L’ennesimo episodio di “permissivismo politicante” sull’illegalità nella pesca a strascico deve dar vita a una presa di coscienza collettiva contro ogni forma di pesca non sostenibile, illecita o non etica. Quindi basta pure a gare di pesca, anche sub! Un segnale simbolico ma necessario. Perché depredare il mare di risorse viventi senza darsi alternative sostenibili per coprire i bisogni è come attentare all’intero pianeta.
A cura di Romano Barluzzi
Un recente “question time” alla Camera dei Deputati – fine maggio scorso – ha fatto assistere a questo “spettacolo”, a nostro avviso assai poco edificante. Il deputato Mirco Carloni (Lega) ha presentato una interrogazione sul divieto europeo alla pesca a strascico. L’interrogativo è stato rivolto dal deputato Carloni al ministro Lollobrigida chiedendo di “non demonizzare” la pesca a strascico e di “non seguire” gli “assurdi divieti” dell’Europa, finalizzati solo – questo ha sostenuto – a mettere in difficoltà la pesca italiana.
Il ministro Lollobrigida – purtroppo, e secondo molti non poteva essere altrimenti, ma lungi da noi di attribuire qualsiasi colore politico-partitico a una materia che non dovrebbe averne alcuno! – ha risposto affermando “l’impegno del Governo a difendere gli interessi della pesca italiana (anche) con ‘deroghe alle normative europee’ contro la pesca a strascico” (!).
Ora, non sappiamo con precisione come sia finita; ma c’importa fino a un certo punto (tanto, anche se stavolta fosse finita bene per la fauna, di certo i paladini del pensiero piscatorio ci riproverebbero alla prima occasione). Né vogliamo qui stare a rimarcare i motivi ormai arcinoti per cui una pesca come lo strascico non possa certo essere annoverata tra quelle “sostenibili”. Piuttosto troviamo indispensabile e prioritario soffermarci sul fatto che un simile “question time” sia anche soltanto potuto accadere!
Pensiamo sia giunto il momento e forse l’occasione per opporre a questi vergognosi atteggiamenti da politicanti alcuni dati oggettivi, facendo idealmente “un solo fastello” di pescatori professionisti “strascicatori seriali” (leggasi “fuorilegge del sottocosta”), pescasportivi fuori controllo, pescasub bracconieri (con l’autorespiratore, di notte, che si vendono le prede ai ristoranti senza avere la licenza, ecc) e alla fin fine anche i garisti di pesca in apnea, un tempo definita con maggior appropriatezza semantica “caccia subacquea”; perché, se forse è ancora ammissibile “procacciarsi” un solo pesce per la cena in famiglia, con la sportività e i rischi di un solo respiro trattenuto, con la selettività di un gesto atletico che ha richiesto tanta preparazione, con un solo “colpo in canna” e un’unica occasione a tiro, non è più concepibile che, con la scusa dell’agone, venga istituzionalizzata in gara la possibilità di catturare anche 30 esemplari della stessa specie pur di vincere un campionato! (E altre “perle” del genere…).
E non è neanche una mera questione di numero o di peso del pescato, né di regolamenti agonistici “più o meno ecologici”. Ciò che vogliamo sottolineare è che non è più nemmeno lontanamente difendibile l’esistenza di un sistema di competizioni agonistiche – addirittura campionati – tra umani in cui si uccida fauna ittica per (il proprio) esclusivo diletto, perfino in deroga alle già scarse norme previste per il pescasub privato occasionale.
In definitiva, ogni forma di umano divertimento che per compiersi comporti il togliere la vita (ma anche il ferimento, il maltrattamento o la sofferenza) di un animale – vedasi la pesca per gara, appunto – dovrebbe semplicemente essere BANDITA! Senza “se” e senza “ma”. Punto.
