Dai primi interventi esplorativi sui relitti, all’avvento di una nuova disciplina di ricerca
Renata Arcaini
“Una piccola premessa su quello che vorrà essere il mio contributo.
Non intendo dare un taglio “turistico” all’archeologia subacquea, bensì prediligo quello tecnico-storico, legato all’evoluzione scientifica. Questa è solo l’introduzione del percorso che vorrei intraprendere con voi, spero di potervi essere utile, offrendomi le mie conoscenze, rendendo affascinanti le vostre letture”.
Nell’immaginario collettivo i naufragi e i relitti hanno da sempre alimentato il mito dei tesori sommersi.
Al di là del sogno, nel ventesimo secolo hanno dimostrato invece d’essere straordinarie macchine del tempo. Fino a quando gli storici sono rimasti legati a terra il mondo sommerso è restato un mistero.
Questo cambiò a partire dal primo decennio del ‘900, quando l’archeologia subacquea iniziò a dimostrare il suo favoloso potenziale con i primi interventi sottomarini sul relitto di Mahdia (Tunisia), o quello di Antikythera (Grecia), realizzati effettuando recuperi di materiali archeologici con l’ausilio dei palombari.
Senza dubbio questo cambiò significativamente nel 1943, quando Jacques-Yves Cousteau e Emile Gagnan svilupparono l’autorespiratore ad aria. L’homo aquaticus progettato alla fine del 1400 da Leonardo Da Vinci era diventato realtà e poteva esplorare gli oceani.
Affascinati dai segreti conservati nelle profondità, dagli anni ’50 diversi scienziati iniziarono a sviluppare nuove discipline.
Già nel 1948 Cousteau e la sua equipe formata dai primi sommozzatori pionieristici, quali F. Dumaz, P. Tailliez, inaugurarono la prima indagine archeologica subacquea, seppur metodologicamente improvvisata, che si effettuò a Mahdia. Fu dal 1952 al 1957 che venne eseguito il primo scavo archeologico subacqueo sul relitto Gran Congloué, a Marsiglia. La Direzione Archeologica della Provenza eseguì con la nave da ricerca di Cousteau, la famosissima Calypso. Li il primo scavo stratigrafico, la raccolta di documentazione e il recupero dei materiali, il tutto per interpretare le informazioni storiche contenute nel contesto archeologico sommerso.
Poco dopo, nel 1966, il Ministro della Cultura Francese André Malraux fondò il primo dipartimento statale di ricerca dedicato al patrimonio archeologico subacqueo.
Lo sviluppo della ricerca scientifica in ambito subacqueo è determinato, oltre che , dalla grande curiosità che il mare e i suoi tesori hanno sempre esercitato nell’uomo, dalla profonda evoluzione della strumentazione a disposizione dei ricercatori.
Le attuali ricerche marine si avvalgono di moderne apparecchiature, come sonar di profondità e sub bottom profiler in grado di rilevare la presenza dei vari materiali giacenti nei fondali fino a profondità superiori ai 3000 mt.. Ma l’intervento di scavo archeologico subacqueo che si debba realizzare a profondità superiori ai 60 mt deve necessariamente subire limitazioni nell’operatività che possono non rispondere alle esigenze dell’indagine.
Per tentare di superarle nel 2015 si è applicato all’archeologia subacquea l’intervento di un robot umanoide, sviluppato dal Dipartimento di Robotica dell’Università di Stanford.
OceanOne, lo scienziato archeologico subacqueo, è stato sperimentato sul relitto francese de La Lune (Toulone) a una profondità di 100 mt, raggiungendolo e recuperando una delicata ceramica da mensa. OceanOne ha dimostrato così di poter riprodurre la minuziosa gestualità dell’archeologo subacqueo.
Così dalle esplorazioni dei relitti, allo sviluppo delle prime tecnologie subacquee, alla nascita di un organismo dedicato all’archeologia sottomarina, alla sperimentazione delle nuove tecnologie subacquee è venuta alla storia una disciplina nuova e affascinante: l’archeologia subacquea.