Ecco la cronaca d’un grande evento convegnistico in cui i relitti militari sommersi e i loro ardimentosi esploratori ci parlano di come studiare, ricostruire e comunicare la storia secondo il suo svolgimento più autentico
A cura di Marco Mori. In foto d’apertura: deposizione di corona floreale sullo Sciré. Autore: A. Dabalà, su gentile concessione di IANTD S.r.l
Al cospetto della monumentale Lanterna che, austero e suggestivo simbolo d’una Genova sempre “Superba” pur se sferzata da pioggia e vento, dai 77 metri del promontorio di capo Faro domina e sovrasta tutto, s’è svolto da pochissimo un incontro di studio di tale interesse da far scommettere che resterà negli annali degli appassionati di relitti bellici.
Il convegno è stato sapientemente organizzato dall’Associazione Nicoloso da Recco che, nata il 1° giugno 2012 e prendendo il nome dall’omonimo cacciatorpediniere in servizio durante la 2^ guerra mondiale, si interessa di storia della marina e in particolare del 2° conflitto mondiale.
Proprio il nome dell’associazione dà il via al primo intervento del professor Francesco Surdich con i viaggi e le esplorazioni del navigatore genovese Nicoloso da Recco che nel 1341, insieme al fiorentino Angiolino del Tegghia de’ Corbizzi, compì un viaggio alle Canarie per conto di Alfonso IV del Portogallo. Viaggi ed esplorazioni tramandati alla storia dalla penna del Boccaccio nel “De Canaria et insulis reliquis ultra Hispaniam noviter repertis”, in cui il poeta descrive le isole Canarie, la popolazione dei Guanci, i loro usi e costumi, le abitazioni, le piante e l’aspetto geomorfologico delle isole. Un viaggio di esplorazione marittima che forse non ebbe grandi riscontri economici nell’immediato, ma ebbe il grande merito di riaccendere l’interesse verso sempre più ampie porzioni dell’oceano Atlantico, tanto che in alcuni decenni, con Bartolomeo Diaz e soprattutto Cristoforo Colombo, se ne conobbe l’esatta estensione tanto verso il Sud quanto verso l’Ovest.
Due prestigiosi interventi del relatore Fabio Ruberti “SMS Szent István la corazzata dell’impero” e “Sciré vittima eccellente di Ultra Secret”. Ruberti da storico, da subacqueo, da appassionato di navi ha scelto di raccontarci la storia di due simboli, due icone per tutti noi appassionati di relitti.
Ma partiamo con ordine. La corazzata Santo Stefano rappresenta un simbolo sia per la marina Croata sia per la nostra marina Italiana. L’azione di Premuda rappresenta forse la più brillante e audace azione navale della 1^ Guerra Mondiale. Nella notte tra il 9 e il 10 Giugno 1918 due MAS (MAS 15 e MAS 21) al comando del Capitano Luigi Rizzo lasciavano il porto di Ancona dirigendosi verso l’isola di Premuda dove avrebbero dovuto effettuare una normale operazione di routine. Durante le operazioni di rastrellamento i MAS intercettarono il potente convoglio navale austriaco che, uscito dalla base nemica di Pola, stava dirigendosi verso il Canale di Otranto per forzarne il blocco. Ebbe così origine, in maniera quasi fortuita, una delle più brillanti azioni navali della prima guerra mondiale, nel corso della quale, a conclusione di un attacco condotto con incredibile coraggio, il Comandante Rizzo silurò e affondò la corazzata “Santo Stefano”. La flotta austriaca si trovava in mare nel tentativo di uscire da una lunga e umiliante situazione di stallo. Il piano dell’Ammiraglio Austriaco era chiaro: attaccare all’improvviso, con una imponente forza navale, per forzare il blocco del canale di Otranto e distruggere le forze messe a protezione, prima che la parte più consistente della flotta alleata, concentrata a Taranto e a Corfù, potesse intervenire. Purtroppo per lui il suo piano fallì nel momento in cui la sua rotta incrociò quella del Capitano Rizzo, che con sapiente maestria mise a segno due colpi mortali facendo crollare l’elemento sorpresa e stroncando così l’impresa sul nascere, costringendo la flotta austriaca a rinunciare definitivamente all’ambizioso progetto. La battaglia di Premuda rimase poco nota al popolo italiano, fino a quando, nel 1939, la data dell’azione fu scelta come festa della Marina Militare italiana. Al fine di documentare con foto e video e con una bellissima ricostruzione tridimensionale del relitto vengono effettuate da IANTD Expedition ed in collaborazione con il Ministero della Cultura croata 3 spedizioni negli anni 2003, 2005 e 2009. Veramente un lavoro del massimo spessore.