E – per cortesia, invitiamo almeno a un pizzico di serietà intellettuale! – ora non si invochi la solita “foglia di fico” di espedienti come il “catch-and-release”, ossia la cattura con il rilascio della preda viva, perché sarà forse ancora viva al momento del rilascio ma non è affatto detto che poi sopravviva davvero, anzi è assai probabile che nella maggioranza dei casi abbia molte più possibilità di “schiattare” in un secondo tempo che di sopravvivere felice e contenta come se nulla fosse accaduto… Di certo mancano acquisizioni di dati condotte con criteri scientifici in merito ai danni permanenti subìti nel trauma di una cattura – qualsiasi cattura –, ragion per cui un fondato dubbio è più che lecito. E in ogni caso, qualcuno ha forse mai potuto sapere dalla preda se si sia divertita anche lei o cosa abbia provato di tanto esaltante per un quarto d’ora, mezz’ora o un’ora di combattimento con un amo infilzato in bocca, in gola o nello stomaco? (I pescatori subacquei, se non altro, non possono accampare ipocrisie di questo genere: è oggettivamente un po’ difficile sopravvivere a un colpo di fiocina o arpione…). Eppure pensate che c’è ancora qualcuno che crede o cerca di far credere che “il pesce non avverta il dolore”! Sarà forse perché non può gridare la sua sofferenza con urla udibili dal nostro orecchio? Nel frattempo, però, guarda caso, una specie come il polpo è stata dichiarata dalla comunità scientifica internazionale tra quelle “senzienti”! (Ed è “solo” un mollusco…).
Intendiamoci, sappiamo benissimo di correre il rischio di inimicarci chissà quanti “pescatori nell’animo”, di quelli incalliti, che difendono a prescindere qualsiasi pesca; ma è molto più forte la nostra convinzione che per la conservazione dell’ambiente-mare e degli habitat acquatici in generale si debba invece almeno fare dei distinguo radicali!
Piantandola una volta per tutte, perlomeno a livello dei mezzi d’informazione TV, con qualunque strizzatina d’occhio compiacente verso atteggiamenti retrogradi e oggi non più sostenibili nei confronti delle attività di prelievo – leggasi “razzia” – di risorse viventi dal mare. Come le ospitate di pescatori professionisti che piagnucolano a favor di telecamera invocando quel che ritengono un diritto di successione – “mio nonno era pescatore, mio padre lo è stato tutta la vita, perché io non posso più pescare?” – quando potrebbero applicare un minimo di comprendonio nel chiedersi “cosa” dovrebbero poter pescare ancora, se di pesce nel mare non ce n’è più abbastanza? E magari – come ormai capita a tanti oggi – considerare senza farne un dramma anche l’eventualità di cambiare mestiere per tempo, dato che di solito si tratta di baldi trentenni. Dopotutto, in ogni campo, è il mercato che fa il mercato! Non sembra così difficile da capire né così inverosimile da accettare. (A meno che non ci si ritenga dei privilegiati per diritto di nascita, di categoria o di casta!…).
Eppure tocca invece ancora prendere atto che tra pesca sportiva e pesca professionistica il tasso di illegalità e i fattori d’inquinamento nella pratica delle varie tecniche si mantengono altissimi e spesso al di fuori della possibilità di un sufficiente controllo: tanto che neppure il periodo Covid ha potuto granché sull’auspicio di una loro riduzione (e, come si vede dalle infografiche che riportiamo, non siamo noi a dirlo!). Solo la piccola pesca artigianale costiera pare salvarsi, essendo l’unica a potersi definire veramente “sostenibile”: avendo di fatto mostrato vari esempi locali realmente virtuosi, in cui più famiglie riescono anche agevolmente a darsi sostegno, con modelli di gestione condivisa e con il coordinamento dell’Area Marina Protetta di zona. Che, magari dopo anni di incomprensioni, ostilità e resistenze varie, si è “scoperto” essere il solo sistema conveniente anche per la sopravvivenza di tale pesca a filiera corta.
