Leonardo Da Vinci aveva inventato anche un sistema di respirazione subacquea. Ma avrebbe mai potuto funzionare? Immaginate di essere tornati a cinque secoli fa e noi vi aiutiamo a dirci se l’avreste indossato per immergervi. Perciò leggete qui. E poi a voi la parola.
A cura di Romano Barluzzi. Immagini: repertori e crediti in fondo all’articolo e in didascalie.
È chiaro che il quesito riguarda non tanto gli espertoni né i vari guru della subacquea, quanto i novizi. Coloro che, proprio in questi giorni di inizio estate, si cimentano per la prima volta con l’applicazione pratica di quegli elementari principi di fisica che hanno appreso durante il corso base. Questo articolo è innanzitutto per loro (anche se ci auguriamo piaccia pure ai “professional”). Ma prima di formulare il quesito pubblico in oggetto, c’è bisogno d’una premessa.
Forse non tutti sanno che il grande genio del rinascimento, Leonardo Da Vinci, nella sua eclettica e variegata carriera di studioso e inventore, elaborò anche una versione di “marchingegno” per immergersi e respirare sott’acqua. Però in passato si è a lungo discusso sull’impiego reale di questo strumento, con forti dubbi sulle concrete possibilità che avrebbe potuto avere di assicurare sopravvivenza prolungata a chi ci si fosse all’epoca immerso.
Dopotutto, anche in generale di Leonardo si era creato un tempo il pregiudizio che fosse stato più visionario che ingegnere, cioè che le sue invenzioni avessero espresso un grande intuito ma con possibilità applicative pratiche spesso e volentieri molto scarse. Insomma, che si fosse trattato più d’un fantasioso teorico che di un vero progettista pratico.
Poi a qualcuno è venuta l’idea di provare a realizzare le macchine che aveva ideato sulla base dei disegni che lasciò, e addirittura con gli stessi materiali, per vedere se e come funzionassero. E le sorprese non mancarono, dimostrando quanto i dubbi sulla concretezza della sua opera d’ingegno fossero infondati: le sue macchine funzionavano quasi tutte!
Svariati anni or sono una serie di documentari inglesi portò in televisione anche tutta la spettacolarità di queste ricostruzioni e del processo d’indagine sui progetti, sui materiali, sulle tecniche e sui montaggi dell’epoca con i quali gli storici avevano fatto luce sul lavoro dello scienziato. E da allora è stato tutto un fiorire di musealizzazioni dinamiche e sedi espositive (nel nostro Paese le due principali sono a Venezia e a Firenze, ma ce ne sono perfino di itineranti, senza contare il Museo Nazionale della scienza e della tecnologia di Milano che di Leonardo Da Vinci porta nome e cognome) che hanno messo in mostra le mirabili riproduzioni leonardesche e quel che doveva essere stato il loro funzionamento.
Del resto, a pensarci meglio, non avrebbe dovuto destare troppa meraviglia che Leonardo ci avesse così tante volte azzeccato: viveva di questo, era un “professionista”, inventava – anche – per guadagno. La maggior parte della sua opera era stata quindi strettamente legata alle esigenze di reale funzionamento, a cominciare dalle macchine militari – per le quali è fin troppo ovvio che dovesse garantire efficacia, efficienza e precisione – fino all’idraulica, con sistemi di regimazione delle acque, macchine mosse dall’energia cinetica dell’acqua ecc, che ebbero moltissimi usi applicativi civili.
Ma la sorpresa viene nel constatare quanto volle occuparsi perfino del volo aereo, come della navigazione e… dell’immersione. Campi in cui è più difficile immaginare quanto egli stesso credesse fino in fondo nella reale funzionalità delle proprie invenzioni. Eppure… pensate che riguardo al volo, e malgrado un vero e proprio “elicottero a elica-vite” (celeberrimo anche questo suo disegno) non riuscisse a staccarsi da terra, restando così una pura sebbene sorprendente anticipazione dei moderni mezzi ad ala rotante, è certo che alcuni successi con mezzi “plananti” li ebbe, eccome. Ne fece le spese un suo assistente, Tommaso Masini, detto Zoroastro da Peretola, divenuto prova vivente dei successi ottenuti, dato che sopravvisse ad alcuni lanci sperimentali (oggi l’avremmo definito “pilota collaudatore”) con dei sistemi di volo planato analoghi al deltaplano o all’aliante: cosa che fruttò al progresso anche le testimonianze sulle tecniche ortopediche applicategli dallo stesso Leonardo – grande anatomista – per curarne le fratture ossee riportate!
E per l’immersione? Eccoci al punto. Il sistema progettato da Leonardo sembrava aver previsto tutto ciò che conta per ottenere lo scopo prefissato. A cominciare proprio dalla respirazione, che il genio aveva intuito non potesse svolgersi in un solo condotto, soggetto a non spurgare a sufficienza l’aria viziata emessa con la fase espiratoria. Un solo tubo insomma non avrebbe potuto scongiurare il ristagno dei gas respiratori. E infatti troviamo nel marchingegno di Leonardo due tubi, di cui uno di aspirazione dell’aria e l’altro di espulsione. Aveva ottenuto lo scopo dotandoli di duplice valvola, ciascuna ad apertura unidirezionale: con ogni atto respiratorio, l’inspirazione ne apriva una sola tenendo chiusa l’altra; al momento di espirare, si chiudeva viceversa la prima e l’aria da espellere apriva solo la seconda, per uscire imboccando così il tubo “di scarico”. In parole povere, l’aria non poteva tornare indietro: una volta aspirata da un lato, se ne poteva uscire solo dall’altro. Entrambe i tubi avevano le rispettive bocche costantemente fuori dall’acqua, saldamente fissate a un capace galleggiante circolare – tipo ciambella sovrastata da una cupoletta – concepito evidentemente per seguire ogni spostamento del subacqueo. Grande cura aveva riposto Leonardo nella composizione delle pareti delle tubazioni e soprattutto nei rispettivi punti di giunzione, tutte zone irrobustite addirittura con inserti a base di molle elicoidali di metallo temperato, onde garantire che – per quanto sufficientemente flessibili – in nessun frangente avessero a schiacciarsi e la pervietà all’aria fosse mantenuta sempre.