Il successivo intervento di Ruberti ha riguardato il ritrovamento del leggendario sommergibile Sciré e soprattutto la scoperta della vera storia di come sia effettivamente affondato. Sciré: un nome che nessun marinaio d’Italia ignora. Il sommergibile è intimamente legato alla X MAS, al suo comandante Junio Valerio Borghese e alla leggendaria impresa di Alessandria. “Sei italiani equipaggiati con materiale di costo irrisorio hanno fatto vacillare l’equilibrio militare nel Mediterraneo a vantaggio dell’Asse”. Così Churchill commentò la sconfitta. Prioritario apparve dunque agli occhi degli inglesi l’eliminazione dallo scenario bellico dello Sciré. Ruberti con passione e professionalità ha illustrato e raccontato le sua attività di ricerca iniziata nel 2008 con un intenso lavoro negli archivi italiani e britannici e nello studio del sistema di rilevamento anti sommergibile denominato “indicator loops”. Queste meticolose ricerche hanno confermato che gli inglesi erano informati della missione dello Scirè grazie alle intercettazioni di Ultra Secret e che una trappola lo attendeva di fronte alle coste di Haifa.
Purtroppo il 10 agosto 1942 gli “indicator loops” diedero l’allarme e cosi l’artiglieria costiera, le navi e tutta la forza bellica nemica si riversarono sullo Sciré che affondò con il suo comandante Bruno Zelik, tutto il suo equipaggio e gli “uomini gamma”, entrando così nella leggenda come protagonista anche nell’attività subacquea; ed è tutt’oggi uno dei battelli navali più famosi ed amati al mondo. Tre le spedizioni di IANTD Expedition, nel 2008, 2011 e 2015, per documentarne lo stato tramite foto e video e soprattutto crearne una modellazione visiva 3D assolutamente realistica.
Con un incredibile volo di oltre due secoli Marco Colman, Alessadro Garulla e Simon Luca Trigona ci portano nel marzo del 1795 nelle acque antistanti Noli dove i più potenti eserciti navali dell’epoca, quello francese da una parte e quello inglese dall’altra, si affrontano nella Battaglia di Capo Noli, nota anche come Battaglia di Genova. Tra i protagonisti di questa battaglia navale troviamo proprio Horatio Nelson, un giovane capitano britannico che entro pochi anni sarebbe diventato il comandante navale più famoso nella storia della sua nazione. La Battaglia di Capo Noli è anche uno dei primi scontri combattuti tra gli Stati-nazione per motivi ideologici: lo scontro visto con lo scopo dell’annientamento totale dell’avversario. Un modo di combattere più impetuoso, che ha via via sostituito quello più “aristocratico” usato in precedenza. Marco Colman ci racconta la storia del ritrovamento quasi fortuito di un cannoncino durante un’immersione a 65 metri di profondità. E di tutte le ricerche e le intuizioni che sono state necessarie per stabilire che il relitto trovato era quello di una lancia armata francese usata per operazioni militari come l’abbordaggio di imbarcazioni nemiche e le incursioni a terra. Essenziale nelle operazioni di ricerca e di recupero la nave Anteo, il comandante ammiraglio Paolo Pezzutied e il Comsubin. Il valore dei ritrovamenti, tra cui le famose ceramiche di Albisola, sapientemente descritte dalla Dott.sa Eleonora Fornelli, un sestante, una pistola non militare, persino i resti di un cadavere ed il racconto della “maniglia della porta” che poi risultò essere parte di un moschetto, uniscono fascino ed emozione alla narrazione. Un ritrovamento davvero eccezionale.
