Perché ci si immerge in grotta? Sfida? Desiderio di rinascita? Pinneggiare sincroni al proprio respiro? What else? Dieci domande d’autore “intime” ai due esperti internazionali Stratis Kas e Matteo Ratto, scrittori di un libro davvero unico: “CAVE DIVING”, appunto! Sottotitolo: “Everything you always wanted to know”.
A cura di Claire Beaux. Foto di Laurent Miroult, Stratis Kas e Matteo Ratto.
Se conoscete o un giorno vi capiterà di incontrare uno speleosub, provate a chiedergli: “Perché ti immergi in grotta?”. È una domanda che può portare a un ventaglio di risposte più o meno filosofiche: dalla “voglia di rinascere una seconda volta” a “è una sfida con me stesso”.
Stratis Kas, nella sua ultima opera CAVE DIVING – Everything you always wanted to know, scritta in collaborazione con Matteo Ratto, confida subito al lettore che fare immersione in grotta lo fa “sentire veramente vivo” e il respiro diventa il metronomo della nostra esistenza.
E come si addentrano nell’oscurità di una grotta, silenziosamente e con rispetto, così delicatamente ma con avveduta precisione Stratis Kas con Matteo Ratto scrivono questo manuale di cave diving.
Nove capitoli che illustrano quale sia l’equipaggiamento necessario, quali le tecniche più efficaci di navigazione e comunicazione, quanto sia importante conoscere la scienza che regola le immersioni, dedicare tempo a un’accurata pianificazione e quali procedure applicare in caso di emergenza.
Un linguaggio molto semplice, ma specifico, una scelta grafica che predilige gli elenchi per parole-chiave, delle illustrazioni efficaci (sia nel sistema metrico internazionale che anglosassone) fanno di questo libro un manuale non solo da studiare (accompagnato da un corso di addestramento, n.d.a.), ma da consultare più volte nel tempo e tenere sempre a portata di mano.
A rendere ancora più preziose queste pagine sono delle schede di approfondimento scritte da speleosub di lunga data e molto esperti quali Rick Stanton, Andy Tolbert, Marissa Eckert e tanti altri. Testimonianze di esperienze, anche negative, specifiche per ogni argomento trattato: per esempio Roger Williams, Cave Instructor in Mexico, ci spiega che è meglio “andare piano” con i corsi, ovvero non partecipare a un corso dopo l’altro e avere fretta di conseguire tutti i brevetti più tecnici e ardui in un batti baleno, ma dare a ogni esperienza il giusto tempo. Alessandra Figari, istruttrice cave in Messico ci ricorda quanto sia importante il rispetto dell’ambiente naturale nel quale siamo sempre ospiti.
Che dire poi delle immagini? Fanno venire una gran voglia di andare subito in acqua! Fotografi del calibro di Laurent Miroult non solo testimoniano lo splendore naturale di grotte di tutto il mondo, ma colgono anche l’attimo più tecnico della legatura o dell’assetto in navigazione.
Ma io, da sub curiosa e neo-speleosub, non potevo accontentarmi di farvi solo una recensione. Così ho contattato Stratis Kas e Matteo Ratto per saperne ancora di più.
Cosa ha fatto “scattare” in voi la decisione di fare speleosub?
MR «Ho iniziato a praticare attività subacquea nel 2003, anche se ho avuto qualche excursus da bambino grazie a mio zio che la praticava al lago di Garda negli anni ‘80. Pochi anni dopo ho conosciuto alcuni amici già frequentatori dell’ambiente, che mi hanno “iniziato” alla speleosubacquea che dal quel momento ha preso il sopravvento su tutto il resto. Diciamo che ho avuto un percorso molto intenso fin da subito, tanto che dal 2005 mi immergo in grotta e uso rebreathers, trimix ecc. L’immersione in situazioni nuove è il cardine per motivarmi e continuare a fare quello che faccio, anche dopo diversi anni.»
SK «Crescendo temevo gli squali, le vertigini e soffrivo di una leggera claustrofobia. L’immersione subacquea aveva un significato così profondo per me che mi ha spinto a superare tutte queste paure, tranne forse quella degli squali, su cui sto ancora lavorando. Ma, parlando seriamente, i primi video di immersioni in grotta erano così impressionanti che hanno subito scatenato in me il desiderio di praticare quel tipo di immersione. Una volta realizzato, nulla è stato altrettanto gratificante; ora le mie immersioni in grotta costituiscono più del 90% delle mie esperienze subacquee.»
