Qualche confessione da istruttore sullo svolgimento del corso di apnea ASBI per sub non vedenti presso Y – 40.
di Romano Barluzzi – foto di ASBI Albatros Scuba Blind International
“La luce è interiore, è dentro di noi. Solo il colore è fuori. Chiudi gli occhi e dimmi che cosa vedi”. Così Maxence Fermine, nel racconto “Neve”, protagonista – tra gli altri – un maestro zen cieco. E è di ciechi, di subacquei e di apnea che voglio parlarvi. Perché nella vita non sai mai che aspetto avranno i maestri che incontrerai, in chi si celerà una guida, puoi solo star certo che ne conoscerai, e che quelli veri saranno pochi. Non conto più gli anni che mi occupo di subacquea, e conosco l’associazione ASBI – quella dei sub non vedenti – fin dai suoi esordi, dieci anni or sono. Dieci anni in cui ne ho seguito gesta e iniziative, personaggi e programmi, corsi e viaggi. Ma sempre e soltanto come giornalista. Volutamente. Perché – pensavo – così posso raccontare meglio quello che fanno, con il giusto distacco, e in ciò essere più obiettivo, che nel mio mestiere vuol dire più gradevole al lettore. Stavolta, però, le cose sono andate in maniera diversa. Mi è stata offerta l’opportunità di collaborare direttamente dall’interno alla loro più recente attività: un corso di apnea rivolto a quattro sub ciechi presso l’ormai celebre Y – 40, la piscina che il mondo c’invidia per la profondità, la qualità dell’acqua termale e l’avveniristico impianto. Non si poteva desiderare di più per lasciarsi convincere a mettere a disposizione di queste persone alcune competenze maturate come istruttore di apnea. E così è stato. Perciò ora, se trattenete il respiro insieme a me, posso provare a confidarvi qualcosa di com’è andata. Il resto dovrete immaginarlo. Ma potrete.
L’idea era apparsa semplice: abbinare in un unico percorso esperienziale le proprietà dell’acqua termale tiepida, dell’apnea e della non vedenza. Ciò avrebbe permesso di proporre a un gruppo di non vedenti un intero corso d’immersione in apnea di base – quella moderna – svolgendolo in modo da far loro ottenere standard di preparazione identici o superiori a quelli raggiungibili da un normovedente. Se però organizzare tutto ciò fosse stato altrettanto elementare l’avrebbero già fatto in tanti, mentre questa attività, così contestualizzata, si profilava addirittura come la prima al mondo. Lunghi mesi di preparativi, di studio ideativo, di pianificazione, per elaborare soluzioni didattiche il più possibile mirate. E qui viene subito il bello: che significa davvero “mirate”? Finora, anzi diciamo pure fino a prima di ASBI, il che si traduce con appena dieci anni fa, la metodologia per non vedenti consisteva sostanzialmente in immersioni “impacchettate”, con scarsa o nulla autonomia motoria, con atteggiamento conoscitivo assente, del tutto “manipolati” da un accompagnatore il cui unico fine era quello di “immergere il pacco” e riportarlo in superficie, dopo avergli fatto apprezzare “la magia di fluttuare sospeso nell’acqua”; così recitavano alcuni sacri testi, elaborati da normovedenti che, in realtà, non si sforzavano nemmeno di capire come potessero vivere la cosa dei ciechi veri.
Le soluzioni adottate erano infatti il risultato più di una concezione da vedenti e del tentativo di adattarla alla circostanza (al massimo integrandola con qualche simulazione) che di una originariamente ideata per il cieco in persona. Non a caso l’esempio più elaborato che si potesse fare all’epoca era quello del percorso obbligato lungo un cavo guida tesato sul fondo. Che pareva la quadratura del cerchio. E invece si rivelò quanto di più ghettizzante di potesse concepire. L’avvento di ASBI ha completamente ribaltato la metodologia, i suoi stessi fondamentali, ristrutturandola come avrebbe potuto e dovuto essere fin da prima, solo che qualcuno ci avesse pensato. Ma nessuno aveva immaginato la materia “con gli occhi di chi non vede”. Il merito del primato in tal senso va all’ideatore che tutt’oggi elabora i programmi tecnici ASBI, compreso questo del corso di apnea di cui parliamo: il trainer Manrico Volpi, naturalmente con il suo team di istruttori e con la permanente consulenza dei primi subacquei non vedenti di era moderna, formatisi in ASBI negli anni iniziali dell’attività. Con questo gruppo la metodica ha preso a basarsi sulla possibilità di coltivare e addestrare la visione tattile e la memoria tattile del cieco anche sott’acqua. Ed è finita che i sub non vedenti oggi “esplorano” il fondale, letteralmente. I percorsi li possono perfino creare loro stessi, riportandoli in mappa, alla faccia del vetusto concetto del cavo guida. L’accompagnatore abilitato li lascia liberi di muoversi, stabilendo con loro un contatto sfiorato e non vincolato, e un’intesa basata su segnali tattili, precisi e discreti.
