A grande richiesta rieccoci con la nostra serie sulle didattiche subacquee. In questa 4^ puntata ci occupiamo di approfondire come si raggiungano traguardi notevoli, cosa sia la funzionalità minimale, come si sviluppi la consapevolezza situazionale e molto altro. Il tutto simboleggiato dai perché di una pinneggiata “diversa”.
A cura di Giorgio Anzil
C’eravamo salutati con alcune curiosità come: non è vero che se fai un corso in stile hogarthiano devi per forza comprare quell’attrezzatura con quel marchio. Abbiamo visto quando potrebbe essere logico spostare l’attenzione da subacquea ricreativa a tecnica o dir style e lo spirito che accomuna – o dovrebbe accomunare – i subacquei. Se non lo avete ancora letto, fatelo: vi basta cliccare qui.
Torniamo ora dai nostri autorevoli esponenti, cercando di esprimere meglio alcuni concetti, obiettivi e connesse modalità di addestramento.
Abbiamo chiesto all’amico Rolando Di Giorgio UTRtek, per continuare poi con Mario Arena, come si raggiungono questi traguardi importanti:
«L’acqua insegna, da questo non si scappa! Quindi più si va sott’acqua e migliore sarà la nostra acquaticità e confidenza con le particolari leggi fisiche del mondo sommerso. D’altra parte, quando siamo sott’acqua, l’efficacia delle nostre azioni non è legata solo alla nostra esperienza ed acquaticità, ma anche alla configurazione scelta ed alla qualità dell’attrezzatura usata. Avere ogni cosa perfettamente funzionante ed al posto giusto, aiuta notevolmente il subacqueo addestrato e competente ad avere un’efficiente gestione dell’immersione. D’altra parte un subacqueo, per ottimizzare le proprie immersioni, contemporaneamente allo sviluppare le abilità necessarie per far fronte ai vari scenari che si possono verificare sott’acqua, ha bisogno di un’altra caratteristica fondamentale. Questa caratteristica spesso corre il rischio di non venire menzionata o addirittura tralasciata perché data per scontato. Si tratta dell’acquisire ed affinare la propria consapevolezza situazionale. Configurazione, attrezzature ed abilità nello svolgere esercizi vari, se non accostati ad un’adeguata consapevolezza situazionale, rischiano di essere solo sterili tecnicismi fine a se stessi e di non avere reale efficacia in immersione.»
Consapevolezza, bene. Consapevolezza situazionale? Cosa intendi?
«Nella vita di tutti i giorni, quando siamo impegnati a svolgere le normali attività, abbiamo sotto controllo una molteplicità di fattori. Ad esempio, se squilla il telefono mentre stiamo lavorando, siamo in grado di rispondere senza dimenticare ciò che stavamo facendo e continuando ad essere in grado di riconoscere un’eventuale situazione di pericolo qualora si presenti. Poi concludiamo la telefonata e siamo anche in grado di ricordarci dove abbiamo parcheggiato la nostra auto. Non solo, siamo anche in grado di concludere la telefonata in tempo per poter andare a prendere un figlio a scuola o rispettare un appuntamento. Tutto ciò avviene normalmente e senza particolare stress, perché siamo abituati all’ambiente in cui viviamo e ne conosciamo bene i vari aspetti legati alla nostra vita ed alle varie attività in cui siamo impegnati. Al contrario, l’ambiente subacqueo è per l’essere umano un posto “difficile”, dove è necessario un apparato che funga da supporto vitale per respirare e dove i nostri sensi sono falsati: udito, vista e senso dell’equilibrio sono pesantemente alterati dalle diverse caratteristiche fisiche dell’acqua rispetto all’aria. Quindi tutto ciò che per l’uomo è elementare da svolgere fuori dall’acqua, in immersione diventa difficile e sottrae attenzione e concentrazione dalle altre mansioni. Avere consapevolezza situazionale significa in primis riconoscere questo fatto e capire come farvi fronte, imponendosi di non tralasciare / sottovalutare quello che accade durante l’immersione. Essere padroni dei dati fondamentali come: Profondità, tempo, limite NDL, decompressione, riserva di gas, consumi e direzione bussola, è indispensabile per aver il quadro completo dell’andamento dell’immersione».
