Ora tocca a me, il sommergibile fantasma mi sta aspettando.
di Isabelle Mainetti, foto di Lorenzo Del Veneziano
Quando si decide di affrontare un relitto importante è come l’avvicinarsi dell’incontro con un avversario stimato. Un duello all’alba. Un appuntamento con una bella donna, direbbe un uomo.
Già da casa la programmazione acquista sapore, la tua mente vola, ti pensi a osservarlo tra aria di sfida e un accenno di sorriso. Paura no, non ce n’è. Se il rischio ti sorride, non puoi che sorridergli di rimando.
Lo studi, lo guardi, lo sogni…
L’u-boot, sommergibile tedesco del periodo nazista, si porta appresso i segreti della storia, di una guerra tragica e crudele, di orrori da non dimenticare ed è proprio di lui che parliamo. Oggi, un sacrario della memoria.
Avvolto da un velo di mistero per ciò che fu la sua incomprensibile scomparsa, giace nel nero più totale in fondo al mare a una profondità tra i 90 e i 120 metri, e portò laggiù con sé 54 anime. Ed è difficile non pensare che qualcuna sia ancora lì.
Rimasto nascosto e dormiente, intrappolato segretamente da un arcano destino, decide un giorno di svegliarsi, di farsi scoprire. Vuol forse urlare la sua storia? Così sembra, mentre rivolto all’insù grida il suo richiamo verso quel cielo d’acqua da cui cadde e che non poté più navigare. Possiamo noi, invece, lasciarci cadere sulle sue tracce fino a raggiungerlo… tra poco.
L’incontro di oggi è al porto di Genova presso il diving Tigullio, dove proprio lo scopritore Lorenzo Del Veneziano ci accompagna all'”appuntamento”.
Immersione impegnativa, specialmente in aperto. Mi chiudo in un attimo di intensa concentrazione.
Guardo per un secondo la mia attrezzatura, lì, tutta insieme, tanta, veramente tanta. In aperto siamo in due, e già solo noi occupiamo quasi mezzo gommone.
Il mio compagno ha un bibombola 18+18, ed io un 15+15… Mi vien da ridere.
Ma come diavolo farò a caricarmi di un gigante così? Sono i momenti in cui mi vien da pensare d’esser fuori di testa. E mica è finita: oltre a quel bel giocattolino, abbiamo 4 stage a testa per la risalita.
Sul gommone si parla appena, gli sguardi rivolti all’infinito… ognuno ha il proprio modo di vivere una tensione inapparente e compagna al tempo stesso. Io ripasso mentalmente la mia immersione cercando d’immaginarmi l’incontro.
Il profumo del mare è inconfondibile e mi pervade all’improvviso. Il momento è arrivato!
Mi aiutano a caricarmi del bombolame vario e … e … e via!
Uno, due, tre… ok, si scende!
L’emozione era già grande all’ingresso in acqua ma ora cresce, il cuore ti pare di sentirlo uscire dal petto, mentre i dettagli svaniscono e si fanno nulla nel nulla, nessun punto di riferimento. A parte la cima. Il resto è adrenalina che sale.
Distendo il corpo e mi lascio cadere fiduciosa, l’u-boot mi attende a braccia aperte.
I pochissimi minuti che occorrono per raggiungerlo sembrano infiniti. Poi, nell’attimo che mi appare, sento in me una esplosione di magnificenza, di riverenza nei confronti di questo gigante, mi lascia a bocca aperta.
Spalanco gli occhi entusiasta di tanto stupore, davanti a lui che quasi completamente eretto in piedi sembra mi sorrida e con sguardo furbetto mi dica… era ora!
Il relitto è piantato con la poppa nel fondo, e da lì si erge come un guerriero di pietra, glorioso, possente. Nulla di più immobile eppur sul punto di scattare. Un missile pronto a partire.
Ancora incredula comincio la perlustrazione, la visibilità è perfetta, vorrei aver tempo di osservarlo centimetro per centimetro e qualcosa già mi dice che il tempo che ho non mi basterà. Sembra saperlo, lui. Ti invita, ti stuzzica e se ne compiace.
Anemoni, aragoste e centinaia di pesci lo popolano, e sembrano ballare in onore di questo colosso che, bloccato lì, ormai padrone del suo nuovo mondo, osserva nostalgico verso il cielo, in attesa di qualcuno come noi che, con rispetto, venga di quando in quando a porgergli i saluti, a ricordargli chi era.
Ricoperto ormai quasi interamente da ostriche, conchigliette e i più svariati organismi marini, indossa una nuova divisa, un nuovo abito che maschera i particolari, permettendogli di camuffarsi. Non ha fretta di rivelare i suoi segreti.
La torretta a 110 metri è intatta. Protagonista assoluta e meta obbligata, pare sostituire il trono d’un re al cui cospetto non si può mancar di passare.
Come in una caccia al tesoro, voraci cerchiamo i dettagli.
Appare una sfera…quella di qualche maga…è la bussola!
Il portellone è aperto, l’ingresso è impossibile, troppo stretto… però chissà cosa si nasconderà in fondo a quel buco nero, chissà quali fantasmi, quali paure saranno lì racchiuse.
Il tempo vola, 20 minuti stanno scorrendo a una velocità che stride con quell’insieme di lentezze voluttuose.
Uno sguardo verso l’uscita mi fa cadere in attimi d’atmosfera fiabesca.
Pazzesco, strabiliante. E non leggi più le parole che scriverai, ma solo i mille punti esclamativi che ci metteresti. Perché visto da qui lo spettacolo va oltre l’immaginazione. In piedi fiero, ritto a braccia distese, ora orgoglioso, mi fissa.
Banchi di pesci danzano senza sosta come un vortice di mille colori.
Il contrasto dell’azzurro del cielo in superficie illumina la sua prua come un fantascientifico tunnel di trasporto verso una vita parallela.
Ci indica la strada, cavaliere qual è.
Arrivati alla cima di risalita, il nostro viaggio è quasi finito. Mentre il suo prosegue, paradossale effetto dell’incantesimo che lo tiene lì bloccato. Noi, ancora sotto il suo influsso, facciamo attenzione ai mille ami e alle cime abbandonate che, in guisa di tentacoli, paiono indecisi sul lasciarci andare. Uno struggente invito, che verrebbe così spontaneo corrispondere. Torneremo.
1 Comment
Fiorella Bertini
l’ho letto solo ora… bello veramente ben scritto… trasmette tutte le emozioni che si provano in quei momenti e che solo un altro sub può comprendere….