Voi non siete dei neofiti (come me) della grotta: quando entrate per una nuova immersione, anche se la grotta in questione l’avete già fatta tante volte, quali sensazioni provate?
In base a quali caratteristiche una grotta per voi è più “intrigante” di un’altra?
MR «Penso sia una motivazione prettamente personale. Anche se molte conosciute, le grotte offrono spesso dei dettagli nuovi che scopri magari anche dopo 500 immersioni: gli ambienti sono sempre in evoluzione, le condizioni mutano di volta in volta, la grotta è sempre quella ma spesso, più la conosci più ti senti tranquillo e riesci a goderne al meglio perché non hai sentimenti sovrastanti come ansia e timore, che probabilmente tutti abbiamo quando ci immergiamo in un posto nuovo. Personalmente preferisco grotte complesse, con la possibilità di fare diversi percorsi, non sono amante dei tunnel mono direzione, anche se ricchi di concrezioni e colore, preferisco vedere ambienti differenti, che magari hanno appunto caratteristiche, colori e forme diverse.»
SK «Per me, è semplicemente una questione di ambiente e della bellezza intrinseca della grotta. In questo contesto, la varietà spesso mista delle acque (marino, dolce) e la visibilità contribuiscono a rendere affascinante la grotta. Strano forse a dirsi, ma non sono un grande appassionato delle formazioni, sebbene le grotte “piccole” con formazioni siano forse le mie preferite. Ma, alla fine, ciò che realmente conta è il colore, ovvero la tipologia dell’ambiente e delle acque che determinano la palette cromatica finale della grotta. In certi casi, come per esempio l’Orda in Russia, tengo conto anche dell’esperienza totale, della rarità dell’ambiente e della complessità nell’ottenere un permesso, considerandoli come ulteriori elementi positivi che influenzano la decisione di immergermi.»
La grotta nella quale tornereste (o tornate) più spesso è …? Perché?
MR «Una grotta che mi ha colpito molto e in cui mi piacerebbe tornare è Font Estramar in Francia, dove recentemente hanno anche stabilito il record mondiale di profondità. È una grotta con diverse diramazioni, ma allo stesso tempo permette di raggiungere profondità notevoli: ho avuto occasione di fare solo qualche immersione, ma mi piacerebbe tornarci per vederla meglio. Nulla toglie alle classiche immersioni come Ressel, Landenouse nel Lot (Francia) o Fontanazzi in Italia, così come le grotte in Sardegna che sono sistemi molto grandi, dove ci si può sbizzarrire a seconda delle preferenze: non finiresti mai l’immersione per quante cose si possono vedere!»
SK «Una delle grotte che amo particolarmente è proprio Orda, in Russia. Non per le dimensioni (è lunga ben 5 km) o per la visibilità (infinita). E sicuramente non per le temperature estreme (-38 °C in superficie e 4 °C in acqua). Ma l’esperienza complessiva è stata un momento cruciale per me. Il luogo e il legame che si instaura con i compagni, vivendo all’interno della grotta per tutta la durata del viaggio, creano quasi una sorta di “Cave live aboard”, dove nulla ha importanza (l’assenza di wifi contribuisce a questa sensazione) più del gruppo e della grotta stessa. L’accesso all’acqua attraverso 250 gradini, talvolta con la necessità di corde verticali e scale, fino a raggiungere una base sotterranea con un soffitto ricoperto di spade di ghiaccio sopra di te aggiunge molto dramma. E poi, che dire della grotta? Formata da gesso, è diversa da tutte le altre, con nuove zone che si “aprono” ogni anno. È magnifica. Peccato che ora non sia più possibile… Sai, insieme a Matteo portavamo anche altri speleosub a vivere le emozioni di una grotta unica al mondo quale è Orda.»
In quale invece avete fatto più fatica o è stata più ostica e perché?
MR «Ricordo sempre, anche ai miei allievi durante i corsi, questa grotta perché a livello di restrizioni penso sia una delle più difficili che abbia mai fatto, combina profondità e restrizioni maggiori, quindi non è sicuramente adatta a tutti, inoltre anche la visibilità spesso non è delle migliori, con situazioni di silt-out reali che a volte rendono il rientro molto difficoltoso. Si tratta della grotta Pollaccia in Toscana. Ci sono stato diverse volte e le restrizioni fonde mi hanno sempre dato filo da torcere, soprattutto le prime volte quando non sapevo bene se la direzione fosse corretta, la sagola non era più presente e quindi non mi sentivo a mio agio, visto che non c’è modo di girarsi o indietreggiare per diverse decine di metri.»