Il suo ruolo è più quello che fuori dall’acqua ha il classico cane guida: si limita a evitar loro eventuali pericoli. In più gli indica la prossimità di organismi interessanti da “guardare”. Mentre l’intero piano d’immersione viene condiviso come si fa tra due normali compagni sub. Un riconoscitore subacqueo delle specie viventi incontrabili in immersione reca le informazioni su ogni singolo organismo, sia in foto, per l’istruttore, sia in Braille, per il non vedente, entrambe con nome latino: siamo oggi oltre le cento specie identificabili. E questi sono solo alcuni esempi dei tanti che si potrebbero fare, per far intuire lo schiudersi, in questa dimensione della non vedenza, di un universo straordinario. In ciò anche l’apnea aveva già avuto dei precedenti iniziali illustri, sebbene meno strutturati e più di carattere sperimentale. Oggi si trattava dunque di raccogliere il bagaglio di esperienze maturato negli anni e orientarlo verso un connubio speciale, quello con la vasca Y – 40 di Montegrotto-Abano Terme, Padova, dove un direttore tecnico altrettanto illuminato, Marco Mardollo – storico co-fondatore di Apnea Academy – ha colto subito la valenza implicita in un progetto del genere, mettendo a disposizione ogni occorrenza presso l’impianto che dirige, in modo che tutto potesse svolgersi al meglio, perfino partecipando lui stesso ad alcune fasi dell’iniziativa.
Ora provate un attimo a staccarvi da questo scritto per passare in rassegna le foto. Vedrete dei plastici creati ad hoc per riprodurre gli apparati cardiocircolatorio e respiratorio. Questi oggetti, di fatto supporti didattici essi stessi, ci hanno permesso di far lezione di teoria sui fondamentali di anatomia, fisiologia e fisiopatologia dell’apnea di oggi. Come? Vedete il grande circolo venoso in blu e arterioso in rosso? All’apparenza sono solo colorati, dunque buoni soltanto per chi ci vede. Ma se aveste potuto sfiorarli come fa un cieco, avreste apprezzato la differenza di rugosità che è stata conferita alle due superfici! Idem per quello schema ad ampolla, che esprime classicamente le differenze tra i vari volumi respiratori: ogni fascia, cioè ogni volume, ha un colore diverso ma anche una consistenza superficiale diversificata al tatto! Potremmo definirli “plastici Braille”, per capirci. Il calco anatomico dell’apparato auditivo lo è già de facto.
Da qui in poi è stato tutto un susseguirsi di spunti, di informazioni, di prove, di esercitazioni che ci hanno condotto per mano in un viaggio coinvolgente fatto assieme ai quattro allievi Ada Ammirata, Elisabetta Gravili, Roberto Polsinelli e Daniele Renda, il cui percorso ha compreso tutte le tappe migliori nella preparazione di un apneista odierno: dalla rieducazione del respiro alle tecniche di rilassamento e concentrazione, il tutto eseguito sia in secco sia in acqua; dalle posture ai movimenti, dal corpo libero alle attrezzature – anche le più specializzate –, dalla statica alla dinamica, dalla superficie all’immersione, dall’orizzontale al verticale. E, al di là della tecnica, oltre i riferimenti delle esercitazioni, delle pur necessarie codifiche, ecc, ciò che fa risuonare le corde più profonde, le cattura e non le molla più è l’indescrivibile rapporto che viene a crearsi con queste persone, in un istante. Tutto diventa, passando per il corpo, un’avventura dell’anima: per mostrare l’esecuzione di un movimento in acqua devi permettere loro di toccarti – perché è solo così che possono vederti – mentre cerchi di eseguirlo con una lentezza che all’inizio appare inconcepibile, eppure poi si rivela proprio quella giusta. Ne consegue un miglioramento continuo delle tue abilità nel gestire e controllare il processo di apprendimento guidato, che è il fulcro dell’insegnamento. Infine arriva la conquista della verticalità completa, della profondità, sempre in un solo respiro trattenuto: la cosa meno immaginabile, pensando a un non vedente. Invece la osservi accadere davanti a te, fino oltre i massimi standard preventivati, con una naturalezza che incanta, e ti senti il privilegiato testimone di un prodigio assoluto. Ed è inevitabile che tutto ciò che hai sempre pensato dei concetti di coraggio, intimità, fiducia, disponibilità, venga sovvertito in blocco e ripristinato in te sotto una luce completamente diversa. Hai incontrato dei maestri veri, nulla sarà più come prima. Ogni secondo con lo loro è prezioso. È stupore e colori. Ora… chiudi gli occhi e dimmi che cosa vedi.
(L’autore ringrazia i quattro nuovi amici sopracitati e tutto lo staff di ASBI che ha permesso di realizzare l’iniziativa, in particolare il trainer Manrico Volpi; gli altri istruttori Vincenzo Ladisa, Corrado Gabriele, Ahmed Hagi; l’assistente – e docente per le procedure BLSD – Margherita Frigoli; il direttore di Y – 40 Marco Mardollo; il presidente di ASBI Angela Costantino Pinto.
ASBI presenterà all’EudiShow di Bologna l’intera attività svolta oggetto di questo articolo, sabato 7 marzo, alle ore 16:30, presso l’Area Palco Apnea)