Scoperto un relitto olandese del diciassettesimo secolo in Islanda. Fa parte del progetto di ricerca degli archeologi marini della Fondazione Rannís.
A cura di Marianna De Falco. Traduzione della Redazione. Fonti: testata Iceland Monitor; autore Hjörtur Guðmundsson; redattore Charles Gittins; archeologo marino capo-progetto Kevin Martin. Altri credits in didascalie foto.
Il relitto più antico conosciuto al largo delle coste islandesi è frutto del progetto di ricerca condotto dagli archeologi marini della Fondazione Rannís nel corso di uno studio relativo al periodo che va dal 1602 al 1787 dell’egemonia commerciale danese.
In origine il relitto fu scoperto da due sub nel 1992, Erlendur Guðmundsson e Sævar Árnason, a Breiðafjörður nella costa occidentale dell’Islanda, nel vecchio porto dell’isola di Flatey. Nel 1993, durante il progetto di rilevamento effettuato dal dott. Bjarni F. Einarsson per il Museo nazionale d’Islanda, vennero alla luce in significativa quantità dei reperti olandesi in ceramica appartenenti al 17° secolo raccolti in un’area approssimativamente di 35 metri quadrati intorno al relitto.
Infatti l’isola di Flatey ha rappresentato in Islanda un importante porto commerciale e punto di transito di rotte mercantili per diversi secoli.
Si suppone che il relitto sia la Melkmeid (Milkmaid), una nave commerciale armata, presumibilmente affondata nel porto di Flatey nell’autunno del 1659.
L’affondamento, avvenuto mentre la nave era in porto pronta per ritornare in Europa con a bordo un carico completo di pesce, fu dovuto a una violenta tempesta che fece incendiare la nave. I quindici membri dell’equipaggio riuscirono a salvarsi, a parte uno.
Secondo gli annali islandesi i superstiti della Melkmeid rimasero per tutto l’inverno sull’isola di Flatey ospitati dagli abitanti. Nella primavera del 1660, i registri riportano che costruirono una nuova imbarcazione con i rottami della Melkmeid, facendo ritorno a casa.
Durante l’affondamento l’imbarcazione non colò a picco tutta nello stesso tempo, la prua infatti è rimasta fuori dall’acqua per un certo tempo, dando modo ai sopravvissuti e ai locali di riuscire a portare in salvo del legno e altre risorse materiali, dato che in quel periodo le materie prime scarseggiavano.
Durante il ritrovamento della Melkmeid nel 1992 fu indentificato un secondo relitto più recente, che copriva parzialmente i resti della Melkmeid. Dalle ricerche di Einarsson, si presume che possa trattarsi della goletta danese Charlotte che affondò nel 1882.
Il progetto di ricerca attuale è stato capitanato da Kevin Martin, archeologo marino con un dottorato in archeologia all’università d’Islanda, affiancato da due archeologi marini olandesi Thijs Coenen e Johan Opdebeeck della Dutch Cultural Heritage Agency insieme al biologo marino Fraser Cameron dell’Università dell’Islanda.
Nel maggio scorso, la squadra ha portato a termine una massiva indagine di sette giorni sui resti della Melkmeid. È stata allargata l’aerea dei ritrovamenti già scoperta nel 1993 e un numero di campioni di legname di quercia sono stati sottoposti ad analisi specifiche. I risultati dovrebbero confermare definitivamente che il relitto appartiene alla Melkmeid e far luce sulla provenienza del legno e la lavorazione originaria.
La maggior parte del progetto è stato dedicato al rilevamento in foto 3D dei resti della nave. È la prima volta che questa tecnica di rilevamento è stata mai tentata sott’acqua in Islanda per la misurazione di resti archeologici. L’esito finale include la creazione di un modello 3D ed è ancora in corso, ma i primi risultati sono soddisfacenti.
La squadra ha inoltre iniziato le operazioni di preservazione del relitto allo scopo di rallentarne il naturale deterioramento coprendo le parti esposte del relitto con un telo protettivo. È stato inoltre pianificato dagli archivi dei Paesi Bassi, per il prossimo autunno, un ulteriore progetto di ricerca sulla Melkmeid.
Kevin, che proviene dall’Irlanda, ma vive in Islanda da oltre dieci anni, afferma che «Il progetto Melkmeid mette in risalto una parte di ricerca sottovalutata nella storia d’Islanda. In effetti, paragonando le ricerche archeologiche subacquee olandesi e svedesi con quelle islandesi, si è ancora molto indietro, ma questo progetto dimostra quanto ciò sia possibile perfino nelle gelide acque del nord Atlantico e quanto può essere realmente istruttivo. I relitti marini possono essersi ben conservati nelle acque islandesi e certamente esiste del potenziale da realizzare tramite ricerche subacquee lungo la costa. Attraverso i necessari fondi, qui il futuro dell’archeologia marina appare luminoso».
(Il nostro GRAZIE a: Iceland Monitor, testata; Hjörtur Guðmundsson, autore; Charles Gittins, redattore; Kevin Martin, archeologo marino a capo del progetto; link all’articolo originario: http://icelandmonitor.mbl.is/news/culture_and_living/2016/06/19/divers_explore_17th_century_dutch_shipwreck_in_icel/)