SK «A mio avviso, la fatica a livello fisico può essere sperimentata in numerosi luoghi, ma è un’esperienza molto soggettiva. Secondo me, dipende molto dalla giornata e dalle condizioni generali del subacqueo speleologo. Personalmente, trovo difficile motivarmi se il risultato finale non giustifica lo sforzo profuso per raggiungerlo. Per esempio, in una grotta nel Lot, dopo due sifoni, la visibilità era così scarsa e l’ambiente così banale che non ne valeva la pena. Inoltre era una grotta che risultava essere faticosa non solo per l’immersione in sé, ma anche per il trasporto di tutto l’equipaggiamento dalla macchina all’ingresso.»
Allenamento, allenamento e ancora allenamento per un’ottima memoria muscolare, per sapere come agire di fronte a una failure: ma fisicamente, cosa consigliate, soprattutto sapendo che l’accesso a certi siti non è proprio dei più agevoli?
MR «Non sono un grande atleta, ma ho avuto un passato da sciatore, arrampicatore, alpinista, quindi fermi non ci si sta mai. Ora cerco di fare un po’ di attività aerobica come corsa o mountain bike 1 o 2 volte a settimana, niente di importante, ma aiuta a distrarsi dall’attività monotona di ogni giorno e a mantenere un minimo di elasticità ai muscoli. Portare in giro bombole o attrezzatura anche solo per 200 metri non è l’attività preferita dai subacquei, purtroppo però le grotte non sono sempre vicine, quindi c’è da prepararsi anche a questa parte del gioco.»
SK «Secondo me, e come evidenziato anche nel nostro libro, la responsabilità dello speleosub è di fondamentale importanza quando si parla di forma fisica. Questa responsabilità non riguarda solo il trasporto del materiale, ma anche aspetti più basilari, come per esempio il sentirsi bene in acqua. Evitare crampi dovuti allo sforzo, che per un sub più in forma non costituirebbero uno sforzo significativo. Non bisogna considerare la subacquea come un’attività che non richiede una buona forma fisica, solo perché la tecnologia ci assiste. Al contrario, sembra che la tecnologia stia sempre più ampliando i limiti e le possibilità, ma la parte del subacqueo stesso, il nostro corpo e la mente, devono essere mantenuti o addirittura migliorati in termini di fitness ogni stagione. L’allenamento aerobico è molto importante, anche se la subacquea non è uno sport aerobico di per sé. Personalmente, credo che una corretta idratazione generale, l’allenamento aerobico e due sessioni di rinforzo alla settimana siano ideali per uno speleosub attivo. Infine, è essenziale sottoporsi a controlli annuali, poiché ci sono situazioni che si possono superare al di fuori dell’acqua, ma che non vanno sottovalutate durante un’immersione e che possono essere facilmente prevenute con controlli completi.»
Quanto è importante l’atteggiamento mentale che un neo-speleo sub (ma anche i più navigati) deve avere di fronte a un ambiente che, come il mare o il lago per un subacqueo, in fondo non è il suo? Avete dei consigli che possano aiutare al giusto approccio?
MR «In generale la subacquea è uno sport (forse più un hobby) che richiede un grande sforzo mentale più che fisico. L’acqua non è più il nostro ambiente da parecchio tempo, quindi non va mai sottovalutato. Che sia grotta, mare, lago o miniera, quando ci si immerge va sempre presa in considerazione la possibilità che qualcosa vada storto e quindi dobbiamo essere pronti fisicamente e mentalmente a gestire il problema. In grotta a maggior ragione, perché l’accesso alla superficie è negato e quindi ogni cosa va gestita sul momento. Inoltre è un ambiente che offre tante meraviglie, ma anche tanti possibili ostacoli aggiuntivi rispetto a un’immersione in acque libere, dalla scarsa visibilità alla possibilità di perdere i compagni, la via di uscita… Quindi, quando si parla di ambienti ostruiti, il livello di attenzione dovrebbe essere triplicato, partendo dal corretto approccio iniziale con i corretti corsi, l’addestramento, l’esperienza che si matura poco alla volta e in situazioni diverse, sono tutti aspetti di cui tener conto prima di decidere di percorrere questa tipologia di immersione.»