Nel dir style si usano molto quelli che vengono definiti concetti di funzionalità minimale. Ma cosa si intende? Esistono anche nella subacquea ricreativa? A questo punto non ci rimane che chiederlo a Lui: Mario Arena
«Il criterio di “minimalismo” è uno dei pilastri nella selezione delle attrezzature per un’immersione. Può essere riassunto con l’idea che “ciò che non serve davvero per l’immersione non lo si porta in acqua, lo si lascia nella borsa”, ad eccezione di ciò che davvero richiede ridondanza, come l’erogatore. Il minimalismo serve a razionalizzare l’attrezzatura ed a fare da contr’altare all’idea della ridondanza, che altrimenti, senza un criterio limite, sconfina facilmente nel controproducente eccesso di equipaggiamento.
In altre parole, raddoppiare tutto in modo da avere una riserva in caso di guasto di qualunque componente, ci condanna a scendere in acqua – per ogni immersione – con una quantità di equipaggiamento in eccesso che complica l’immersione stessa invece di agevolarla, in virtù dell’ “essere pronti” a situazioni che forse si verificheranno una volta nella vita, oppure mai, e che comunque possono essere risolte anche senza la ridondanza del particolare componente.
E’ difficile dirti se nella subacquea ricreativa vi sia un criterio di minimalismo, perché tipicamente il solo criterio evidente è quello dell’approssimazione. Non vi è uno standard preciso da seguire, e in mancanza di questo le soluzioni sono varie e variabili: vanno dall’eccesso di ridondanza in certi casi, all’assenza di necessaria ridondanza in altri (ad esempio per quanto riguarda la galleggiabilità nel caso di rottura del GAV). Mettere insieme una configurazione equilibrata, logica ed efficiente non è materia per subacquei principianti e richiede al contrario una capacità di analisi superiore e la messa a punto con esperienze significative ed in ambienti diversi. Lasciando i subacquei “liberi” di scegliere come configurare l’attrezzatura, i risultati saranno di ogni sorta, alcuni validi altri meno, altri inefficienti, altri ancora addirittura pericolosi. Nella subacquea tecnica poi data la maggiore quantità di equipaggiamento necessario i rischi di errori nella scelta aumentano esponenzialmente».
Ancora una curiosità tecnica che ci facciamo spiegare da Rolando Di Giorgio, poi passiamo la palla ad Aldo Ferrucci. Rolando, per cortesia ci spieghi questa necessità della pinneggiata “diversa” rispetto a quella che si è imparata nella subacquea ricreativa?
«Indipendentemente dalle definizioni di “subacquea tecnica” o “subacquea ricreativa”, è importante capire il perché scegliere un tipo di pinneggiata piuttosto che un’altro. Non ci sono stili di pinneggiata da subacqueo ricreativo e stili di pinneggiata da subacqueo tecnico. Il concetto di base da tenere a mente è il rapporto energia consumata/efficacia di propulsione. In campo automobilistico, ogni casa costruttrice, è orgogliosa di mettere in bella mostra non solo le prestazioni in quanto a velocità di punta e potenza della propria vettura, ma anche le caratteristiche di consumo di carburante rapportato alla quantità di chilometri percorribili. La benzina costa cara… E le energie del subacqueo? Quanto costano? Fatica, stress, crampi ed affanno sono il prezzo che il subacqueo paga per il dispendio, o meglio per lo spreco, delle proprie energie. Tradotto: aria consumata dalla propria scorta per l’immersione! Tralasciando le varie problematiche collegate al manifestarsi di situazioni di malessere vario durante l’immersione. È solo naturale pensare che l’adottare un stile di pinneggiata tale da ottimizzare il consumo di energie, sia di indubbio beneficio per tutto l’andamento dell’immersione. La pinneggiata a rana permette di mantenere un’ottima andatura con il maggior risparmio di energie e come detto, risparmiare energie sott’acqua è inonimo di maggior comfort e minori consumi di aria. La pinneggiata a rana, inoltre permette al subacqueo di mantenere una postura ottimale, così che se il subacqueo si trova rasente al fondo (magari fangoso) e pinneggia a rana controllando la posizione di gambe e piedi, avrà anche il vantaggio di non alzare sospensione. Inoltre la pinneggiata a rana, qualora la situazione lo richieda, permette anche dei brevi sprint che hanno poco da invidiare alla propulsione a gambe alternate. Insomma, una volta imparata, la rana diventa un sistema di propulsione davvero efficace. In argomento di sistemi di propulsione, però, è riduttivo parlare solo di “pinneggiata a rana” e tralasciare gli altri spostamenti possibili in acqua. È chiaro che l’essere padroni della propria posizione in acqua, presuppone l’aver familiarità con i sistemi di spostamento in tutte le direzioni possibili. L’avere facilità di movimento in avanti, indietro, piuttosto che di rotazione verso destra o verso sinistra è di sicuro un fattore che rende l’immersione più piacevole. Spesso il subacqueo deve mantenersi fermo di fronte ad un punto che può essere la cima di risalita, il proprio compagno di immersione, nonché un soggetto da osservare/fotografare. Come fare se invece la corrente lo spinge avanti o lo ruota sul proprio asse? Ecco che la padronanza di movimenti come “l’elicottero” o il “back Kick” (retromarcia) è di grande aiuto nel mantenere con naturalezza la propria posizione in acqua. Quindi perché cambiare pinneggiata? ..la domanda è: perché non farlo, se si scopre che esiste un sistema più efficace? Indipendentemente dalla profondità dell’immersione e dall’attrezzatura indossata, avere uno stile di pinneggiata che ottimizza lo sforzo e massimizza la spinta propulsiva, rende l’immersione più piacevole e più sicura».
