per l’invasione di Gibilterra e ordinò di proseguire l’elaborazione dell’Operazione Felix.
Alle due navi venne dato l’ordine di raggiungere la Francia per il carico di truppe e mezzi da sbarco. I mercantili, che viaggiavano a distanza ravvicinata, nella notte del 19 dicembre 1940 incapparono in un campo minato antisommergibile italiano non segnalato tra l’isola della Gorgona e Livorno e affondarono ad un’ora di distanza l’una dall’altra. Una con la prua diretta a nord, l’altra a sud. Resta da capire come le mine posizionate in profondità siano risalite tanto in superficie da essere urtate dalle navi. Le Freienfels e la Geierfels, le prime navi tedesche affondate in Mediterraneo durante il Grande Conflitto, colarono a picco nella zona di mare antistante l’isola della Gorgona e nessuno e riuscito a sapere attraverso le ricerche storiche se ci furono vittime tra i due equipaggi. Le gruette delle scialuppe in posizione di lancio e le scialuppe di salvataggio stesse assenti dovrebbero essere la conferma che l’equipaggio avrebbe fatto in tempo ad abbandonare la nave.
L’identificazione è stata fatta da Massimo Domenico Bondone attraverso il ritrovamento della campana della Geierfels e la targa del Cantiere affissa nella parte anteriore della plancia della Freienfels.
Tipo: Nave da carico
Lunghezza (fuori tutto): 160,45m
Larghezza (fuori tutto): 18,94m
Altezza: 20m
Stazza lorda: 7,454 t
Stazza netta: 4.516 t
Stazza a pieno Carico: 10.500 t
Propulsione: Motore a vapore a tripla espansione della Deschimag Werk A.G. “Weser”, Brema – Turbina Bauer-Wach 5.100 PSI / 74 UpM, un’elica, un timone
Velocità: 13,7 nodi
Equipaggio: 35 europei, 39 indiani
Passeggeri paganti: 12
Cantiere: Deutschen Schiff- und Maschinenbau A.-G. Werk A.G. “Weser” di Brema
Numero di costruzione: Bau-Nr. 879
Armatore: Deutsche Dampfschifffahrts-Gesellschaft “Hansa”, Brema
Varo: 15/07/1929
Attrezzatura per le operazioni di carico e scarico: 1 picco di carico da 120 t – 1 Picco di carico da 30 t – 1 Picco di carico da 15 t – 18 picchi di carico 5 t
Il 22.10.1940 entra a servizio della Kriegsmarinedienststelle (KMD)
Viene affondata il 19.12.1940 insieme alla gemella Geierfels.
Fonte: Deutsche Dampfschifffahrts-Gesellschaft “HANSA”, Brema