E’ possibile la competizione creativa e la valorizzazione del fotosub? Su questa domanda si snodano le ragioni di un punto di vista che farà discutere: la parola a Francesco Turano.
Di Francesco Turano
«Per una sana valorizzazione del fotografo subacqueo, che ama confrontarsi con altri e competere amichevolmente, mi vengono in mente tutta una serie di cose dopo aver osservato più e più volte i risultati delle numerose gare di fotografia negli anni (ma anche dei concorsi). Son convinto del fatto che non sia corretto inserire regole in fotografia, come fosse uno sport, e porre quindi tutta una serie di freni, limitando così l’interpretazione e il modo di esprimersi fotograficamente e artisticamente. La fotografia non è sport, ma interpretazione personale della realtà. Si tratta di una delle tante forme di espressione artistica. Il confronto tra fotografi, sia esso in un concorso o in una gara, deve essere appunto tra “fotografi”. Sarebbe opportuno e saggio lasciare carta bianca ai partecipanti a un confronto nella loro interpretazione del mare e del mondo sommerso. Ovvero fare in modo che, alla fin fine, sia il fotografo a essere valorizzato e premiato, non la singola foto, di una determinata categoria. Eliminando la distinzione in sezioni (macro, pesce, ambiente e altro) e dando, come compito, quello di realizzare un portfolio, sia esso in bianco e nero o a colori, sia esso solo macro o solo ambiente, eliminando anche la distinzione tra reflex e compatte (visto che è il risultato che conta a prescindere dal mezzo usato), si offrirebbe al fotosub la possibilità di esprimersi liberamente, senza assillanti regole e costrizioni. Così facendo si eviterebbero quei risultati scontati (a volte anche banali, senza offesa per nessuno) che in ogni gara portano a un appiattimento globale, con fotografie tutte molto simili tra loro.
Scelto il luogo dove realizzare una gara in estemporanea, si dovrebbe stimolare il fotografo a interpretare l’identità del luogo stesso e le peculiarità del mondo sommerso di quel determinato sito. Il diving di appoggio alla gara dovrebbe inoltre proporre ai fotografi assistenza e consulenza a un prezzo di favore, considerato che andrebbe ad usufruire di un arricchimento (pubblicità) notevole sulla promozione del suo mare attraverso le foto realizzate in occasione dell’evento.
Andrebbe data la possibilità ai fotografi di lavorare ognuno un tempo, diciamo 60 o 90 minuti, per un’ottimizzazione in post produzione su quelle che sono le regolazioni (non elaborazioni) normali, ammesse anche nei concorsi. Perché non è vero che la foto si fa al momento dello scatto; un artista crea sempre, a prescindere. Chi ha lavorato in camera oscura comprende, chi non lo ha fatto cerchi di capire il significato della parola creatività!
Quindi, in sede di premiazione, vincerà colui che avrà il portfolio più bello secondo la giuria, che valuterà non in funzione di regole e pregiudizi imposti a monte come si trattasse di una competizione sportiva, ma sceglierà la miglior interpretazione del mare da parte del fotografo in quanto artista e attento osservatore delle peculiarità del territorio. Nel portfolio inserirei la possibilità di scattare anche all’asciutto, inserendo una o due foto “esterne” a corredo delle fotosub.
Un altra cosa importante è l’eliminazione dei campi gara e di tutte quelle regole inutili in fase operativa.
Lascerei totale libertà di scelta su cosa e dove fotografare, ovviamente nei limiti dei luoghi proposti dai diving, consigliando (e mai imponendo) eventuali limiti di profondità e invitando al rispetto delle norme di sicurezza alla base di ogni immersione.
I dettagli per dare un nuovo assetto al tutto sarebbero in ogni caso da studiare a tavolino; certamente dare spazio al lato artistico della fotografia e al fotografo in quanto interprete di ciò che vede, rappresenterebbe un enorme passo in avanti, una vera evoluzione, un segnale di apertura mentale che migliorerebbe un mondo dove l’omologazione, purtroppo, è visibile a tutti. Ma questo è solo il mio punto di vista.»