Il futuro del dopo Concordia al Giglio. Quando i precedenti possono essere utili e quando dannosi. Quando un progetto utile nasconde un interesse economico.
di Giorgio Anzil
Un’operazione di recupero mai realizzata prima, una sfida vinta dalla Titan – società americana – e Micoperi che si erano candidate a gestire la rimessa a galla e il trasporto della Costa Concordia. Competenze tecnologiche italiane, un capolavoro da andarne fieri. Dopo questi momenti di gloria si è iniziato a parlare del cosa fare delle piattaforme che sarebbero rimaste in acqua. Certo il progetto iniziale prevedeva, anzi prevede, il totale ripristino dell’ambiente, lo stesso Ministro Galletti ha espresso il suo parere in materia. Intervenendo il 15 novembre a Livorno al convegno “La sostenibilità come motore di sviluppo, Marine Strategy e Blue Growth” organizzato dallo stesso Ministero dell’Ambiente nell’ambito della Presidenza di turno italiana dell’Unione europea, ha lasciato poco spazio ad interpretazioni sul futuro del post-Concordia al Giglio: «Ora dovremo concludere il lavoro riportando il mare e i fondali dell’isola allo stato pre-naufragio». Forse questo suo intervento giustifica la sua assenza al Convegno che si è tenuto presso l’Acquario di Genova dal tema “Barriere artificiali sommerse risorse per l’ambiente, ricchezza per l’economia” organizzata dall’Accademia Internazionale di Scienza e Tecniche subacquee di Roma.
Potrebbe essere un indizio. Infatti gli organizzatori del convegno di Genova mettevano in forte dubbio la presenza del Ministro, perché sanno che la maggiore opposizione arriva proprio da lui. Nonostante i vari problemi di tipo processuale e in contrasto con le direttive europee i Gigliesi continuano a sostenere che la presenza delle piattaforme è utile sotto il profilo economico, corretta sotto il profilo scientifico e può anche essere una importante risorsa per il turismo.
Sebastiano Venneri di Legambiente è molto duro e assolutamente contrario, anzi lascia trapelare uno strano interesse di natura economica da parte di Costa/Carnival e vede questo convengo come una pillola indorata organizzata ad hoc guarda caso all’Acquario di Genova, struttura sapientemente gestita da Costa Edutainment, una società del gruppo Costa. Per far comprendere meglio la situazione riportiamo la sua risposta a un’intervista rilasciata a un collega di Green Report:
«Si capisce allora che dietro le “barriere artificiali sommerse” delle quali si discuterà a Genova si nasconde in realtà la grande piattaforma sommersa realizzata per il recupero della Costa Concordia che per legge dovrà essere smantellata, ma che molti invece vorrebbero mantenere. Va da sé che Costa sarebbe ben contenta di risparmiare i milioni del ripristino dello stato dei luoghi e ammantare per di più la scelta del nobile fine “ambientale ed economico”».
Durante il convegno, però, Riccardo Cattaneo Vietti – professore universitario – interviene dichiarando:
«l’Italia ha la possibilità di ritrovarsi, senza alcun costo, una barriera artificiale già costruita e posizionata. Un’opportunità fortuita, offerta dalle piattaforme subacquee costruite all’Isola del Giglio su cui è stato posizionato il relitto della Concordia, prima di procedere al suo rigalleggiamento. Demolire queste strutture, oltre all’evidente costo, può essere ancora una volta una fonte di inquinamento per quelle acque. A questo punto, è meglio lasciar fare alla natura».
Quindi che facciamo? Voi cosa fareste?
Sempre Venneri, sostiene che i fondali del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano non hanno bisogno di interventi artificiali per spingere i subacquei all’immersione. E che, anzi, un precedente del genere sarebbe decisamente pericoloso per tutti coloro che realizzano infrastrutture artificiali in mare: «basti pensare – sostiene – a cosa potrebbe succedere, con questo precedente, a tutte le piattaforme sparse per i nostri mari: ognuna di queste diventerebbe subito la più bella palestra per le immersioni subacquee».
Ora, dico io: sarebbe poi una brutta idea? Mah.
Il problema però potrebbe essere un altro, infatti viene sollevato da Ardizzone – Sapienza di Roma – ed è la durata e la resistenza delle strutture: «Dal punto di vista biologico non esistono incertezze. I substrati sono idonei perché il metallo è facilmente colonizzabile e riesce a compensare la perdita di habitat causata dal naufragio e dai lavori necessari per la rimozione. Per contro, perché la permanenza possa essere autorizzata è indispensabile un’attenta valutazione della capacità di durata delle strutture, nate per durare un periodo limitato, quindi individuare il soggetto responsabile della manutenzione e della gestione, con gli oneri che ne derivano».
