In che modo raccontereste a un bambino – o a un adulto che non ne sa nulla – come nascono le meduse e perché molte di loro sono così misteriosamente luminescenti nella notte?
A cura di Romano Barluzzi. Foto di Emanuele Vitale
Talvolta i meccanismi della biologia marina che ci riguardano di più come subacquei possono essere illustrati meglio con l’immaginazione propria solo dei bambini. Una dimensione che abbiamo attraversato tutti per poi dimenticarcene ma che sopravvive in fondo al nostro cuore. Non a caso può essere rievocata per focalizzare meglio l’attenzione sui fenomeni che accadono agli organismi viventi sotto le onde, sulle spiegazioni dei loro modi di funzionare e su come esercitino ancora in noi un fascino tanto impalpabile quanto irresistibile. Perfino ipnotico, talvolta.
E allora ecco a voi quella che potremmo liberamente intitolare “la leggenda di Narba”, oppure “Così nascon le meduse”. Come preferite. (Tra l’altro applicabile anche a molti altri organismi planctonici che manifestano proprietà simili, specie riguardo alla bioluminescenza…).
«In una costa da fiaba, lungo un mare incantato, su una spiaggia di luce assolata viveva una ragazza di nome Narba.
Aveva i lineamenti così tenui ed eterei e le vesti così candide e sfumate. La sua pelle era così chiara e delicata che non poteva mai esporsi direttamente al sole. Per questo non lo amava e se ne difendeva usando come riparo un piccolo ombrello bianco che teneva sempre stretto tra le mani. I raggi del sole avrebbero sennò potuto distruggere la sua bellezza e bruciare i suoi lineamenti dolci e delicati.
Amava invece intensamente la luna perché con il suo argenteo chiarore notturno non avrebbe mai potuto arrecarle alcun danno. E per questo ogni notte la guardava e la fissava e l’adorava.
Allora il Sole, invidioso, in un giorno qualunque, mentre la fanciulla passeggiava con il suo ombrellino, fece alzare Libeccio, vento improvviso e impetuoso, che la colse di sorpresa. Con una folata più forte le strappò di mano l’ombrellino spingendolo verso il mare. La ragazza, consapevole che quell’ombrellino era la sua unica difesa contro i cocenti raggi del sole, lo rincorse veloce per poterlo riprendere. Il vento, dispettoso, lo spinse invece verso il largo sulla cresta delle onde. Narba, senza pensarci due volte, si tuffò in mare per poterlo recuperare e cominciò a nuotare con foga e impeto per raggiungere l’ombrellino, sua unica ragione di vita. Ma ogni volta che era lì lì per prenderlo, il vento con una raffica improvvisa lo allontanava di più. Lei allora cercava di nuotare con ancor più vigore ma lo sforzo era così grande per una ragazza esile e delicata come lei che, quando riuscì finalmente a stringere di nuovo l’ombrellino tra le mani, venne meno e si abbandonò sott’acqua.
Con l’ombrellino bianco così desiderato ancora stretto tra le mani e con le vesti candide che danzavano intorno a lei giocando con l’acqua del mare, discese sul fondo. I movimenti ondulanti del suo corpo sembravano quelli … di una medusa. Mai s’era vista una tale bellezza.
Era talmente bella che la Luna, riconoscente e rispettosa dell’amore che la ragazza aveva nutrito per lei, le disse: “Ti dono un po’ del mio fulgore perché renda meno triste il Tuo destino di gelo. Con la Tua luce porterai negli abissi la nostalgia del firmamento. Se salirai troppo in superficie il vento Ti spingerà sulla spiaggia e lì Ti scioglierai come ghiaccio al sole. Ma nelle notti di primavera con i Tuoi speciali bagliori di luce riscalderai di tinte mai viste il cuore dei pescatori e dei marinai.”»
È una delle più struggenti leggende di mare, riportata in diversi libri e in molte fonti internet, con altrettante variabili narrative e interpretative, delle quali nessuna toglie nulla al fascino di fondo che ancora esercita nel lettore, tanto più se si accompagna – com’è venuto in mente a noi di fare – a magnifiche immagini del calibro di quelle del fotosub Emanuele Vitale, che vedete qui. E che ringraziamo di cuore.
È lui stesso infatti a dirci del suo progetto iconografico che: «…tecnicamente è stato realizzato a Otranto nel 2017, modella Lucrezia De Mari. Ho preso spunto dalla frase di Rossana (Maiorca – n.d.r.): “la vollero come sorella”, per mettere in risalto questa scenografia così evocativa, tra le meduse e la figura umana femminile, che continuano a intrecciarsi in una danza sospesa… come se lei fosse una di loro».
Per approfondimenti fotografici: https://emanuelevitale.it/Ninfee , da https://www.emanuelevitale.it/