Proviamo a concludere con Aldo Ferrucci e, parafrasando un termine calcistico,vediamo chi manderebbe in gol, tra la subacquea ricreativa e la subacquea dir style?
«Difficile domanda. Dovrei cercare di prendere un po’ di punti da una parte e un p0’ dall’altra. La prima ha il merito di aver diffuso la subacquea ricreativa e turistica ma con il passare del tempo le ragioni economiche e commerciali hanno puntato sui numeri e sulla facilità e rapidità di mettere a tutti i costi la gente in acqua, a volta tralasciando conoscenze e tecniche, e sopratutto di insegnare l’amore per il mare.
Questo ha portato i nuovi subacquei a saltare la fase dello snorkeling e dell’apnea, due fasi fondamentali per iniziare ad amare e capire l’ambiente acquatico, che poi avrebbero sfociato nella bellezza di poter immergersi con le bombole, portando tutti ad usare le bombole sin dalla più piccola età. Lo snorkeling e l’apnea sono sport facili ed economici, alla portata di tutti, che possono formare dei buoni subacquei, amanti della natura e dell’ecologia. Portare tutti a usare immediatamente le bombole provoca già una grande selezione per costi, tempi e pesi, e leva quella parte di educazione ecologica e acquatica che sarebbero una perfetta base per la loro carriera subacquea. Per anni la subacquea ha attinto agli apneisti, contando sulle loro capacità acquatiche e il loro amore, proponendo la subacquea con autorespiratore come una naturale evoluzione».
Sicuramente Aldo ha ragione però è innegabile che la maggior semplicità con cui si può approcciare la bombola abbia portato a una evoluzione del mercato con sicuri benefici per tutti.
«La seconda ha il merito di aver dato sopratutto alla subacquea tecnica delle regole (standard) ben specifiche e sicure sulle tecniche di immersione e sulla configurazione dell’equipaggiamento. A volte purtroppo questa standardizzazione viene portata ai limiti, quasi che la tecnica e la sicurezza siano il fine e non il mezzo per l’evoluzione nel mondo acquatico. Questa estremizzazione porta e si spinge fino al punto in cui un subacqueo che non fa parte di una certa didattica, chiunque esso sia, qualunque sia la sua esperienza, qualunque tipo di attrezzatura utilizzata sia un potenziale pericolo con il quale non ci si deve immergere. L’utilizzo di specifiche marche e modelli di attrezzature è un’altra delle caratteristiche di queste didattiche, che fanno dell’appartenenza al gruppo del singolo, uno dei loro punti di forza. L’appartenenza ad un gruppo, di qualunque tipologia esso sia, nasce dal bisogno di affiliazione che è dato dall’esigenza di trovare supporto, condivisione e approvazione. Tutto ciò diventa, in seguito, un vero e proprio bisogno di appartenenza che porta alla scelta selettiva del gruppo da frequentare in base ai valori che meglio si combinano con i propri e con l’immagine di sé che il singolo sta costruendo.
La focalizzazione della tecnica come fine per il sub, porta a un traguardo sterile, che una volta raggiunto, allontana la persona dalla subacquea, in cerca di nuovi obiettivi da raggiungere».
Letta così mi sembra che si scontri un po’ con l’opinione di Mario Arena; però, anche fosse, devo ammettere che non ci vedo nessun male in un’azienda che promuove i suoi prodotti, tra l’altro se questi sono prodotti di alto profilo. Rimane il fatto che il nostro compito è quello di fare informazione, quindi poniamo domande e pubblichiamo risposte.
Riprenderemo la nostra sagra dopo aver raccolto altre autorevoli testimonianze. Amplieremo la panoramica sui pensieri di altre didattiche. Nel frattempo chiunque desiderasse esprimere un suo concetto, ritenendolo utile alla comunità subacquea, non esiti a contattarci. Vi aspettiamo!