Ripensando alle immersioni fatte sulla Paguro e sulla Haven mi sembra assolutamente banale l’idea di appoggiare la loro permanenza in acqua, magari apportando delle modifiche, rafforzando la struttura, creando habitat più adatti da colonizzare e, sicuramente, ha ragione il Sindaco del Giglio Sergio Ortelli, quando sostiene che potrebbe essere un importante indotto turistico. Se pensiamo a paesi come il Giappone dove si concentrano il 90% di quelle esistenti per incentivare la pesca professionale o negli Stati Uniti, dove sono considerate una risorsa per il turismo subacqueo, vien da chiedersi: perché noi no?
Lo stesso professore Francesco Cinelli – Università di Pisa – si esprime a favore: «concordo con Vietti, smantellare potrebbe arrecare ulteriori danni ambientali invece di restituire il fondale nelle condizioni originarie come era stato ipotizzato al momento dell’incidente».
Tornando al mio pensiero, non poteva mancare un intervento autorevole sulla Haven: Lorenzo Del Veneziano ci racconta la sua Haven come una meraviglia, un sito oggi diventato un paradiso per i subacquei, considerato uno dei punti d’immersione più belli al mondo.
Il tonno è stanziale, si contano venti mila immersioni “regolamentate” all’anno con un indotto di circa 300 posti di lavoro.
Alcune riflessioni possiamo farle, senza avere la presunzione della verità e magari cercando di approfondire e seguendo la vicenda attentamente:
- Sicuramente sarà stato fatto un appalto per recuperare il ferro delle piattaforme, qualcuno avrà già deciso a chi andrà e quanto dovrà pagare per averlo.
- L’assicurazione dovrebbe stanziare molti milioni di euro per procedere ai lavori.
- Tutti questi soldi non si possono usare per rafforzare le strutture, creare un fondo per la manutenzione costante nel tempo delle piattaforme fino a quando non si sono stabilizzate e lasciare lì tutto così com’è?
- In fondo stiamo parlando di uno spazio acqua davanti al Giglio, se va bene ai Gigliesi, dico io, non dovrebbe andar bene a tutti?
- Certo, Venneri sostiene che si creerebbe un precedente, però se il risultato finale sono i vari relitti come la Haven o la Paguro sparsi per il Mediterraneo, come cosa mica sarà poi tanto male?
Egoisticamente, da subacqueo, io ne vorrei avere molti di ambienti così.
Voi che ne dite?
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Associazione Nazionale Memoriale della Concordia
L’Associazione Nazionale Memoriale della Concordia nasce nel febbraio 2014, da un gruppo di sommozzatori professionisti, per incoraggiare un movimento di opinione, favorevole alla preservazione delle sei strutture sommerse, utilizzate nell’opera di raddrizzamento del relitto della “Costa Concordia”, sui fondali dell’Isola del Giglio, dove avvenne il naufragio.
Il progetto, per la difesa delle sei strutture dalla demolizione, riveste molteplici aspetti di interesse:
– la tutela dell’ambiente biologico che nel frattempo si è venuto a creare e la sua utilità quale moltiplicatore della biodiversità;
– l’utilità delle strutture quali impianti idonei alla sperimentazione scientifica settori quali ad esempio la medicina subacquea, la biologia marina, la geologia, la sismologia, la climatologia, ecc.;
– l’utilità delle strutture quali impianti idonei all’esercizio, in acque libere ma delimitate, di attività sportive e didattiche professionali. L’addestramento all’immersione di allievi non ancora autonomi nell’attività di immersione, gli esami in acque libere per il rilascio di patenti, certificati e brevetti e successivamente per le simulazioni di lavoro off-shore per gli OTS;
– la testimonianza dell’impegno industriale che fu necessario per la rimozione del relitto;
– il rispetto per la memoria delle vittime del naufragio;
– il rispetto del diver deceduto sul lavoro nelle operazioni di recupero e della categoria dei commercial diver;
– il ricordo dell’impegno civile della popolazione dell’Isola del Giglio nelle fasi successive al naufragio;
– l’occasione di avere uno spazio organizzato da dedicare al ricordo dei sommozzatori caduti in mare, sia essi professionisti sia sportivi;
– l’occasione di incrementare il turismo e la redditività degli abitanti dell’Isola del Giglio e della nazione. L’idea che turismo e cultura sono il “petrolio” che l’Italia deve imparare ad estrarre, trova in queste piattaforme la giusta rappresentazione simbolica.
Vogliamo pertanto che le piattaforme restino a disposizione, sia per subacquei e tecnici, per effettuare sopralluoghi, sia per motivi di conoscenza e rispetto per la memoria, sia per il turismo, sia per la scienza. E’ quello che avviene per tutti i relitti del mondo, che da sempre interessano gli appassionati di mare.
Per questi motivi il sito sui fondali del Giglio va preservato dalla distruzione e anzi arricchito delle opere utili all’esercizio delle attività per le quali dovrà essere utilizzato.
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La Redazione
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