Cos’è il rigonfiamento del fondo marino da poco scoperto davanti al porto di Napoli? Cosa vi si nasconde? Ci sono relazioni con i Campi Flegrei e il Vesuvio? Quali i rischi? Vediamo che si sa realmente su un fenomeno che di recente è stato alla ribalta.
A cura di Davide Torricelli. Immagini INGV-Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.
Due anni fa alcuni ricercatori dell’INGV e del CNR-IAMC di Napoli hanno condotto una campagna di rilievi nel Golfo di Napoli a bordo della nave “Urania” con lo scopo di individuare e studiare le emissioni gassose sottomarine. Tali emissioni sono comuni nel Golfo perché – com’è noto – si tratta di un’area vulcanica attiva dove coesistono i vulcani di Ischia, Campi Flegrei e Vesuvio. È quindi normale che i fondali marini siano disseminati di emissione gassose, come accade in molte altre parti del mondo, per esempio in Giappone e in Islanda.
La struttura “misteriosa”…
Ma ciò che i ricercatori a bordo della nave Urania del CNR hanno rilevato nel Golfo di Napoli, a profondità tra i 100 e i 200 metri, è una struttura più complessa. Unendo dati geologici, geochimici e geofisici hanno scoperto che 5 km a sud del porto partenopeo e 3 km a sud-est di Posillipo esiste una struttura sottomarina rigonfiata. Questo rigonfiamento (tecnicamente definito “duomo”) è quasi circolare e misura circa 25 km quadrati. Rispetto al fondo marino circostante è più alto di circa 15-20 m e contiene numerosi “tumuli” (cioè rilievi a forma di cupola), piccoli crateri e conetti di sabbia.
In più vi hanno trovato 35 emissioni gassose attive e oltre 650 crateri, molti dei quali non attivi. Il gas emesso è a bassa temperatura e la sua composizione è molto simile a quella delle fumarole dei Campi Flegrei e del Vesuvio. Questo ci indica che la sorgente dei gas del duomo sottomarino, dei Campi Flegrei e del Vesuvio è la stessa: il mantello, che in questa area si trova a circa 20 km di profondità. L’emissione di questi gas alza l’acidità dell’acqua marina circostante, ma la fauna e la flora marina non sembrano risentirne. I dati a disposizione hanno consentito di individuare dei veri e propri camini di alimentazione lungo i quali il gas (prevalentemente anidride carbonica) risale e deforma il fondo marino mescolandosi ai sedimenti attuali.
Quando si è formato questo duomo sottomarino?
Ciò che si sa fino a oggi deriva da campioni prelevati da una carota (ossia un cilindro di roccia prelevato da un sondaggio). I dati dicono che ha un’età inferiore ai 12.000 anni, ma ancora non si sa di quanto. Assumendo comunque questa età come rappresentativa dell’inizio della deformazione del fondo marino e della emissione di gas, si è potuto appurare che esso si alza con una velocità di circa 1-1.5 millimetri/anno. Questo valore è compatibile con quelli di altre aree vulcaniche ma sicuramente minore di quello che interessa, per esempio, i Campi Flegrei durante le crisi bradisismiche.
Come si è formato? Ma, soprattutto, è pericoloso?
I dati e i risultati della modellazione della deformazione (vedasi il modello tridimensionale del Golfo di Napoli e delle aree emerse circostanti nell’immagine del servizio) dicono agli studiosi che per formare una struttura come quella osservata non sono necessarie pressioni di gas elevate. Strutture simili si trovano nei giacimenti sottomarini di gas idrati (per esempio metano). La differenza è che nel caso del Golfo di Napoli si tratta di gas profondi che vengono dal mantello e dalla crosta sovrastante e non dalla decomposizione di materiale organico, come il metano. Questi gas sono quindi di origine vulcanica e idrotermale. Per questa ragione, in assenza di altre fenomenologie (es. terremoti, accelerazione delle deformazioni), il duomo sottomarino del Golfo di Napoli non desta particolare preoccupazione.
A che serve monitorare questa formazione?
È utile e importante monitorare questa struttura perché una possibile accelerazione dei processi di deformazione o un aumento significativo del flusso di gas e delle temperature potrebbe preludere a un’eruzione idrotermale o alla nascita di un vulcano sottomarino, cosa del tutto normale in questa area, dove Ischia e altri vulcani sommersi nella zona flegrea e vesuviana si sono formati nel passato. Tuttavia, nell’area napoletana, le priorità – in termini di pericolosità vulcanica – continuano a essere i Campi Flegrei, il Vesuvio e Ischia. (Da un comunicato INGV-Sezione Roma 1 a firma di Guido Ventura)