SK «Come sottolinea Matteo, è fondamentale avere la mentalità giusta, che si sviluppa continuamente durante l’esperienza, non solo a livello didattico. Tuttavia, è importante ricordare che la subacquea non è uno sport. Lo sport si basa sulla ricerca di record. Purtroppo, ci sono situazioni in cui si cercano “record” anche nella subacquea e nella speleosubacquea. A mio parere, ciò comporta rischi inutili e alimenta illusioni sul fatto che tutto sia possibile. Le differenze fisiche e mentali tra un sub eccezionale e uno normale sono simili a credere che si possano correre i 100 metri come Bolt. Non sottovalutare l’enormità di questa differenza può salvare vite.»
Qual è la parte più impegnativa di un’immersione in grotta per voi: la scelta, lo scopo dell’immersione in sé, la pianificazione, la geologia…?
MR «Direi il mix delle varie cose. L’immersione in grotta richiede il giusto rapporto tra preparazione, fatica fisica, fatica mentale e piacere dell’immersione stessa. Senza il giusto connubio, si rischia che l’immersione diventi troppo difficile da gestire, troppo impegnativa o si perda il gusto nel volerla organizzare. Nella mia visione, ogni immersione in grotta deve valere il tempo speso a prepararla, spesso anche a livello economico tra trasferte e logistica. È scontato che non sempre si riesca a trovare il giusto equilibrio o a volte le condizioni della grotta stessa non possano garantire buoni risultati. In ogni caso si tratta di un’immersione in grotta e quindi potrebbe rivelarsi come personale esperienza aggiuntiva. Ogni grotta ha le sue caratteristiche, va solo capito a seconda dei casi quale aspetto ognuno può trovare più interessante e soprattutto quale è più impegnativo. Vivendo in Italia, le grotte locali purtroppo hanno spesso condizioni proibitive, quindi sicuramente la parte più onerosa è capire quando e se, vale la pena organizzare l’immersione.»
SK «Concordo con Matteo. Alla fine, tutti noi pratichiamo l’immersione per divertirci. È vero che a volte aggiungiamo uno “scopo” alle nostre immersioni, ma il divertimento rimane la ragione principale. Se si perde questo aspetto, tutto si sgretola. Pertanto, parlando per esperienza personale, è consigliabile non generare troppe aspettative da un’immersione singola, da una serie di immersioni o da un “progetto”, rischiando di perdere la motivazione originaria, che è quella di divertirsi.»
Avere un compagno di immersione di cui fidarsi è importante: vi è mai capitato di immergervi con qualcuno che non conoscevate bene? Cosa avete provato?
MR «Assolutamente sì. Normalmente si cerca di organizzare immersioni con squadre o persone che si conoscono, di cui si apprezza magari l’approccio all’immersione o ci si fida per via del comportamento o dell’esperienza. Da istruttore è una delle prime cose da imparare a valutare. Personalità e conoscenze degli studenti possono variare le metodologie o l’addestramento associato. In generale per immersioni più “complesse”, cerco persone o allievi di cui conosco limiti e atteggiamento, per cercare di rendere più piacevole e sicura per tutti l’esperienza. Può capitare però a volte che viaggiando ti trovi a dover condividere l’immersione con persone di cui non sai nulla, quindi si cerca sempre di evitare grotte con situazioni complesse o particolari obiettivi, lasciando spazio a qualche immersione più tranquilla e se poi tutto è compatibile, si possono affrontare anche traguardi diversi.»
SK «Il team è essenziale. Non solo per garantire la sicurezza, che comunque è sempre prioritaria, ma anche per evitare spiacevoli sorprese anche in dettagli apparentemente minori. Durante i viaggi, ci si immerge non solo con nuove persone, ma bisogna anche considerare le “abitudini” locali. Tuttavia, secondo me, ogni speleosub dovrebbe seguire l’approccio appreso (purché sia stato appreso correttamente) e non farsi influenzare dalla pressione di chi, per vari motivi, compie azioni in modo diverso. Per questo motivo, anche se cerco spesso nuovi compagni durante i miei viaggi, ho dovuto annullare immersioni a causa di divergenze in termini di decompressione o visione delle procedure.»
Domanda di rito: c’è uno o una speleosub che vi ha particolarmente colpito, per la sua storia o per le esplorazioni che ha compiuto? Perché?