Su scala globale invece che succederà? Anzi, cosa sta già accadendo? Il futuro del reperimento di fonti proteiche per l’alimentazione umana, con ogni probabilità, imporrà sempre di più il ricorso alle specie ittiche, che però a loro volta sempre di meno potranno derivare dalla cattura di esemplari nati e viventi in natura. È quel che accade quando una risorsa naturale non è inesauribile e viene invece trattata come se lo fosse, con un pluridecennale, continuativo, scriteriato sovrasfruttamento (over-fishing)! Già oggi, nel nostro Paese, il no-fishing day, ossia il giorno dell’anno in cui si supera la disponibilità di pesce proveniente dalle acque nostrane in rapporto al consumo alimentare umano, si colloca nella prima decade di aprile (il che significa che, da quel giorno in poi, il pesce che ci arriverà in tavola dalla grande distribuzione proverrà per tutto l’anno da fuori Mediterraneo)! E allora? La soluzione non potrà che arrivare dall’allevamento ittico. Quindi, prima si compirà il passaggio a forme di allevamento moderno e sostenibile, cioè che non privilegi solo le specie oggi considerate pregiate, che non richieda mangimi chimici né provenienti da altri animali, che non comporti impatti ambientali negativi sulle coste prospicenti le zone a coltura e anzi possa giovare loro anche in termini di ripopolamento ecc, meglio sarà per tutti. Perciò è questo il campo verso cui dovrebbe orientarsi maggiormente la ricerca, cioè nel trovare soluzioni che ottimizzino l’itticoltura… anziché considerare prevalentemente o solamente i pescatori professionisti soltanto perché di quando in quando collaborano anche a progetti di “citizen science” o perché si convertono al pescaturismo monitorabile. Azioni pur virtuose di questo genere dovrebbero essere considerate semplicemente come il minimo dovuto, non come tentativi di ripristino della verginità perduta!
Nel frattempo, magari la faremo finita con le reti fantasma e tutti i residui e gli avanzi di attrezzature da pesca varie disperse in mare, che continuano a pescare e a inquinare, o a impegnare autorità e associazioni per trovarle, toglierle e smaltirle. La finiremo con le strascicate devastanti e pericolose sotto costa, anche di notte e a luci spente; e con l’assurdo balletto delle lunghezze delle derivanti (spadare); e con gli oneri pubblici dovuti alla necessità di impiegare mezzi e personale per le uscite di sorveglianza e i controlli in mare. Finirà la carenza di verifiche sull’over-fishing, ossia l’eccesso di pesca commerciale rispetto alle quote assegnate dalla Comunità Europea per consentire la ciclica ricostituzione degli stock ittici. Finirà il by-catch, cioè la cattura “più o meno” accidentale di specie protette e/o già a rischio estinzione, come squali, razze, delfini, tartarughe, pesci luna, pesci spada (sottomisura) ecc. E con pratiche barbare connesse, come l’asportazione delle pinne a danno di squali e delfini (finning!), rigettati a mare ancora agonizzanti (gli squali deprivati delle pinne perché ritenute afrodisiache e i delfini mutilati perché con la loro agonia dissuadano i compagni dal danneggiare le reti per “rubare” il pescato…).
È una questione di coscienza collettiva, profondamente culturale, un serissimo problema di atteggiamento e di approccio all’intero universo-mare: non si può e non si deve più lasciar prevalere alcuna logica “predatoria” alla base di nessuna nostra azione, né piccola né grande, nei confronti del mare.
Perciò è importante anche la simbologia dei gesti, per quanto nella sostanza possano fare poca differenza: perché i simboli comunicano. Ci parlano dell’essenza. In ciò contano. La pesca subacquea praticata per gara, per competizione fra atleti contendenti, concessa, regolamentata e gestita istituzionalmente come attività sportiva agonistica, non avrà forse un impatto negativo così determinante sulla natura come ce l’hanno certe forme illegali di pesca professionistica o lo stesso inquinamento, ma resta un autentico insulto – e di pessimo esempio – nei confronti della coscienza naturalistica collettiva oggi più opportuna.