Ma ritorniamo nel mar Adriatico dove il professor Luigi Fozzati ci illustra la scoperta del relitto dei “Cannoni” nel 2003 durante alcune operazioni di scavo per la realizzazione di una diga all’interno del più grande progetto MOSE, tanto discusso proprio in questi giorni. Le operazioni di scavo avvenute tra il 2005 e il 2006 hanno rivelato che la nave si è arenata su un basso fondale sabbioso a non più di 5 metri di profondità e qui è rimasta intrappolata fino alla sua completa distruzione. Il relitto giace in assetto di navigazione e ha una lunghezza di circa 44 metri mentre la larghezza massima è di circa 10 metri; infine l’altezza raggiunge a stento il metro e mezzo. All’interno del relitto si è identificata una grossa concrezione ferrosa che contiene centinaia di proiettili da cannone di vario calibro praticamente fusi al suo interno. Alla fine della campagna 2005 si è quindi iniziata un complessa e lenta azione di recupero e di pulizia dello strato concrezionato, trovando al di sotto della massa ferrosa numerosi reperti lignei relativi presumibilmente all’attrezzatura di bordo. Procedendo verso poppa si trovano i resti della paratia che delimita la stiva centrale della nave. All’interno sono stati trovati quattro cannoni di ferro, due dei quali son stati recuperati. Tutte le principali parti dello scafo sono realizzate con legno di quercia mentre la sottile lamina di rivestimento esterno è invece di legno di larice. All’esterno del relitto è stata scoperta la pala del timone, che presenta dimensioni considerevoli proprie di un grande vascello.
Curioso il ritrovamento di un baule da viaggio con all’interno 94 piatti in lega di stagno, oppure di un ferro da stiro o quello dei resti di un candelabro. Oltre ai cannoni è stato scoperto un fucile integro e una pistola completamente concrezionata ma ben riconoscibile. Le ricerche d’archivio hanno permesso di identificare il relitto come la nave “Croce Rossa” varata nell’Arsenale di Venezia nel 1698 e naufragata poco fuori dalla bocca di porto di Malamocco nella notte tra il 26 e il 27 novembre del 1715.
Rimaniamo in Adriatico con il professor Jurica Bezak con la battaglia di Lissa nel luglio 1866 nelle vicinanze dell’isola omonima (in croato: Vis), tra la Kriegsmarine, la Marina da Guerra dell’Impero austriaco e la Regia Marina del Regno d’Italia. Fu la prima grande battaglia navale tra navi a vapore corazzate e l’ultima nella quale furono eseguite deliberate manovre di speronamento. L’obiettivo principale italiano era quello di conquistare il Veneto sottraendolo all’Austria e scalzare l’egemonia navale austriaca nell’Adriatico. Le flotte erano composte da navi di legno a vela e vapore e navi corazzate anch’esse a vele e vapore. La flotta italiana superava la flotta austriaca; entrambe le marine mostravano una assai scarsa preparazione sul piano tecnico, ma quella italiana, oltre alle deficienze tecniche, presentava gravissimi problemi di coesione tra i comandanti e uno scarso addestramento degli equipaggi. Jurica Bezak ci racconta il tracollo della flotta tricolore di fronte a quella asburgica e la storia della sconfitta italiana.
L’ultimo intervento ci riporta all’epoca attuale ma ci trascina negli abissi, dove la dottoressa Marzia Bo ci fa immergere, con l’ausilio di potenti ROV, alla ricerca di relitti profondi e racconta l’analisi della biodiversità che si sviluppa e cresce su di essi. È uno studio proprio affascinante vedere quali forme di vita decidono di avere come “casa” parti di ferro o legno o ceramica che giacciono a profondità così importanti e le modalità con cui “scelgono” un’area piuttosto che un’altra.
In conclusione è stata un’interessantissima giornata di studio e approfondimento; l’associazione sta già pensando a una possibile seconda edizione tra un anno o forse due. E noi restiamo in attesa.