MR «Ci sono molti speleosubacquei che hanno fatto la storia, visti i mezzi a disposizione fino a pochi anni fa, hanno fatto l’impossibile e oltre per raggiungere certi limiti in esplorazioni ancora oggi difficilissime. Non ho un nome particolare, ma posso sicuramente ricordare Jean-Jacques Bolanz: nei pochi anni che l’ho conosciuto, mi è sempre rimasto impresso come, nonostante un’età non proprio fiorente, fosse sempre entusiasta e pronto a immergersi con un treno di bombole e attrezzatura, concentrato sui suoi obiettivi, di poche parole, ma un vero esploratore fino alle fine, capace di immersioni al limite ancora oggi.»
SK «Come accennato in precedenza, per me tutto si riduce al divertimento. Ho avuto la fortuna di conoscere molti “grandi” che si dedicano a attività estreme. In alcuni casi, sembrava quasi una forzatura, e in quei momenti specifici, ho preferito non coinvolgermi ulteriormente. Tuttavia, esiste sicuramente una parte significativa di esploratori o ex esploratori speleosub che parlano ancora oggi delle loro esperienze con un sorriso “interno”. Queste sono le persone che aiuteranno noi e le generazioni future a trovare la passione e la volontà di fare ciò che facciamo. Nomi in particolare? Forse è limitante citarne solo uno, ma molti hanno contribuito notevolmente al mio amore per questo sport: Mauro Bordignon, Thorsten “Toddy” Waelde, Robbie Schmittner e anche Dr Richard Harris tra molti altri che, nonostante facciano del subacqueo una professione, dedicano ogni secondo libero alle loro esperienze speleosub, sia per piacere che per esplorazione. Il fatto che non solo non si staccano, ma trovano ogni occasione possibile per farlo anche nel poco tempo libero a disposizione, rappresenta per me una fonte di ispirazione.»
Come vi è venuto in mente di scrivere un libro come Cave diving, un manuale a tutto tondo sul mondo cave?
MR «In realtà questo manuale è frutto di anni di stesure e revisioni, ho conosciuto Stratis nel 2016, ma già dal 2010 buona parte del materiale era stata scritta per l’agenzia didattica per cui insegno. Inizialmente si doveva tradurre il tutto per la Federazione Greca dove Stratis avrebbe dovuto lavorare, ma per questioni burocratiche il progetto è saltato. A distanza di diversi anni, frequentando diverse altre agenzie, ci siamo accorti che in circolazione non c’era un manuale dedicato, se non alcuni molto datati o generici, con pochi esempi e dettagli, soprattutto sulla navigazione e gestione dei gas, due punti che nel nostro settore sono fondamentali. Ci è venuta così l’idea di provare a convertire quanto già esistente in inglese e arricchendolo di schemi, disegni, immagini, quanto più potesse aiutare un istruttore o un appassionato, a capire le procedure e quant’altro. Abbiamo volutamente evitato di nominare o avvicinarci a didattiche specifiche, affinché il manuale potesse essere usato da tutti a prescindere dal tipo di didattica. Anzi, si è cercato di arricchirlo con fotografie e piccoli racconti di persone esterne, in modo da avere più opinioni e renderlo più interessante da leggere per non essere il classico manuale di procedure e basta.»
SK «Come ha giustamente sottolineato Matteo, la motivazione alla base è stata la mancanza di un prodotto simile sul mercato. Provenendo dal mondo del design e dell’editoria, ho voluto evitare di creare un manuale convenzionale. Abbiamo lavorato per creare un prodotto di alta qualità, sia dal punto di vista del contenuto che del design e della stampa, al fine di produrre un materiale utile e accattivante non solo per gli speleosub, ma anche per gli appassionati di subacquea in generale. Volevamo realizzare un coffee table book, come si suol dire, e credo che ci siamo riusciti. Il libro è stato già aggiornato una volta e continua a evolversi per coprire argomenti sempre più completi. Per esempio, attualmente stiamo lavorando sull’approccio con i rebreathers, mentre in una versione precedente abbiamo aggiunto la tematica legata all’uso di bombole multiple e degli scooter in grotta. Siamo riusciti a creare il manuale che speravamo di avere quando eravamo allievi durante i nostri corsi. È gratificante vedere che molte organizzazioni didattiche, spesso con ideologie diverse, e numerosi club hanno acquistato il libro per utilizzarlo come materiale di formazione.»
“Solo raramente nella vita abbiamo esperienze in cui il tempo rallenta fino a fermarsi […], quando viviamo in un momento che trascende il quotidiano e ci porta fuori da noi stessi.”