Non si può più giocherellare con l’esistenza degli esseri viventi per il nostro esclusivo diletto. È una spinta motivazionale perversa, fatta di presunzione e ignoranza, da interrompere immediatamente. E la tendenza in atto oggi – per fortuna – è da tempo opposta a quella in voga negli anni ’60 del secolo scorso, omaggiati perfino dalle canzonette dell’epoca: “Con le pinne, il fucile e gli occhiali…”. Quando il più noto naturalista italiano faceva la copertina del maggior periodico subacqueo con la foto di una grande manta trafitta da così tante fiocine da sembrare un puntaspilli. E il servizio del mese della rivista poteva essere costituito perfino dall’obbrobriosa celebrazione d’una “caccia al delfino”! Nel 2025, tra meno di 2 anni, ne saranno trascorsi 65 da allora…vogliamo o no renderci conto di quante cose – e di quanto e come – siano cambiate per sempre?
Perciò diciamolo forte e chiaro, una volta per tutte e tutti insieme: “BASTA SUBITO!” a ognuna delle forme di pesca citate sopra, non solo quelle già evidentemente illegali – che sono le più ovvie da doversi interrompere all’istante – ma anche quelle consentite per il solo divertimento garistico!
Un appello che rivolgiamo a tutte le associazioni ambientaliste, ma più in generale a ogni persona informata e di buon senso, dato che perfino la Federazione di pertinenza per la pesca sportiva agonistica diventò a suo tempo “agenzia di protezione ambientale”… e ci pare quantomeno anacronistico che oggi continui a rappresentare le gare di pesca, finanche quelle di pesca in apnea! (A questa conclusione c’è arrivata perfino la caccia terrestre: le “gare di caccia” non esistono più da tempo. E la “pesca in apnea” in vero “È” da sempre una caccia a tutti gli effetti, pur se subacquea!)
Restando in tema, come può la Federazione di pertinenza rappresentare sia la pesca agonistica – anche le gare di pesca in apnea – e al contempo fare didattica subacquea naturalistica con corsi e rilascio brevetti di biologia marina e delle acque? Non è forse già questa una contraddizione talmente profonda da rendere poco credibile l’intera organizzazione fin nel suo apparato strutturale? Cosa ne pensano il CIO, il CONI e/o la CMAS? Cosa ci fa ancora un intero comparto di metodologia didattica atto a formare tutti a ogni livello dell’immersione subacquea, tenuto vincolato agli altri settori che sostanzialmente si occupano di “pesca sportiva” con la canna e al massimo avrebbero potuto mantenere pertinenza solo sulla pesca in apnea? (Intendiamoci, problema atavico, addirittura identitario. Ma perché, proprio in quanto tale, non è mai stato risolto? E come può un’organizzazione con un così “pesante” fardello mantenersi la stessa che ambirebbe a candidare l’apnea agonistica addirittura tra le discipline olimpiche?).
E il rapporto con i più giovani? Ne vogliamo parlare, giusto un attimo? Ebbene, che senso ha insegnare ai bambini – giustamente! – a non estrarre dall’acqua gli organismi viventi, che “sennò dopo muoiono, anche una volta rimessi in mare dal secchiello!” se poi si promuovono le scuole di pesca sportiva per ragazzi, ovviamente finalizzate ad avviarli alle competizioni agonistiche, propagandandole come l’unico metodo didattico per educarli all’ambiente?
Dopotutto, ci chiediamo che fine abbiano fatto – sempreché ce ne siano state in positivo – le eventuali evoluzioni delle seguenti normative:
-Legge 20 luglio 2004, n.189, su “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 178 del 31 luglio 2004 Art. 1. Ne conseguirono alcune modifiche al Codice Penale, tra cui: dopo il titolo IX del libro II del codice penale è inserito il seguente: “TITOLO IX-BIS – DEI DELITTI CONTRO IL SENTIMENTO PER GLI ANIMALI Art. 544-bis. – (Uccisione di animali) – “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi”. Art. 544-ter. – (Maltrattamento di animali). – “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre mesi a un anno o con la multa da 3.000 a 15.000 euro”. Ecc.
