Il nostro sarago maggiore ha preso a cibarsi in gran quantità di un’alga infestante aliena. Ma siamo sicuri che vincerà lui?
di Romano Barluzzi, foto Massimo Zazzetta
Il fatto che molte specie aliene si stiano infiltrando in Mediterraneo è ormai assodato e noto. Altrettanto noto è il paventato rischio secondo cui questa invasione metterebbe in pericolo la sopravvivenza delle nostre specie autoctone. Ma la domanda che forse sorge spontanea in molti è: “com’è che avviene tutto ciò?”, oppure: “perché dovremmo preoccuparcene, visto che le invasioni aliene sono in fondo un fatto naturale e magari gli organismi tendono di per sé a ristabilire i compromessi equilibri?”. Qualcuno, più brutalmente, sostiene insomma che ondate di invasioni di organismi alloctoni siano sempre avvenute e non è chiaro perché l’eventuale depauperamento di quelle autoctone – ammesso e non concesso che si verifichi – possa rappresentare un rischio per le persone. Ebbene, quanto si è appreso di recente sul fenomeno dei “saraghi immangiabili” può costituire un esempio di spiegazione che vi sorprenderà. In base a un articolo del Dott. Antonio Terlizzi e collaboratori, comparso sulla rivista scientifica PlosOne a proposito delle conclusioni di uno studio effettuato da un gruppo di ricercatori italiani sul verificarsi di tante segnalazioni di pescatori secondo cui i saraghi (varietà sarago maggiore, alias Diplodus sargus) si sarebbero rivelati di pessima qualità all’alimentazione umana, il fenomeno potrebbe essere dipeso da una nuova nutrizione messa in atto dalla specie, che troverebbe particolarmente appetitoso cibarsi di un’alga infestante aliena, anch’essa ormai arcinota, detta Caulerpa racemosa (varietà cylindracea).
A quanto pare i saraghi avrebbero preso a farne autentiche scorpacciate, assimilando così elevate quantità di caulerpina, un alcaloide tossico prodotto dall’alga dove viene recisa, che andrebbe a concentrarsi nelle loro carni in quantità anomala e responsabile delle pessime caratteristiche organolettiche che le carni di tali pesci assumono. Ma sarebbe ancora poco, se fosse tutto qui, anche perché ciò non rappresenterebbe un fattore di tossicità diretta verso l’uomo. E invece… Il livello di caulerpina nei tessuti dei pesci è stato associato anche ad effetti più preoccupanti e consistenti in alterazioni cellulari e fisiologiche. Come scrivono i ricercatori stessi: «Tali effetti includono l’attivazione di alcuni percorsi enzimatici (catalasi, glutatione perossidasi, glutatione S-transferasi, glutatione totale e la capacità antiossidante totale, 7-etossi resorufina O-deethylase), l’inibizione di altri (l’acetilcolinesterasi e ossidasi acylCoA), con un incremento dell’indice epatosomatico e la diminuzione dell’indice gonadosomatico. Le alterazioni osservate potrebbero portare a uno stato di perdita della salute e a comportamenti alterati, impedendo potenzialmente il successo riproduttivo delle popolazioni ittiche». In parole povere, il nuovo comportamento alimentare della nostra specie verso quella aliena, apparentemente a svantaggio di quest’ultima, non solo inciderebbe negativamente sulla qualità dei tessuti del pesce, ma ne potrebbe impedire sia la riproduzione, sia la stessa sopravvivenza, sia la salubrità delle carni. E noi tutti potremmo passare dalla frustrazione per il cattivo sapore d’un piatto di pesce a ben di peggio.