Ma le sorprese non sono finite qui, anzi, forse la più rilevante consiste nel constatare che l’inventore aveva pensato in maniera davvero globale: l’equipaggiamento prevedeva infatti, oltre all’apparato di respirazione, un vero e proprio “scafandro”, un assemblaggio di cappuccio, giubbone e pantalone integrale alto, tale che nell’insieme il subacqueo doveva risultarne “impermeabilizzato”. Questa specie di “stagna” era a sua volta dotata di un contenitore – una sorta di otre solidale con la “muta”, corrispondente a quel rigonfiamento visibile in foto – per regimare l’assetto, immettendo aria per alleggerirsi rispetto al fondo o salire addirittura; e sgonfiandolo viceversa per scendere o mantenersi più stabile a contatto col fondale. Forse l’inventore ne aveva supposto anche un ruolo di riserva d’aria respirabile indipendente dalla superficie, oppure questa funzione era deputata ad altro analogo “serbatoio” attiguo, pur nell’inconsapevolezza della scarsissima autonomia che avrebbe avuto. L’armamentario prevedeva poi – in particolare per la testa – l’abbozzo di quel che sarà in seguito un vero e proprio elmo da palombaro, una specie di rivestimento copricapo integrale dotato di ampi vetri bioculari per la necessaria visione, come fosse una specie di maschera integrata; dei sacchetti appesi in vita e sganciabili, contenenti pesi (sabbia) a mo’ di zavorra; nonché delle appendici per i piedi e alle mani antesignane rispettivamente di pinne e guanti; e perfino dei raccoglitori interni per i fluidi biologici del sub. Non poteva naturalmente mancare al corredo un coltello da sub per qualsiasi evenienza, specie nell’eventualità di doversi liberare da intralci o impigli. Tutti elementi che testimoniano come Leonardo evidentemente supponesse per l’apparato la potenzialità di conferire una certa cospicua autonomia dalla superficie e in ogni caso un prolungamento della permanenza in immersione. Caratteristiche che dovette ritenere in qualche modo prioritarie per l’impiego militare, come testimoniato dall’abbinata progettuale con strumenti atti a provocare ingenti danni alle chiglie e agli ormeggi delle navi nemiche.
A proposito di impiego c’è altro che induce a considerare quanto Leonardo avesse avuto a cuore la concretezza del progetto e confidasse nell’efficacia del suo funzionamento in termini di effetti militari, pur commisurandoli ai pericoli dell’impresa: un’attenta e precisa valutazione del rapporto tra rischi e benefici. Talmente lucida da averlo indotto a corredare la sua opera di raccomandazioni per l’aspirante incursore sub perfino professionistiche, come quella di «fare prigionieri» per assicurarsene il riscatto nella misura di «metà della taglia» e soprattutto la stipula preliminare di un vero e proprio contratto d’ingaggio! Per dirla con le sue parole: «…ma prima fa’ patto per istrumento, come la metà de la taglia sia tua, libera senza alcuna accezione». Come dire: è studiato perché funzioni ma i rischi sono comunque talmente alti che è meglio garantirsi un lauto guadagno prima d’affrontare l’impresa. Perciò neppure questa documentazione testuale, di per sé, può essere considerata prova certa di avvenuto funzionamento del “respiratore subacqueo” leonardesco.
Dunque eccoci finalmente al quesito ancora aperto che vogliamo rilanciare alla vostra attenzione: l’apparecchiatura ideata da Leonardo per immergersi poteva funzionare davvero oppure no? In caso di si, che tipo d’immersione avrebbe saputo assicurare ai volenterosi collaudatori e agli ardimentosi “incursori” del tempo? E la squadra navale avversaria avrebbe avuto di che doversi preoccupare?
E ora forza: provateci! Scriveteci la vostra risposta, con le osservazioni e le motivazioni che volete. Ma senza prima correre a mettere tutto su Google, s’intende! Da parte nostra, risponderemo ovunque possibile, con ciò che sappiamo. Affinché sia l’immaginazione sia la ragione abbiano a sentirsene soddisfatte. Dopotutto, proprio lui – Leonardo – era stato il primo a sentenziare: «Se ti avviene di trattar con l’acqua, pria l’esperienza poi la ragion delle cose»!
(Le immagini dei disegni del servizio sono tratte: dal Cod. Arundel, c. 24 v; dal Cod. Atlantico, c. 647 v, ex 237 v, in tema rispettivamente di “Sistema di respirazione per palombaro con particolari sui giunti di raccordo” e di “Studio per il respiratore ed il funzionamento delle due valvole”; le foto dal Museo Nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo Da Vinci di Milano).