Si noti bene che questa legge, in una sua apposita specifica, chiarisce di non poter riguardare le attività che hanno una propria legislazione dedicata, come quelle venatorie, cioè la pesca e la caccia! Eppure nella caccia si son già cancellate le gare da tempo. Perché nella pesca no?
-Proposta di legge (iniziativa deputato Nastri) alla Camera dei Deputati in XVI Legislatura n. 4666, presentazione 4 ottobre 2011, su “Istituzione del Garante dei diritti degli animali”.
-Articolo 727-bis aggiunto dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 1, DLGS 121/2011. – “Uccisione, distruzione, cattura, prelievo, detenzione di esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette…”
-D.L. 36/2021, in vigore dal 2 aprile 2021, “Riforma degli Enti Sportivi”, capitolo “Animali sportivi – salute, benessere e idoneità di gara”…
Abbiamo toccato tanti temi, perciò torniamo a bomba. E chiudiamo ricollegandoci all’inizio di questo articolo con una “domanda pubblica” al ministro: perché, invece di garantire di andare contro le normative europee sulla pesca a strascico per rassicurare il nostro comparto pesca – come se l’intera Comunità Europea ce l’avesse con noi e non stesse invece muovendosi sulla scia di precise informazioni scientifiche circa lo status naturale drammatico degli stock ittici – non si attiva con lo stesso zelo affinché venga istituito finalmente anche intorno alle nostre coste un sistema di ZEE Zona Economica Esclusiva?
Non pensa forse che un’azione del genere sarebbe ben più urgente e incisiva per tutelare i nostri interessi nazionali, migliorando anche il sistema dei controlli? E non crede che tali interessi includano la pesca e siano al contempo di ben più ampia portata rispetto a quelli riguardanti solo i pescatori? O dobbiamo rassegnarci a sospettare che considerare soltanto una flottiglia di pescherecci d’altura sia tutto sommato molto più comodo per lei?
Suvvia, signor ministro: mostri che facciamo male a dubitare e che, oltre alla retorica propagandistica sugli interessi più parziali, sa anche almeno contribuire a soluzioni che contino veramente per tutti!
In fondo, si tratta d’impegnarsi un pochino di più in ciò per cui si è stati eletti e nel ruolo in cui si è stati nominati.
Non è forse così?
Ciliegina sulla torta, ecco un “gadget” per chi è arrivato a leggerci fino a qui, segnalatoci da un nostro affezionato lettore: è un video che troviamo molto significativo visionabile a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=srWh8L1Sml4 . Vi mostra, anzi vi fa vivere di persona, un riassuntivo confronto tra la pesca in apnea amatoriale, cioè la complessità d’un gesto isolato, individuale, super selettivo, rispettoso e ardito, dunque il più sostenibile, attuato per pura finalità alimentare privata o familiare; e una disastrosa tecnica di pesca professionistica – il “cianciolo”, autentica mattanza – che, pur essendo di per sé legale (ahimè), dovrebbe almeno rispettare i periodi di fermo biologico, cosa invece oggetto troppo spesso di specifica violazione.
2 Comments
Jenny
Condivido ogni idea e sentimento di questo articolo! Serve etica nello sport, nella pesca e anche nei consumi di tutti noi!
Andrea Mucedola
Grazie per il quadro sulla pesca ben fatto e esaustivo. Come OCEAN4FUTURE http://www.ocean4future.org ci battiamo affinché la pesca, un’importante risorsa economica dell’Umanità, debba essere effettivamente regolamentata in maniera sostenibile, eliminando tutte quelle forme di saccheggio e spreco che in molti Paesi sono ancora la norma. Un argomento che va reso noto per evitare inutili stragi e danni all’ambiente.